«Il 95 per cento dei contagiati in Italia si cura in casa, è asintomatico o paucisintomatico, oppure ha dei sintomi lievi […]. Durante la prima ondata di marzo e di aprile questo 95 per cento era il 51 per cento […]. Oggi soltanto il 4,5 per cento degli italiani contagiati è ricoverato in ospedale. Era il 45 per cento durante la prima ondata. E solo lo 0,5 per cento è ricoverato in terapia intensiva. […] Era il 7% in quella ondata» (min. -3:24:04)
Secondo i dati della Protezione civile, al 15 novembre
erano ricoverati con sintomi in ospedale oltre 32 mila positivi al coronavirus, circa il 4,5 per cento degli oltre 712 mila “attualmente positivi”. A questa percentuale vanno aggiunti i pazienti Covid-19 in terapia intensiva, che erano 3.422, lo 0,5 per cento di chi è stato diagnosticato con il virus.
Dunque, parlando del 95 per cento di non ricoverati, Arcuri sembra aver citato una percentuale sostanzialmente corretta, così come per la prima ondata: in alcuni giorni tra marzo e aprile, infatti, quasi un “attualmente positivo” su due – il «51 per cento» di Arcuri –
era ricoverato con sintomi e circa il 7 per cento in terapia intensiva (durante il picco del 3 aprile, 4.068 posti letto in intensiva
erano occupati da pazienti Covid-19, circa il 5 per cento dei casi all’epoca attivi).
Il confronto fatto dal commissario è però fuorviante, per almeno due motivi.
Come
abbiamo spiegato già in passato, confrontare i dati della seconda ondata con quelli della prima è un po’ come paragonare le mele con le pere. All’epoca, per esempio, la capacità di fare test era notevolmente inferiore rispetto a quella attuale e venivano sottoposti a tampone solo i casi più gravi.
In secondo luogo, il confronto tra le percentuali è ingannevole se il totale degli “attualmente positivi” da cui si parte è molto differente. Oggi è superiore alle 700 mila unità, tra marzo e aprile viaggiava intorno a poco più di 100 mila: sette volte in meno.
Dunque un complessivo 5 per cento circa di ospedalizzati può sembrare poco, ma in valori assoluti – come abbiamo visto – stiamo parlando di oltre 35 mila pazienti che occupano posti letto negli ospedali italiani.
Questo sta creando da settimane un’enorme pressione sul nostro sistema sanitario. Secondo i dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), al 13 novembre a livello nazionale il 34 per cento di tutti i posti in terapia intensiva
era occupato da pazienti Covid-19. Questo non significa che il restante 66 per cento circa era vuoto e a disposizione: era occupato in buona parte (non è possibile sapere quanto con precisione) da persone che sono in terapia intensiva per motivi diversi dal coronavirus. La soglia di allerta,
individuata dal Ministero della Salute, è del 30 per cento ed è stata superata da molte regioni.
Per quanto riguarda i ricoverati nei reparti di malattie infettive, medicina generale e pneumologia, al 13 novembre a livello nazionale la percentuale di occupazione per pazienti Covid-19
era del 50 per cento. Anche qui siamo sopra alla soglia di allerta,
fissata al 40 per cento, con alcune regioni – come il
Piemonte – davvero in estrema difficoltà.