Votare a giugno penalizza i referendum?

Lo sostengono i promotori, mentre il governo risponde che è la normalità. Vediamo che cosa dicono i numeri
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Il governo Meloni ha deciso che i referendum sulla cittadinanza e sul lavoro si voteranno domenica 8 e lunedì 9 giugno, insieme agli eventuali ballottaggi nei comuni coinvolti dalle elezioni comunali. Queste date sono state criticate da alcuni promotori dei referendum, perché penalizzerebbero l’affluenza al voto, mentre sono state difese dagli esponenti del governo. 

«La scelta di questa data da parte del governo dimostra tutta la paura che l’esecutivo ha nel voto, perché tra le due possibilità è stata scelta quella più sfavorevole per la partecipazione popolare», ha dichiarato il segretario di Più Europa Riccardo Magi, tra i promotori del referendum sulla cittadinanza. «Noi avevamo richiesto che ci fosse l’abbinamento con il primo turno delle amministrative, quindi referendum day con il 25 e 26 di maggio». 

Il ministro per gli Affari europei, il PNRR e le Politiche di coesione Tommaso Foti (Fratelli d’Italia) ha risposto alle critiche dicendo che si è «sempre» votato ai referendum a giugno, in abbinamento ai ballottaggi. «L’affluenza è in relazione ai quesiti, non ai giorni. I temi importanti gli si affrontano sempre al di là dei giorni», ha aggiunto Foti.

Come vedremo, è vero che giugno è il mese in cui si sono tenuti più referendum. Ma a differenza di quanto dice Foti, non è vero che i referendum si sono sempre tenuti insieme ai ballottaggi alle elezioni comunali: un esempio recente smentisce il ministro. Gli ultimi referendum abrogativi organizzati in Italia sono stati quelli sulla giustizia: si è votato domenica 12 giugno 2022, in concomitanza con il primo turno delle elezioni comunali in quasi mille comuni. I ballottaggi si sono tenuti il 26 giugno.

Al di là dell’errore di Foti, è vero oppure no che i referendum votati a giugno hanno un’affluenza più bassa rispetto agli altri, come hanno suggerito Magi e altri promotori dei quesiti? Vediamo che cosa dicono i numeri.

L’affluenza ai referendum

Come indica il suo nome, un referendum abrogativo chiede agli elettori se sono favorevoli o contrari ad abrogare, ossia eliminare, una legge per intero o una sua parte. I risultati di un referendum abrogativo sono validi solo se viene raggiunto il quorum: deve votare più della metà degli aventi diritto di voto, quindi l’affluenza deve essere superiore al 50 per cento. In caso contrario, i risultati non contano.

Fino a oggi in Italia si sono votati 72 referendum abrogativi, in 18 tornate elettorali. In 13 occasioni, infatti, gli elettori sono stati chiamati a votare più di un quesito. Il primato spetta ai referendum dell’11 giugno 1995, quando si è votato su 12 quesiti referendari.

Come mostra il grafico, tra le prime nove tornate elettorali in cui si sono votati referendum abrogativi, solo in un’occasione non è stato raggiunto il quorum. Con il passare del tempo il rapporto si è ribaltato: l’affluenza ai referendum abrogativi è scesa e dal 1997 a oggi soltanto i quattro referendum tenuti il 12 e 13 giugno 2011 hanno superato l’affluenza del 50 per cento. Ai referendum sulla giustizia di giugno 2022 ha votato poco più del 20 per cento degli aventi diritto di voto, l’affluenza più bassa nella storia repubblicana.
Dunque, il referendum sulla cittadinanza e i quattro referendum sul lavoro che si terranno l’8 e 9 giugno prossimi si inseriscono in una dinamica di scarsa partecipazione ai referendum abrogativi. Addentrandoci nei numeri, che cosa dicono sul mese di voto?

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L’affluenza in base ai mesi

La legge stabilisce che i referendum abrogativi debbano tenersi in una data tra il 15 aprile e il 15 giugno. In due occasioni questo limite non è stato rispettato e il governo di turno ha dovuto approvare una proroga: nel 1987, a causa delle elezioni anticipate di giugno, si è deciso di votare a novembre per cinque referendum, tra cui quello sulle centrali nucleari; nel 2009 tre referendum sulla legge elettorale sono stati organizzati il 21 e 22 giugno, in concomitanza con i ballottaggi alle elezioni comunali. In un dibattito simile a quello di questi giorni, all’epoca la Lega Nord, contraria ai referendum, si era opposta ad accorpare il voto con quello del primo turno alle elezioni comunali del 6 e 7 giugno.

Tornando all’affluenza, i numeri mostrano che quando si è votato a giugno, in media l’affluenza ai referendum è stata più bassa rispetto a quando si è votato a maggio e ad aprile. Va sottolineato comunque che il mese di giugno è stato il più scelto per organizzare i referendum: su 18 tornate referendarie, 11 volte si è votato a giugno, tre a maggio, tre ad aprile e una sola volta a novembre. Delle ultime dieci tornate referendarie, sette si sono tenute a giugno.

La spinta delle comunali

Ci sono prove per sostenere, come fanno i promotori dei referendum sulla cittadinanza e sul lavoro, che l’affluenza ai referendum è spinta al rialzo quando il voto sui quesiti è organizzato insieme ad altre tornate elettorali, per esempio le elezioni comunali. 

Come detto, il 12 giugno 2022 si sono tenuti i referendum sulla giustizia e in oltre 800 comuni si è votato per il primo turno delle elezioni comunali. Dove si è votato solo per i referendum, l’affluenza è stata del 16 per cento, percentuale che sale al 51 per cento (quindi superiore al quorum per considerare validi i risultati dei referendum) nei comuni dove si sono tenute anche le elezioni comunali. Questo aumento è avvenuto nonostante, secondo i nostri calcoli, questi due gruppi diversi di comuni hanno avuto affluenze elettorali simili nelle elezioni successive. Alle elezioni politiche del 25 settembre 2022, infatti, il gruppo di comuni che aveva votato solo per i referendum sulla giustizia ha registrato un’affluenza del 63,7 per cento; il gruppo di comuni che ha votato anche per le elezioni comunali ha registrato un’affluenza del 64 per cento.

Questo “effetto traino” delle elezioni comunali è più forte quando il referendum è organizzato in concomitanza del primo turno, perché non in tutti i comuni è previsto il ballottaggio, ma solo in quelli con più di 15 mila abitanti. Di conseguenza, i comuni che vanno al secondo turno sono di meno e, in più, in alcuni casi ai ballottaggi l’affluenza tende ancora a calare rispetto al primo turno.

In ogni caso, le elezioni comunali di questa primavera coinvolgeranno meno comuni rispetto al 2022. Secondo le rilevazioni più aggiornate del Ministero dell’Interno, voteranno per il nuovo sindaco 122 comuni nelle regioni ordinarie,

L’affluenza in base ai quesiti

Analizzare l’affluenza ai referendum in base all’importanza dei quesiti – il parametro suggerito da Foti nella sua dichiarazione – non è un esercizio in cui ci possiamo addentrare. Stabilire se un quesito è più importante di un altro è qualcosa di soggettivo, e non quantificabile in maniera oggettiva.

È possibile però guardare come cambia l’affluenza ai referendum quando si vota per più di un quesito. È possibile, infatti, che se si vota su più temi, si attira la partecipazione al voto di più elettori, magari interessati a un quesito e non a un altro. Anche se quando si va a votare non si è obbligati a votare tutti i quesiti, i numeri mostrano che l’affluenza è più o meno simile per tutti i quesiti quando si vota per più referendum nella stessa tornata.

Delle 18 tornate referendarie che ci sono state finora, cinque hanno riguardato solo un quesito: in queste l’affluenza media è stata del 61,8 per cento. Le 12 volte che si è votato su più quesiti l’affluenza è stata del 49,3 per cento. L’ultima volta in cui è stato raggiunto il quorum, il 12 e 13 giugno 2011, si è votato per quattro referendum.

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