I referendum sulla cittadinanza e sul Jobs Act si terranno l’8 e il 9 giugno

Il governo ha stabilito la data per il voto sui cinque quesiti. Sarà negli stessi giorni dei ballottaggi delle prossime elezioni comunali
ANSA/IGOR PETYX
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Il 13 marzo il Consiglio dei ministri ha stabilito le date delle prossime elezioni comunali e dei referendum abrogativi su cittadinanza e lavoro: il primo turno delle elezioni comunali si terrà domenica 25 e lunedì 26 maggio, mentre l’eventuale turno di ballottaggio nei comuni con più di 15 mila abitanti si terrà domenica 8 e lunedì 9 giugno. 

L’8 e 9 giugno sono le date scelte anche per il voto sui cinque quesiti referendari, ossia quello per modificare le regole per l’ottenimento della cittadinanza italiana e i quattro quesiti su lavoro e Jobs Act

Il referendum sulla cittadinanza propone di abbassare da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale nel nostro Paese necessario per gli stranieri maggiorenni per chiedere la cittadinanza italiana. Gli altri quattro quesiti, promossi tra gli altri dal sindacato CGIL, puntano a eliminare alcune regole introdotte dal Jobs Act, la riforma del mercato del lavoro voluta dal governo Renzi, e a modificare alcune norme sulla sicurezza sul lavoro e le indennità di licenziamento.

La polemica sulle date

Nel comunicato stampa pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, si legge che le date per i referendum sono state scelte «in considerazione della necessità di conciliare la più ampia possibilità di partecipazione dei cittadini con le esigenze di continuità dell’attività didattica nelle scuole sedi di seggio elettorale». Nel prossimo Consiglio dei ministri le date saranno ufficialmente proposte al presidente della Repubblica, che darà il via libera finale.

La decisione presa dal governo sui referendum non ha soddisfatto alcuni comitati promotori. «Noi avevamo richiesto che i referendum fossero abbinati con il primo turno delle elezioni amministrative, quindi il 25 e 26 maggio», ha detto il segretario di Più Europa Riccardo Magi, che fa parte del comitato promotore del referendum sulla cittadinanza. Secondo Magi, la scelta di mettere insieme il voto per i referendum con il ballottaggio delle elezioni amministrative potrebbe sfavorire la partecipazione elettorale, visto che negli ultimi anni l’affluenza è spesso calata tra il primo e il secondo turno. Affinché il risultato sia valido, ai referendum deve votare almeno il 50 per cento più uno degli aventi diritto.

Il voto ai fuorisede

In ogni caso, Magi si è detto soddisfatto perché il governo ha accolto alcune richieste dei comitati promotori, tra cui quella di introdurre un sistema per garantire il voto ai cittadini fuorisede, ossia coloro che per motivi di studio, lavoro o di salute abitano in un comune diverso da quello di residenza. Il sistema elettorale italiano prevede infatti che ogni cittadino sia iscritto alle liste elettorali del comune in cui è residente e solo per le elezioni politiche è previsto il voto per corrispondenza degli italiani all’estero. I fuorisede che vivono in Italia sono esclusi dal voto per corrispondenza, e per partecipare alle elezioni devono per forza tornare nel luogo di residenza.

Il 13 marzo il governo ha approvato un decreto-legge per intervenire sul voto ai fuorisede. Il testo non è ancora stato pubblicato, ma il contenuto è stato riassunto nel comunicato stampa del Consiglio dei ministri, e stabilisce «la possibilità di partecipazione alle consultazioni referendarie dell’anno 2025 per tutti coloro che, per motivi di studio, lavoro o cure mediche, sono temporaneamente domiciliati in un comune di una provincia diversa da quella di residenza». Al momento non è chiaro come questa possibilità sarà garantita ai fuorisede, e per questo sarà necessario attendere il testo ufficiale del provvedimento.

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