Poche tutele e trasparenza: per i collaboratori parlamentari c’è ancora molto da fare

La Camera ha aggiornato in parte le sue regole, mentre il Senato non ancora. Il numero di chi assiste deputati e senatori resta al momento sconosciuto
Ansa
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Aggiornamento 6 marzo 2024, ore 13 – La Camera ha pubblicato i nuovi dati aggiornati sul numero dei collaboratori parlamentari dei deputati. Al 29 febbraio 2024 i collaboratori dei deputati erano 213. Quasi il 58 per cento ha un contratto di lavoro subordinato, il 26 per cento un contratto di collaborazione, mentre il 16 per cento sono autonomi.

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C’è chi scrive le proposte di legge, chi i discorsi da fare in aula, chi invece prepara gli emendamenti da portare in commissione. I collaboratori parlamentari sono fondamentali per deputati e senatori, ma ancora oggi sono poco considerati, tanto da essere chiamati “portaborse”. Questi assistenti sono spesso figure qualificate, soprattutto esperti in materie giuridiche, che da anni chiedono maggiori garanzie economiche e tutele per il lavoro che svolgono. Un lavoro che in alcuni casi va oltre le attività parlamentari: in passato c’è chi ha denunciato di aver dovuto ritirare abiti in sartoria per il parlamentare o di aver prenotato appuntamenti dal parrucchiere. Tra l’altro, è impossibile sapere quanti siano i collaboratori che lavorano attualmente in Parlamento.

A livello normativo, nella scorsa legislatura la Camera ha aggiornato le regole sull’inquadramento dei collaboratori parlamentari, introducendo le prime forme di tutela. Ma al Senato la situazione è ferma e c’è ancora meno trasparenza.

Che cosa manca in Senato

Sul sito del Senato non ci sono informazioni pubblicamente disponibili sull’inquadramento dei collaboratori parlamentari. Pagella Politica ha potuto leggere le linee guida per l’accredito dei collaboratori parlamentari consegnate ai senatori a inizio legislatura. In base a queste linee guida, un senatore può far accreditare al massimo due collaboratori, depositando una copia del contratto stipulato con ciascun collaboratore e una copia della documentazione inviata ai servizi territoriali del Ministero del Lavoro. Le linee guida non prevedono particolari tipologie di contratto, se a tempo determinato o di collaborazione con partita Iva. Il contratto deve comunque durare almeno sei mesi, con «una prestazione minima di 25 ore mensili corrispondenti a una retribuzione di 375 euro mensili». 

Secondo il presidente dell’Aicp, José De Falco, questo non significa che esista un salario minimo orario legale per i collaboratori parlamentari. «Quella indicata è una soglia minima. Per capirci, il contratto deve prevedere una prestazione minima di 25 ore mensili e una retribuzione minima di 375 euro, ma questo non vuol dire che esista un salario minimo legale di 15 euro lordi all’ora, che per professionisti qualificati non sarebbe neppure una grande cifra», ha detto De Falco a Pagella Politica. «L’esperienza dimostra peraltro che è possibile depositare contratti che non hanno retribuzione oraria, come consulenze a partita Iva e contratti co.co.co». 

Un senatore può anche depositare contratti stipulati non direttamente da lui ma da soggetti terzi. Per esempio è possibile accreditare un collaboratore che ha «un contratto di lavoro con il partito, il movimento politico, il gruppo parlamentare, o loro articolazioni interne, cui il senatore medesimo sia iscritto o faccia riferimento». I collaboratori accreditati al Senato, ha sottolineato De Falco, sono pagati dai senatori con i rimborsi spese per l’esercizio del mandato, istituiti nel 2012 come rimborso per le spese derivanti dalla carica ricoperta. Il rimborso per le spese di esercizio ammonta a circa 4.200 euro: 2.090 euro sono erogati ai senatori in forma forfettaria, senza bisogno di rendicontazioni; i restanti 2.090 euro sono assegnati sulla base di rendiconti quadrimestrali. Tra le spese rendicontabili ci sono quelle per l’organizzazione di convegni, per consulenze e ricerche, e per l’appunto anche quelle per i collaboratori parlamentari.

I tentativi di modifica

Da tempo l’Associazione italiana collaboratori parlamentari chiede al Senato di modificare le regole sull’inquadramento dei collaboratori. L’obiettivo è fare in modo che i collaboratori siano retribuiti direttamente dal Senato, senza passare per i senatori, evitando decisioni arbitrarie da parte dei senatori stessi e garantendo così retribuzioni certe. Al momento, però, la situazione è ancora ferma. 

Alla fine della scorsa legislatura, il 10 ottobre 2022 l’allora presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati aveva convocato una riunione del Consiglio di Presidenza del Senato per adottare le nuove regole per i collaboratori parlamentari. Alla seduta del Consiglio di Presidenza è mancato però il numero legale a causa dell’assenza di dieci componenti, tra cui quella di Ignazio La Russa, attuale presidente del Senato. Per questo motivo la delibera con le nuove regole non è stata adottata. Il 13 ottobre 2022 è iniziata la nuova legislatura e la discussione si è interrotta. 

Un anno dopo, il 26 ottobre 2023, durante l’esame in aula del progetto di bilancio interno il senatore del Partito Democratico Antonio Nicita ha presentato un ordine del giorno per chiedere di riprendere i lavori per l’aggiornamento delle regole sui collaboratori parlamentari. L’ordine del giorno è stato accolto dal senatore Gaetano Nastri (Fratelli d’Italia), che ricopre il ruolo di questore anziano. Come alla Camera, i questori si occupano di scrivere il bilancio del Senato e di gestire le risorse a disposizione, e fanno parte del Consiglio di Presidenza. Oltre a Nastri, attualmente i senatori questori sono Antonio De Poli (Noi Moderati) e Marco Meloni (Partito Democratico). A distanza di quattro mesi le nuove regole non sono ancora state adottate. Nastri ha confermato a Pagella Politica che il Consiglio di Presidenza sta lavorando alla delibera.

In ogni caso, a oggi è impossibile sapere quanti sono i collaboratori parlamentari attivi al Senato. Su questo punto abbiamo contattato l’ufficio stampa del Senato e al momento della pubblicazione di questo articolo siamo in attesa di una risposta.

La situazione alla Camera

Alla Camera il discorso è diverso. Alla fine della scorsa legislatura, il 4 ottobre 2022, l’Ufficio di Presidenza ha aggiornato le regole sul trattamento dei collaboratori, prevedendo una retribuzione minima. In base alle novità, il pagamento dei collaboratori deve essere effettuato direttamente dall’amministrazione della Camera e i collaboratori possono svolgere solo compiti riguardanti i lavori parlamentari. In precedenza non c’erano regole specifiche su come impiegare i collaboratori. Come al Senato, i collaboratori erano pagati direttamente dai deputati con cui avevano stipulato il contratto attraverso i rimborsi delle spese per l’esercizio del mandato. Alla Camera questo rimborso ammonta a circa 3.700 euro mensili.

In passato il vecchio sistema di inquadramento dei collaboratori aveva determinato situazioni poco chiare. Per esempio, a marzo 2021 un’ex collaboratrice parlamentare di Laura Boldrini, già presidente della Camera dal 2013 al 2018, aveva denunciato a Il Fatto Quotidiano il trattamento che avrebbe ricevuto da Boldrini. Secondo il suo racconto, la collaboratrice aveva svolto non solo compiti riguardanti l’attività parlamentare di Boldrini, ma anche mansioni di tutt’altro tipo, come «andarle a ritirare le giacche dal sarto, prenotare il parrucchiere», per una retribuzione mensile tra i 1.200 e i 1.300 euro. All’epoca Boldrini si era difesa dicendo che la collaboratrice non si era mai lamentata, pur confermando però di averla impiegata anche in ruoli non attinenti ai lavori parlamentari, ma sempre d’accordo con lei.

Con le regole approvate a ottobre 2022, sotto la presidenza di Roberto Fico (Movimento 5 Stelle), la Camera ha cercato di ovviare a queste situazioni. Nel dettaglio, la delibera ha previsto che ogni deputato possa accreditare al massimo due collaboratori, che non possono essere scelti tra parenti e coniugi. È stato anche istituito un nuovo sistema di retribuzione a scaglioni, con una retribuzione massima di circa 72 mila euro lordi all’anno per i collaboratori a tempo pieno (circa 6 mila euro lordi al mese) e una retribuzione minima di 29 mila euro lordi all’anno (circa 2.400 euro lordi al mese) per i collaboratori part-time. 

In base alle nuove norme, la retribuzione dei collaboratori è erogata direttamente dalla Camera: una parte delle somme è presa dal rimborso per le spese del mandato spettante al deputato, mentre la parte restante, volta al pagamento dei contributi previdenziali, è a carico del bilancio della Camera. Per esempio, dei 72 mila euro lordi per un collaboratore a tempo pieno, 44 mila euro (3.690 al mese) corrisponde al totale dei rimborsi destinati al deputato, mentre i restanti 28 mila euro sono a carico della Camera con fondi del bilancio interno e servono a pagare i contributi previdenziali. Queste nuove regole valgono comunque solo per i collaboratori che devono accedere alla Camera: quelli che operano da fuori, che seguono i deputati a livello locale, sono retribuiti ancora con il vecchio sistema, e quindi direttamente dai parlamentari.

Le nuove modifiche

Queste regole sono state comunque modificate nuovamente nella nuova legislatura. A febbraio 2023, sotto la nuova presidenza della Camera di Lorenzo Fontana (Lega), l’Ufficio di Presidenza ha modificato i livelli di retribuzione dei collaboratori parlamentari, eliminando i riferimenti alla tipologia di contratto a tempo parziale e introducendo tre nuovi scaglioni aggiuntivi, con livelli di retribuzione più bassi rispetto a quelli già esistenti, fino a un minimo di 16.430 euro lordi all’anno, circa 1.400 euro lordi al mese. L’obiettivo delle nuove regole è garantire una maggiore flessibilità nella scelta dei collaboratori da parte dei deputati. Queste modifiche sono state approvate da tutti i rappresentanti dei partiti nell’Ufficio di Presidenza, a eccezione del Movimento 5 Stelle e di Alleanza Verdi-Sinistra, secondo i quali le modifiche sono state adottate troppo poco tempo dopo l’introduzione delle nuove regole e senza una reale condivisione di tutti i gruppi. 

Come al Senato, anche alla Camera non è possibile comunque sapere quanti siano i collaboratori parlamentari dei deputati. Gli ultimi dati disponibili risalgono alla scorsa legislatura, al 31 maggio 2022. All’epoca i collaboratori dei deputati erano 510, di cui l’80 per cento con contratti autonomi o di collaborazione. Con tutta probabilità, però, a partire dalla nuova legislatura il numero dei collaboratori alla Camera è sceso, complice la riduzione dei deputati da 630 a 400 stabilita dalla riforma costituzionale approvata nel 2020. Fonti della Camera hanno fatto sapere a Pagella Politica che i dati aggiornati sui collaboratori per l’attuale legislatura saranno pubblicati nel mese di marzo.

Che cosa succede in Europa

In base alle verifiche di Pagella Politica, a livello europeo il quadro delle garanzie economiche e della trasparenza riguardo i collaboratori parlamentari è variegato. 

In Francia l’Assemblea Nazionale mette a disposizione per ogni deputato un fondo pari a circa 11 mila euro mensili per il pagamento dei soli collaboratori parlamentari, che possono essere al massimo cinque. In più, nelle pagine istituzionali di ogni deputato francese sono pubblicati i nomi dei collaboratori. In Germania il Bundestag paga direttamente i collaboratori parlamentari utilizzando un fondo mensile specifico, pari a quasi 26 mila euro per ogni deputato. Anche il Parlamento europeo paga direttamente i collaboratori degli europarlamentari con un fondo apposito, pari a 29 mila euro mensili per deputato. Sul sito del Parlamento europeo c’è poi una sezione specifica con all’interno i nomi dei collaboratori di ogni parlamentare e le regole sul loro inquadramento.

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