Chi decide se gli Stati Uniti possono usare le basi in Italia per fare la guerra

Dopo il bombardamento in Iran, il governo Meloni dice che servirebbe una sua autorizzazione. Ma gli accordi – in parte segreti – lasciano ampi margini di discrezionalità e il ruolo del Parlamento resta incerto
Due soldati statunitensi si occupano della manutenzione di un F-16 nella base aerea di Aviano – Ansa
Due soldati statunitensi si occupano della manutenzione di un F-16 nella base aerea di Aviano – Ansa
Dopo il bombardamento compiuto dagli Stati Uniti contro tre siti nucleari in Iran, una parte del dibattito politico si è concentrata sulla possibilità che le basi statunitensi presenti in Italia vengano utilizzate se il conflitto dovesse estendersi. 

Il 23 giugno, durante le comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha risposto alle richieste della segretaria del Partito Democratico Elly Schlein e del presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, che le avevano chiesto di non autorizzare l’uso delle basi statunitensi per un eventuale attacco all’Iran.

«Non è stato chiesto l’uso delle basi statunitensi in Italia, che, chiaramente, potranno essere utilizzate solo con un’autorizzazione del governo italiano», ha dichiarato Meloni, aggiungendo che è «velleitario speculare su scenari che al momento non si sono verificati, soprattutto in un contesto in rapida evoluzione». «Non penso che accadrà, ma in ogni caso posso garantire che una decisione del genere dovrebbe fare un passaggio parlamentare», ha concluso la presidente del Consiglio, chiarendo che, secondo lei, il permesso di usare le basi non deve essere dato «su base ideologica», ma «valutando il contesto, valutando i pro, i contro e le ragioni».

Quattro giorni prima, ospite a Dritto e Rovescio su Rete4, il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva spiegato che le basi statunitensi in Italia «sono disciplinate da un accordo degli anni Cinquanta» e che gli Stati Uniti possono usarle «soltanto spiegando per che cosa vogliono utilizzarle e dopo l’autorizzazione del governo italiano», precisando che – in quella data – tale autorizzazione non era stata ancora richiesta.

Ma quante sono le basi statunitensi presenti in Italia? E come funziona, esattamente, la procedura per il loro utilizzo? Serve l’autorizzazione del governo e del Parlamento, oppure no? Proviamo a fare chiarezza su un tema su cui non tutte le informazioni sono pubblicamente accessibili.

Le basi statunitensi in Italia

Il numero esatto delle basi militari statunitensi in Italia non è noto. Non esiste infatti un elenco ufficiale, e secondo alcuni esperti è spesso difficile distinguere tra le basi della NATO e quelle controllate direttamente dagli Stati Uniti. Per esempio, un documento del Dipartimento di Stato statunitense del 2022 menziona cinque «basi principali» statunitensi in Italia. Altre fonti parlano di otto basi.

Senza entrare nei dettagli numerici, le principali strutture in cui operano le forze armate statunitensi in Italia sono: la base aerea di Aviano in Friuli-Venezia Giulia, tra le più grandi dell’aeronautica statunitense in Europa; la base aeronavale di Sigonella in Sicilia, che è stata usata anche per operazioni della NATO; la Caserma Ederle e la Caserma del Din nei pressi di Vicenza in Veneto, che ospitano una brigata dell’aeronautica statunitense; le basi della Naval Support Activity (NSA) tra Napoli e Gaeta, al confine tra Lazio e Campania, dove ha sede il comando delle forze navali statunitensi in Europa; la base di Ghedi in Lombardia, che ospita alcune testate nucleari statunitensi; e la base di Camp Darby, situata in Toscana tra Pisa e Livorno, nota come il più grande deposito europeo di munizioni statunitensi. 

Ma di chi sono queste basi? Della NATO o degli Stati Uniti? «La risposta non è immediata», ha spiegato a Pagella Politica Domenico Pauciulo, ricercatore di Diritto internazionale all’Università di Trieste e professore a contratto di International Trade Law all’Università Luiss di Roma. «Basi come quella di Aviano e quella di Sigonella sono chiaramente nate per un supporto logistico alle attività della NATO, ma sono strutture in cui sono dislocate principalmente truppe e mezzi statunitensi sotto comando statunitense, quindi può dirsi che nella sostanza si tratta di basi degli Stati Uniti», ha aggiunto Pauciulo.

I precedenti

Nel 2011, dopo che le Nazioni Unite autorizzarono l’uso della forza per fermare la guerra civile in Libia, le basi di Aviano e Sigonella furono usate per lanciare attacchi aerei statunitensi nell’ambito dell’operazione NATO “Unified Protector”, a cui partecipò anche l’Italia.
Il titolo del quotidiano L’Unità del 20 marzo 2011 sull’uso delle basi di Aviano e Sigonella nell’operazione militare in Libia – Fonte: Archivio storico L’Unità
Il titolo del quotidiano L’Unità del 20 marzo 2011 sull’uso delle basi di Aviano e Sigonella nell’operazione militare in Libia – Fonte: Archivio storico L’Unità
Nel 2018, durante un attacco coordinato da Stati Uniti, Francia e Regno Unito contro obiettivi in Siria in risposta all’uso di armi chimiche, l’Italia decise di non partecipare all’operazione per l’assenza di un mandato ONU. Di conseguenza, dalle basi in Italia non partirono bombardamenti. Da Sigonella decollarono solo aerei spia statunitensi, che avevano il compito di raccogliere informazioni o individuare eventuali obiettivi.

Gli accordi con gli Stati Uniti

La costruzione e la gestione delle basi statunitensi in Italia sono regolate da una serie di intese siglate a partire dalla fine degli anni Quaranta, sia in ambito NATO sia bilateralmente con gli Stati Uniti.

Il primo di questi accordi è il trattato Nord-Atlantico, con cui è stata  creata la NATO, firmato a Washington nel 1949. L’intesa prevede la reciproca assistenza tra gli Stati membri per aumentare la capacità collettiva e individuale di resistere ad eventuali attacchi militari. Nel 1951 è seguita una convenzione che stabilisce le norme per la presenza di personale militare di uno o più Stati membri sul territorio di un altro Stato dell’Alleanza. Sempre negli anni Cinquanta, l’Italia ha firmato un accordo bilaterale con gli Stati Uniti sulla reciproca assistenza difensiva.

I due trattati che delineano nello specifico le possibilità e i limiti dell’attività delle forze militari statunitensi sul suolo italiano sono però due accordi stipulati nel 1954: l’Air Technical Agreement, che riguarda i velivoli, e il Bilateral Infrastructure Agreement (BIA), che regola l’uso delle basi militari concesse agli Stati Uniti in Italia. Quest’ultimo accordo, che di fatto stabilisce cosa possono o non possono fare gli Stati Uniti con le loro basi italiane, è secretato e «non è mai stato declassificato, nonostante alcune richieste dell’Italia al governo statunitense», ha aggiunto Pauciulo. «L’accordo è stato concluso 70 anni fa, quindi veramente in un’altra epoca, perciò secondo l’Italia i suoi termini potrebbero essere resi noti, considerando anche che successivi accordi, come i memorandum tecnici per singole basi, sono invece pubblici», ha spiegato l’esperto.

Il documento di Wikileaks

Nel 2008 Wikileaks – l’organizzazione fondata da Julian Assange – ha diffuso una nota confidenziale in cui le autorità statunitensi discutono di una richiesta italiana di rendere pubblico il BIA.

Il documento riservato rivela che gli Stati Uniti giudicarono la richiesta italiana «controproducente» a causa dell’articolo 2 dell’accordo, secondo cui «il governo degli Stati Uniti si impegna a utilizzare le installazioni concordate esclusivamente per l’adempimento delle proprie responsabilità NATO e, in ogni caso, a non utilizzarle per scopi bellici se non in conformità con le disposizioni NATO o in accordo con il governo italiano»

In teoria, dunque, l’uso delle basi USA in Italia sarebbe limitato alle attività NATO. Nella prassi, però, lo stesso documento spiega che «tradizionalmente gli Stati Uniti hanno interpretato questa formulazione in senso ampio, nel senso che le forze statunitensi possono essere usate per operazioni non NATO (come l’Iraq o missioni umanitarie in Africa) purché il governo italiano dia il suo consenso». Il testo spiega che, negli anni, «le autorità militari e politiche italiane hanno generalmente accettato questa interpretazione e concesso il loro consenso in modo relativamente informale». Per questo motivo, secondo le autorità statunitensi, diffondere il contenuto del BIA potrebbe essere rischioso. 

«È probabile che, se il testo dell’accordo venisse reso pubblico, i partiti politici che si oppongono alla presenza militare statunitense in Italia e al coinvolgimento militare statunitense all’estero farebbero pressione sul governo dell’Italia affinché ne adotti un’interpretazione più restrittiva, chiedendo che non vengano intraprese azioni non NATO senza ampi negoziati formali con il governo italiano», si legge nel documento diffuso da Wikileaks

Insomma, sulla base di quanto scritto nella comunicazione riservata, non servirebbe il via libera del Parlamento italiano per autorizzare gli Stati Uniti a usare le loro basi militari in Italia per un eventuale attacco a un altro Paese.

Questa versione è stata sostanzialmente confermata a Pagella Politica da un ex ministro della Difesa italiano, che ha preferito rimanere anonimo. Nel caso in cui volessero usare le basi per attaccare l’Iran, «gli Stati Uniti dovrebbero presentare una richiesta formale al governo italiano, specificando l’obiettivo e la natura dell’operazione». «Il governo valuta la richiesta in base agli interessi nazionali, al diritto internazionale e agli obblighi costituzionali. Il ministro della Difesa informa il Parlamento, anche se non sempre è richiesta un’approvazione formale per operazioni logistiche o di supporto», ha spiegato l’ex ministro della Difesa, sulla base della sua esperienza. In altre parole, il ministro della Difesa informa il Parlamento della richiesta pervenuta, anche se non è strettamente necessaria una votazione di Camera e Senato per autorizzarla.

Il memorandum del 1995

L’assenza di un parere parlamentare vincolante sembra confermata anche da un memorandum successivo al BIA, firmato nel 1995 tra l’Italia e gli Stati Uniti e pubblicamente disponibile. Questa intesa stabilisce che il comando delle basi militari statunitensi nel nostro Paese spetta formalmente all’Italia, che si deve occupare della gestione logistica delle basi e delle attività militari congiunte tra l’esercito statunitense e quello italiano. 

Il comando militare delle truppe, dei mezzi e delle operazioni statunitensi, però, spetta esclusivamente agli Stati Uniti, che hanno solo il dovere di informare in anticipo il comandante italiano delle attività militari «significative». 

Il memorandum aggiunge che «il comandante italiano avvertirà il comandante statunitense se dovesse ritenere che alcune attività statunitensi non rispettano la legge italiana, e chiederà immediatamente consiglio alle più alte autorità italiane», senza un riferimento specifico al Parlamento. In caso di differenze di vedute tra i due comandi nazionali, la controversia passerà «alle rispettive catene di comando». 

Che cosa dicono gli esperti

Secondo alcuni osservatori, come il costituzionalista Michele Ainis, il governo italiano dovrebbe comunque chiedere il via libera al Parlamento per autorizzare gli Stati Uniti a usare le loro basi per attaccare l’Iran. Intervistato da Il Sole 24 Ore, Ainis ha detto che «qualunque decisione che ha a che fare con l’appoggio o l’intervento diretto militare o l’appoggio a un altro Stato non può non avere una “benedizione” parlamentare». 

A sostengo di questa tesi, Ainis ha citato l’articolo 11 della Costituzione, in base al quale l’Italia «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». In più, il costituzionalista ha citato l’articolo 78 della Costituzione, che stabilisce che il Parlamento deve deliberare lo stato di guerra e dare i poteri necessari al governo per intervenire in un conflitto.

Per Pauciulo, interpellare il Parlamento per autorizzare l’uso delle basi statunitensi è sicuramente una questione di opportunità politica, ma non un obbligo. «Quello che sappiamo sugli accordi tra Italia e Stati Uniti e della prassi che si è consolidata negli anni non implicano un coinvolgimento del Parlamento in queste scelte, che spettano al Governo. Il Parlamento deve essere coinvolto, invece, quando sono coinvolte truppe e assets italiani», ha precisato il ricercatore.
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