Chi ha ragione sulle spese della NATO tra Meloni, Schlein e Conte

I leader dell’opposizione sostengono che la Spagna abbia ottenuto maggiore flessibilità, mentre per la presidente del Consiglio gli accordi sono uguali per tutti. Vediamo come stanno davvero le cose
EPA/TOMS KALNINS
EPA/TOMS KALNINS
Il 23 giugno, durante le comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha confermato che l’Italia rispetterà l’impegno concordato dai Paesi membri della NATO: aumentare le spese militari fino a raggiungere un valore pari al 5 per cento del Prodotto interno lordo (PIL).

In aula, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein e il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte hanno criticato questa scelta, invitando Meloni a seguire l’esempio del capo del governo spagnolo Pedro Sánchez, che avrebbe ottenuto una maggiore flessibilità. «Sánchez ha dimostrato che si può dire di no e lei dovrebbe tenere la stessa posizione, presidente, nell’interesse dell’Italia e delle nuove generazioni, a cui si rischia di ipotecare il futuro», ha detto Schlein. «Ha visto Sánchez? Ha negoziato un accordo; lo faccia anche lei», ha dichiarato Conte.

Meloni ha risposto alle critiche affermando: «Su Sánchez e sul perché non ha fatto come la Spagna, comunico ufficialmente che non c’è alcuna differenza tra gli impegni che ha assunto la Spagna in ambito NATO e quelli che ha assunto l’Italia. Gli impegni sono uguali per tutti e sono stati sottoscritti da tutti».

Chi ha ragione, quindi? È vero, come sostengono Schlein e Conte, che la Spagna non dovrà portare le spese militari al 5 per cento? O ha ragione Meloni nel dire che gli impegni sono identici per tutti? In breve, stando alle informazioni attualmente disponibili, entrambe le versioni sono solo parzialmente corrette.

L’obiettivo del 5 per cento

Il 5 giugno, durante un vertice a Bruxelles, i ministri della Difesa dei Paesi NATO hanno concordato un nuovo obiettivo: portare le spese militari al 5 per cento del PIL entro il 2035. Di questa quota, il 3,5 per cento dovrà essere destinato alla cosiddetta “difesa principale” (in inglese core defence), che comprende voci di spesa come armamenti e stipendi dei soldati. Il restante 1,5 per cento andrà invece alla spesa legata alla sicurezza, come gli investimenti in infrastrutture e cybersicurezza.

Questo impegno aggiorna quello precedente, preso nel 2014 e confermato anche dai governi italiani successivi, secondo cui ogni Paese NATO deve spendere almeno il 2 per cento del proprio PIL in difesa.

Salvo sorprese, il nuovo obiettivo sarà formalmente approvato durante il vertice NATO in programma il 24 e 25 giugno a L’Aia, nei Paesi Bassi, come annunciato dal segretario generale della NATO Mark Rutte in una conferenza stampa tenuta il 23 giugno. Rutte ha definito l’impegno del 5 per cento «ambizioso, storico e fondamentale per la sicurezza del nostro futuro».

L’annuncio di Sánchez

Durante la stessa conferenza stampa, Rutte ha risposto anche a un paio di domande sulla Spagna, protagonista nei giorni precedenti di un’intesa che ha generato alcune incomprensioni.

Il 22 giugno, il presidente del governo spagnolo Sánchez – che è il segretario del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) – ha dichiarato che la Spagna ha raggiunto un accordo con la NATO che le consentirà «di rispettare pienamente i propri impegni all’interno dell’Alleanza senza dover aumentare la spesa per la difesa al 5 per cento del PIL», come riportato dal sito del governo. Secondo Sánchez, la Spagna dovrà portare le spese militari al 2,1 per cento del PIL, «né più né meno», per soddisfare gli impegni NATO. Secondo le stime della stessa NATO, nel 2024 la Spagna era il Paese dell’Alleanza che spendeva meno di tutti in difesa, una cifra pari a circa l’1,3 per cento del PIL.

Lo stesso giorno, Sánchez ha pubblicato su X una lettera ricevuta da Rutte, in risposta a un tweet del leader del Partito Popolare spagnolo Alberto Núñez Feijóo, che aveva messo in dubbio il suo annuncio. «Comprendo che la Spagna è convinta di poter rispettare i nuovi obiettivi di capacità concordati, seguendo una traiettoria di spesa inferiore al 5 per cento del PIL», si legge nella lettera. «Posso confermare che l’accordo previsto al prossimo vertice della NATO darà alla Spagna la flessibilità di determinare in modo sovrano il proprio percorso per raggiungere gli obiettivi di capacità e le risorse annuali necessarie in percentuale del PIL, nonché di presentare i propri piani annuali. Inoltre, la traiettoria e la composizione della spesa prevista da questo piano saranno riviste nel 2029».

Come spiega il sito della NATO, gli obiettivi di capacità (in inglese capability targets) indicano che cosa ogni Paese membro dell’Alleanza deve essere in grado di fare, dal punto di vista militare, per contribuire alla difesa collettiva. Non si tratta solo di avere soldati o armi, ma di mettere insieme in modo coordinato vari elementi: come si è organizzati, come ci si addestra, quali tecnologie si usano, che tipo di strutture si hanno, e se tutto questo può funzionare bene insieme alle forze degli altri Paesi.

I nuovi obiettivi di capacità, concordati dai ministri della Difesa della NATO a inizio giugno, puntano a rafforzare la capacità militare degli Stati membri, chiedendo un aumento delle forze disponibili, dotazioni più adeguate e investimenti più consistenti nel settore della difesa. Per raggiungerli sarà necessario potenziare l’industria bellica, rendere più efficienti le catene di approvvigionamento e adottare tecnologie più avanzate. Tra le aree considerate prioritarie ci sono la difesa dai missili e dagli attacchi aerei, i sistemi d’arma a lungo raggio, il supporto logistico e le grandi forze terrestri in grado di muoversi rapidamente.

In sostanza, la Spagna ritiene di poter raggiungere questi obiettivi con una spesa poco superiore al 2 per cento del PIL. Tuttavia, nella conferenza stampa del 23 giugno, Rutte ha parzialmente smentito questa interpretazione.

La replica di Rutte

Rispondendo ai giornalisti, il segretario generale della NATO ha precisato che «la Spagna ha preso l’impegno di rispettare gli obiettivi di capacità».

«Il fatto è che la Spagna pensa di poter raggiungere quegli obiettivi con una spesa pari al 2,1 per cento del PIL. Ma la NATO è assolutamente convinta, assolutamente convinta che la Spagna dovrà spendere il 3,5 per cento per riuscirci. Ogni Paese, quindi, riferirà regolarmente su quanto sta facendo in termini di spesa e di raggiungimento degli obiettivi. Vedremo. In ogni caso, ci sarà una revisione nel 2029», ha spiegato Rutte.

Alla domanda su come la NATO controllerà, fino al 2029, che tutti i Paesi stiano davvero aumentando in modo credibile la spesa in difesa, Rutte ha risposto così: «Prima di tutto, riguardo a quanto ha detto sulla Spagna: la NATO non prevede deroghe, e la NATO non conosce accordi separati o accordi paralleli». «Tutti gli alleati, ovviamente, hanno il diritto sovrano e anche la flessibilità di decidere in che modo rispettare gli impegni presi con la NATO. Questo significa stabilire quanto spenderanno ogni anno. Ed è esattamente ciò che stiamo facendo», ha aggiunto il segretario generale.

Rutte ha anche spiegato che c’è una «grande differenza» rispetto all’impegno preso nel 2014, sul portare le spese in difesa al 2 per cento del PIL. «Ora ci saranno rapporti annuali su quanto ciascun Paese sta spendendo, e revisioni regolari su come stanno andando le cose. Nel 2029 faremo il punto, anche in base alla situazione della sicurezza internazionale, per capire se, per esempio, sarà necessario aumentare ulteriormente la spesa complessiva come Alleanza», ha detto Rutte. 

Negli scorsi giorni, altri Paesi membri della NATO hanno provato a seguire l’esempio spagnolo. Il 23 giugno il primo ministro della Slovacchia Robert Fico ha detto che il suo Paese ha altre priorità rispetto all’aumento della spesa in difesa. Lo stesso giorno il ministro degli Esteri del Belgio Maxime Prévot ha dichiarato che il suo Paese non riuscirà nel breve o nel medio termine a portare le spese militari al 3,5 per cento del PIL. 

Ricapitolando: Meloni ha ragione a dire che Spagna e Italia hanno firmato lo stesso impegno con la NATO, che prevede l’obiettivo del 5 per cento del PIL da raggiungere entro i prossimi anni. Ma hanno ragione anche Schlein e Conte nel sostenere che la Spagna sta cercando di raggiungere quegli obiettivi di capacità con una spesa inferiore, e ha ottenuto dalla NATO il riconoscimento di una sorta di “flessibilità sovrana”. Secondo il governo spagnolo, basterà arrivare al 2,1 per cento del PIL. Ma secondo la NATO, no: per farcela davvero servirà arrivare almeno al 3,5 per cento. Nel frattempo, ogni Paese dovrà presentare rapporti annuali e la situazione sarà rivista nel 2029.

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