Dieci domande e risposte sul Mes

Ora che si è tornati a parlare della sua riforma, è utile conoscerne le caratteristiche più importanti e la storia
ANSA
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In queste settimane la riforma del trattato che ha istituito il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) è tornata al centro del dibattito politico. Venerdì 30 giugno nell’aula della Camera inizierà la discussione del disegno di legge sulla ratifica del trattato, ma il 28 giugno, durante le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 29-30 giugno, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ribadito alla Camera: «Io dico a voi, dico a tutto il Parlamento, che discutere adesso questo provvedimento non è nell’interesse nazionale italiano».

In dieci domande e risposte cerchiamo di capire, nel modo più chiaro possibile, che cos’è il Mes, qual è il contenuto di questa tanto discussa riforma e perché se ne parla da anni.

Che cos’è il Mes?

Il Meccanismo europeo di stabilità, abbreviato con la sigla “Mes”, è un organismo intergovernativo permanente la cui funzione fondamentale è concedere, nel rispetto di precise condizioni, aiuti finanziari ai Paesi membri che hanno difficoltà a finanziarsi sui mercati. Per questo motivo il Mes è noto anche con il nome di “Fondo Salva-Stati”. Fanno parte del Mes, e possono chiedergli assistenza, i 20 Paesi dell’Unione europea che adottano l’euro come moneta unica. Il Mes è uno strumento intergovernativo, cioè gestito dagli Stati nazionali, e non comunitario, cioè sottomesso a Commissione europea e al Parlamento europeo. Quest’ultimo non viene coinvolto nelle decisioni del Mes e la Commissione ha un ruolo di supporto, come vedremo meglio più avanti.

Il Mes ha a disposizione una serie di strumenti per sostenere le richieste di Paesi in difficoltà economica: può erogare prestiti economici, dati in cambio dell’accettazione da parte del Paese aiutato di un programma di riforme concordato; può acquistare sui mercati i titoli di Stato del Paese in difficoltà; può aprire linee di credito in via precauzionale; può erogare prestiti per la ricapitalizzazione indiretta delle banche; e può contribuire a ricapitalizzazioni dirette degli istituti finanziari.

Per fornire l’assistenza richiesta, il Mes raccoglie i soldi sui mercati finanziari, emettendo debiti che sono garantiti da tutti i suoi membri.

Chi ha approvato il Mes?

Il Mes è stato ufficialmente istituito a ottobre 2012, quando ha sostituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria (l’European financial stability facility, o Efsf), un fondo temporaneo creato nel 2010 per rispondere alla crisi economica di quegli anni. La creazione del Mes fu concordata a livello europeo nel 2010, quando il governo italiano era guidato da Silvio Berlusconi, sostenuto dalla Lega Nord e con Meloni ministra della Gioventù. A luglio 2011 l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti firmò il trattato che istituiva il Mes, che però non entrò in vigore, ma fu comunque la base per la versione del trattato successiva (quella tutt’oggi ancora in vigore), siglata dal governo di Mario Monti a febbraio 2012, dunque più di dieci anni fa.

A luglio 2012 il Parlamento ha approvato il disegno di legge per la ratifica del trattato che istituiva il Mes. Al Senato il Popolo della Libertà, ossia il partito dove erano confluiti Forza Italia e Alleanza Nazionale, votò a favore della ratifica del trattato, così come il Partito Democratico, mentre la Lega votò contro. Stesso discorso vale per la Camera, dove il giorno della votazione la deputata Meloni era però assente. Curiosità: nel Popolo della Libertà ci furono i voti ribelli di due deputati, contrari alla ratifica. Uno di questi era stato quello di Guido Crosetto, oggi ministro della Difesa.

Che cosa prevede la riforma?

A gennaio 2021 i Paesi membri del Mes hanno firmato una riforma del trattato che ha istituito il fondo. All’epoca il presidente del Consiglio in Italia era Giuseppe Conte, alla guida di un governo supportato da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali. 

Il contenuto della riforma è molto tecnico, ma si possono isolare alcune novità importanti (qui è possibile confrontare, con il testo a fronte, il trattato istitutivo e quello riformato). Una prima novità della riforma riguarda il cosiddetto “backstop”, un paracadute finanziario che il nuovo Mes fornirebbe al “Fondo di risoluzione unico” (Fsr), un fondo finanziato dalle banche degli Stati dell’area euro, pensato per risolvere le crisi bancarie. In altri termini, se il Fsr finisce i soldi (un caso comunque estremo), il Mes può prestare le risorse necessarie. 

La riforma punta inoltre a semplificare e rendere più appetibili le linee di credito precauzionali a cui uno Stato può accedere se, in grave difficoltà economica, vuole evitare di finire a rischio di speculazioni finanziarie sui mercati. 

Un’altra novità, tra le più controverse, riguarda la modifica delle cosiddette “clausole di azione collettiva” (Cacs). Se la riforma del trattato diventasse effettiva, i Paesi dell’area euro dovranno avere non più una clausola di azione collettiva (Cac) a maggioranza doppia ma singola. Che cosa significa in parole semplici? Se un Paese non riesce più a ripagare il proprio debito pubblico, ai detentori dei titoli sarà sufficiente una votazione a maggioranza – e non una doppia votazione come avviene ora – per chiedere la ristrutturazione del debito, ossia per ricontrattarne le condizioni.

Che cosa comporta la ratifica della riforma?

La riforma del Mes non è ancora entrata in vigore: per diventare effettiva deve essere ratificata dai Parlamenti di tutti i Paesi membri dell’organizzazione. Al momento l’Italia è l’unico Paese membro del Mes a non aver ancora ratificato la riforma del trattato. L’ultimo Stato ad aver ratificato la riforma in ordine temporale è stata la Croazia, che dal 2023 è diventato il ventesimo membro del Mes. 

La ratifica della riforma del trattato non comporta una richiesta di aiuto al Mes: non c’è nessun automatismo. Sono due processi separati. Al momento però chi volesse chiedere assistenza al Mes non potrebbe farlo sulla base delle novità contenute nella riforma, perché il trattato in vigore è ancora quello istitutivo.

Qual è la posizione del governo Meloni?

Come anticipato, la presidente del Consiglio ha ribadito in Parlamento che secondo lei non è il momento adatto per discutere della ratifica della riforma del trattato del Mes. «Ha senso che noi procediamo a una ratifica senza conoscere quale sia il contesto? Senza conoscere come lo strumento del quale stiamo dibattendo s’inserisce nella logica più generale? Senza sapere qual è la riforma della governance del Patto di stabilità? Senza sapere che cosa è accaduto sull’Unione bancaria? Senza sapere che cosa è accaduto sulla garanzia dei depositi? Su mille questioni che sono aperte e che secondo me è corretto porre sul tavolo nella loro completezza», ha dichiarato Meloni alla Camera il 28 giugno. 

In pratica il governo sembra voler prendere ancora tempo, nell’attesa di conoscere tra le altre cose gli sviluppi sulla riforma del Patto di stabilità, quello che fissa per tutti gli Stati membri dell’Ue alcuni parametri economici da rispettare. Alla fine di novembre 2022 la Camera aveva approvato una mozione dei partiti della maggioranza che impegnava il governo Meloni a «non approvare il disegno di legge di ratifica della riforma del trattato istitutivo del Mes alla luce dello stato dell’arte della procedura di ratifica in altri Stati membri e della relativa incidenza sull’evoluzione del quadro regolatorio europeo». 

In passato i partiti che compongono l’attuale maggioranza di governo, da Fratelli d’Italia alla Lega, passando per Forza Italia, hanno spesso criticato l’operato del Mes e criticato la riforma del trattato, a volte con dichiarazioni false e fuorvianti, altre volte con dichiarazioni corrette. Anche il Movimento 5 Stelle in passato è stato molto critico nei confronti del Mes e dubbioso verso la riforma. E lo scorso 22 giugno i deputati del partito guidato da Conte si sono astenuti in Commissione Affari esteri alla Camera, quando è stato approvato il testo del disegno di legge sulla ratifica del trattato del Mes, che dovrà essere esaminato dall’aula, con l’assenza dei partiti di governo. A favore della ratifica del trattato sono invece il Partito Democratico, Italia Viva e Azione. Il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ha espresso dubbi sull’utilità del Mes, ma si è detto disponibile a votare a favore della riforma.

Quali Paesi hanno chiesto aiuto al Mes?

Fino a oggi i Paesi che hanno ricevuto assistenza dall’Efsf e dal Mes sono stati cinque. Tra il 2010 e il 2013 l’Irlanda ha ricevuto quasi 18 miliardi di euro di prestiti dall’Efsf, mentre tra il 2011 e il 2014 il Portogallo ha ricevuto 26 miliardi. Tra il 2012 e il 2013 il Mes ha erogato oltre 41 miliardi di euro alla Spagna per la ricapitalizzazione indiretta delle sue banche in difficoltà, uno strumento diverso rispetto a quello richiesto dal Portogallo e da Cipro, che tra il 2013 e il 2016 ha ottenuto più di 6 miliardi di euro di prestiti dal Mes. Il caso più famoso e più discusso di supporto a un Paese europeo è però quello della Grecia, che in tre programmi di aiuto diversi ha ricevuto tra il 2010 e il 2018 quasi 142 miliardi di euro dell’Efsf e circa 62 miliardi di euro dal Mes.  

Vari indicatori, dall’andamento del Pil pro capite a quello del debito pubblico in rapporto al Pil, mostrano che la maggior parte dei Paesi che sono stati aiutati dal Mes non è stata «massacrata», per usare un’espressione utilizzata di recente dal ministro della Difesa Crosetto. 

Un discorso a parte merita comunque la Grecia: come indicato in un rapporto di valutazione indipendente sull’effetto del Mes, commissionato dallo stesso Mes e pubblicato nel 2020, la Grecia ha effettivamente subìto effetti negativi dal programma di salvataggio. In particolare i tagli alla spesa imposti come condizionalità hanno avuto pesanti conseguenze sull’accesso ai servizi pubblici per i greci e ne hanno ridotto il benessere sociale. Lo stesso rapporto indipendente, però, sottolinea che il Mes ha riconosciuto i propri errori e che negli anni successivi ai primi interventi ha tenuto di più in considerazione il benessere sociale della popolazione.

Che cosa c’entra il Mes con la Covid-19?

Chi segue con attenzione il dibattito politico italiano si ricorderà che nei mesi successivi allo scoppio della pandemia di Covid-19 si è parlato molto del Mes. In particolare vari esponenti politici, in particolare di Italia Viva, hanno con insistenza chiesto, prima al secondo governo Conte poi al governo Draghi, di ricorrere all’aiuto del Mes per far fronte alle spese sanitarie.

A maggio 2020 gli Stati membri del Mes hanno infatti creato il Pandemic crisis support. Questa era una speciale linea di credito aperta per sostenere le spese in sanità durante la pandemia di Covid-19. Lo strumento è rimasto disponibile fino alla fine del 2022 e consentiva a uno Stato membro dell’area euro di chiedere prestiti per un valore massimo pari al 2 per cento del proprio Pil del 2019. Per l’Italia stiamo parlando di una cifra intorno ai 37 miliardi di euro. Nessuno Stato ha fatto richiesta di accesso al Pandemic crisis support.

Perché dire no al Mes?

Proprio durante la pandemia si è tornati a parlare molto delle controindicazioni di un’eventuale richiesta di assistenza al Mes. 

Secondo i critici, un primo problema è che il Mes è un creditore privilegiato: questo significa che un suo eventuale prestito deve essere ripagato prima rispetto ai prestiti dati eventualmente da altri soggetti (tranne che dal Fondo monetario internazionale). Tale condizione di “privilegio” potrebbe costituire uno svantaggio dal momento che gli investitori privati che volessero acquistare debito pubblico di un Paese potrebbero chiedergli interessi più alti, considerato il rischio di venir pagati dopo il Mes.

In secondo luogo c’è il discorso del cosiddetto “stigma”: durante la pandemia chiedere per primi un aiuto al Pandemic crisis support sarebbe potuto essere letto dai mercati come un segnale di debolezza, con conseguenze sui tassi di interesse dei titoli di Stato. Infine c’è il dibattito sulla questione delle condizioni con cui il Mes fa i prestiti ai Paesi. Il Pandemic crisis support non imponeva agli Stati che ne avessero fatto ricorso di attuare determinate riforme, come invece è successo in passato per altre nazioni, in particolare la Grecia come abbiamo visto.

Quanti soldi ha messo l’Italia nel Mes?

Il trattato del Mes stabilisce che il capitale effettivamente versato da tutti i Paesi membri sia di oltre 80 miliardi di euro. Di questi, il 17,8 per cento (pari a oltre 14 miliardi di euro) è stato versato dall’Italia, che dietro a Germania e Francia è il terzo contributore. Il nostro Paese si è impegnato a sottoscrivere, in caso di necessità, fino a oltre 125 miliardi di euro di capitale. Questi soldi si uniscono a quelli sottoscritti dagli altri membri del Mes, per un totale che il trattato ha stabilito essere inizialmente di quasi 705 miliardi di euro. Ma sono, appunto, soldi ancora non versati.

Possiamo richiedere indietro i soldi messi nel Mes, come spesso suggerito da vari esponenti del governo, tra cui Salvini? Il trattato del Mes non prevede un meccanismo di estinzione del fondo e la sua esistenza è legata all’esistenza dell’Unione monetaria europea e, quindi, a quella dell’euro. In altre parole fintanto che l’Italia avrà come moneta l’euro e, a meno che i Paesi firmatari non decidano di modificare il trattato istitutivo del Mes, il capitale da noi versato rimarrà a disposizione del Mes. È quindi molto improbabile che gli oltre 14 miliardi di euro versati dall’Italia saranno restituiti, ed è ancora più improbabile il fatto che possano essere richiesti indietro a piacimento dai vari Paesi coinvolti.

Come funzionano le richieste d’aiuto?

Il Mes interviene su richiesta dei singoli Paesi che si trovano in difficoltà finanziarie. Se il Consiglio dei governatori, dove siedono i ministri dell’Economia dei Paesi membri, è d’accordo sull’attivazione del Mes, dà mandato alla Commissione Ue di iniziare un negoziato con il richiedente. Una volta definito un primo accordo – il cosiddetto memorandum of understanding – fra le parti, questo torna all’esame del Mes, che deve poi votarlo. In base al trattato in vigore, le decisioni del Consiglio dei governatori e del Consiglio di amministrazione del Mes sono adottate di «comune accordo, a maggioranza qualificata o semplice a seconda dei casi». Ma ogni votazione richiede la «presenza di un quorum di due terzi dei membri che rappresentino almeno i due terzi dei diritti di voto». Le decisioni vengono poi adottate definitivamente solo se approvate all’unanimità, quindi con il voto dell’Italia.

Il trattato prevede anche una procedura di voto d’urgenza, in caso di minaccia alla sostenibilità economica e finanziaria dell’area euro. Questa procedura richiede la maggioranza dell’85 per cento dei voti espressi, concedendo dunque ai Paesi con oltre il 15 per cento dei diritti di voto la facoltà di porre il veto sulla decisione finale. L’Italia, superando questa percentuale, può impedire decisioni su cui sono d’accordo tutti i restanti Stati membri del Mes.

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