Il 1° agosto la Corte di giustizia dell’Unione europea – l’istituzione che svolge la funzione giudiziaria all’interno dell’Ue – ha diffuso il contenuto di una sentenza molto attesa, che riguarda i centri per migranti costruiti dall’Italia in Albania. Il testo completo della decisione non è ancora disponibile, ma la Corte ne ha anticipato i punti principali con un comunicato stampa.
Secondo la Corte, un Paese può essere considerato «di origine sicuro» soltanto se garantisce una protezione adeguata a tutta la popolazione e su tutto il suo territorio. Questa regola è decisiva nei casi in cui la domanda di protezione internazionale di un cittadino straniero viene respinta attraverso la cosiddetta “procedura accelerata di frontiera”, che si applica quando il Paese di provenienza è stato inserito in una lista di Paesi sicuri da uno Stato membro.
I giudici hanno chiarito che ogni Stato dell’Ue può decidere autonomamente quali Paesi inserire in questa lista, anche con una legge, ma questa decisione non è insindacabile: deve poter essere controllata dai tribunali. Inoltre, le fonti di informazione usate per stabilire che un Paese è sicuro devono essere disponibili sia per i richiedenti asilo sia per i giudici, in modo da permettere un esame completo e una reale tutela dei diritti.
La pronuncia era particolarmente attesa in Italia. Negli ultimi mesi alcuni giudici si erano opposti alla decisione del governo di trattenere nei centri in Albania migranti provenienti da Paesi come Bangladesh ed Egitto, dichiarati «sicuri». La classificazione come Paese sicuro rende infatti più semplice respingere le richieste di asilo, perché permette di applicare procedure più rapide e di trattenere i richiedenti nei centri in Albania in attesa dell’esito della loro domanda.
Il caso che ha portato al rinvio alla Corte di giustizia riguardava due cittadini bangladesi soccorsi in mare e trasferiti in Albania, che avevano chiesto asilo all’Italia. La loro domanda era stata respinta con la procedura accelerata proprio perché il Bangladesh era stato inserito tra i Paesi sicuri. Questo inserimento era avvenuto con la conversione in legge da parte del Parlamento di un decreto presentato lo scorso anno dal governo, con cui era stato aggiornato l’elenco nazionale dei Paesi considerati «di origine sicuri». La nuova legge, però, non specificava quali fossero le fonti di informazione utilizzate per valutare la sicurezza del Bangladesh, impedendo così sia ai richiedenti asilo sia ai giudici di verificarne l’attualità e l’attendibilità.
La Corte di giustizia ha precisato che, fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sulla procedura d’asilo, prevista per il 12 giugno 2026, un Paese non può essere considerato sicuro se non lo è per tutti i suoi abitanti e in tutte le sue aree. Con il nuovo regolamento, invece, gli Stati potranno introdurre eccezioni e considerare sicuro un Paese anche solo per determinate categorie di persone, superando l’attuale requisito di sicurezza generale.
Dunque, con la sua sentenza la Corte non ha dato ragione al governo italiano: ha confermato la linea dei giudici che negli scorsi mesi avevano contestato la scelta di inserire Paesi come il Bangladesh ed Egitto nell’elenco dei Paesi sicuri, senza fornire garanzie sufficienti e senza rispettare le condizioni previste dal diritto europeo.
In ogni caso, la sentenza non mette in discussione la possibilità di rimpatriare i migranti a cui è stata negata la protezione internazionale. Cambia soltanto la procedura con cui la loro domanda deve essere valutata: invece di un esame rapido e sommario, sarà necessario seguire la procedura ordinaria, più approfondita. Se anche al termine di questa valutazione la richiesta verrà respinta, il rimpatrio resterà comunque possibile.
Lo scorso marzo, il governo ha approvato un decreto-legge che ha esteso la possibilità di trasferire nel centro di Gjadër, nell’entroterra albanese, anche i migranti trattenuti in Italia, e non più solo quelli soccorsi in mare. L’obiettivo del governo è trasferire in Albania anche i migranti già trattenuti nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) italiani, a cui è stato convalidato o prorogato il provvedimento di trattenimento.
Sui social network, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha criticato la nuova sentenza. «Ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche», ha scritto Meloni.
Secondo la Corte, un Paese può essere considerato «di origine sicuro» soltanto se garantisce una protezione adeguata a tutta la popolazione e su tutto il suo territorio. Questa regola è decisiva nei casi in cui la domanda di protezione internazionale di un cittadino straniero viene respinta attraverso la cosiddetta “procedura accelerata di frontiera”, che si applica quando il Paese di provenienza è stato inserito in una lista di Paesi sicuri da uno Stato membro.
I giudici hanno chiarito che ogni Stato dell’Ue può decidere autonomamente quali Paesi inserire in questa lista, anche con una legge, ma questa decisione non è insindacabile: deve poter essere controllata dai tribunali. Inoltre, le fonti di informazione usate per stabilire che un Paese è sicuro devono essere disponibili sia per i richiedenti asilo sia per i giudici, in modo da permettere un esame completo e una reale tutela dei diritti.
La pronuncia era particolarmente attesa in Italia. Negli ultimi mesi alcuni giudici si erano opposti alla decisione del governo di trattenere nei centri in Albania migranti provenienti da Paesi come Bangladesh ed Egitto, dichiarati «sicuri». La classificazione come Paese sicuro rende infatti più semplice respingere le richieste di asilo, perché permette di applicare procedure più rapide e di trattenere i richiedenti nei centri in Albania in attesa dell’esito della loro domanda.
Il caso che ha portato al rinvio alla Corte di giustizia riguardava due cittadini bangladesi soccorsi in mare e trasferiti in Albania, che avevano chiesto asilo all’Italia. La loro domanda era stata respinta con la procedura accelerata proprio perché il Bangladesh era stato inserito tra i Paesi sicuri. Questo inserimento era avvenuto con la conversione in legge da parte del Parlamento di un decreto presentato lo scorso anno dal governo, con cui era stato aggiornato l’elenco nazionale dei Paesi considerati «di origine sicuri». La nuova legge, però, non specificava quali fossero le fonti di informazione utilizzate per valutare la sicurezza del Bangladesh, impedendo così sia ai richiedenti asilo sia ai giudici di verificarne l’attualità e l’attendibilità.
La Corte di giustizia ha precisato che, fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sulla procedura d’asilo, prevista per il 12 giugno 2026, un Paese non può essere considerato sicuro se non lo è per tutti i suoi abitanti e in tutte le sue aree. Con il nuovo regolamento, invece, gli Stati potranno introdurre eccezioni e considerare sicuro un Paese anche solo per determinate categorie di persone, superando l’attuale requisito di sicurezza generale.
Dunque, con la sua sentenza la Corte non ha dato ragione al governo italiano: ha confermato la linea dei giudici che negli scorsi mesi avevano contestato la scelta di inserire Paesi come il Bangladesh ed Egitto nell’elenco dei Paesi sicuri, senza fornire garanzie sufficienti e senza rispettare le condizioni previste dal diritto europeo.
In ogni caso, la sentenza non mette in discussione la possibilità di rimpatriare i migranti a cui è stata negata la protezione internazionale. Cambia soltanto la procedura con cui la loro domanda deve essere valutata: invece di un esame rapido e sommario, sarà necessario seguire la procedura ordinaria, più approfondita. Se anche al termine di questa valutazione la richiesta verrà respinta, il rimpatrio resterà comunque possibile.
Lo scorso marzo, il governo ha approvato un decreto-legge che ha esteso la possibilità di trasferire nel centro di Gjadër, nell’entroterra albanese, anche i migranti trattenuti in Italia, e non più solo quelli soccorsi in mare. L’obiettivo del governo è trasferire in Albania anche i migranti già trattenuti nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) italiani, a cui è stato convalidato o prorogato il provvedimento di trattenimento.
Sui social network, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha criticato la nuova sentenza. «Ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche», ha scritto Meloni.