Giovedì 30 ottobre il Senato ha approvato per la seconda volta la riforma costituzionale della giustizia, che prevede la separazione delle carriere dei magistrati. La riforma ha così ottenuto il via libera definitivo, dopo essere stata approvata due volte anche dalla Camera negli scorsi mesi.

Trattandosi di una legge costituzionale, la procedura richiedeva due votazioni in ciascuna camera, a distanza di almeno tre mesi l’una dall’altra, come stabilito dall’articolo 138 della Costituzione. Lo stesso articolo prevede che, se nella seconda votazione la legge ottiene in entrambe le camere il sostegno dei due terzi dei componenti, non si procede a referendum. 

Al Senato la riforma ha raccolto 112 voti favorevoli, meno di quelli necessari per raggiungere i due terzi dei 205 senatori, pari a 137. Hanno votato a favore i partiti di centrodestra insieme ad Azione. Italia Viva si è astenuta mentre Partito Democratico, Alleanza Verdi-Sinistra e Movimento 5 Stelle hanno votato contro. 

Dunque, ora la riforma dovrà essere pubblicata in Gazzetta ufficiale ed entro tre mesi dalla pubblicazione un quinto dei parlamentari di una camera, oppure 500 mila elettori o cinque Consigli regionali potranno fare richiesta di sottoporla a referendum. Per il governo è scontato che si andrà al referendum. Anzi, come annunciato dal capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri, sarà lo stesso centrodestra a raccogliere le firme affinché la riforma sia sottoposta a referendum. «Noi saremo i primi a promuovere il referendum sulla riforma della giustizia, perché vogliamo che i cittadini si pronuncino», ha detto Gasparri il 29 ottobre. In questi giorni il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha detto che il referendum potrebbe tenersi tra marzo e aprile del 2026. 

Al Senato il dibattito sulla separazione delle carriere è stato piuttosto acceso. Le opposizioni hanno criticato la riforma perché a detta loro limiterebbe l’autonomia dei magistrati. A questo si sono aggiunte critiche al governo per non aver permesso modifiche al testo. La riforma della separazione delle carriere è stata approvata infatti a maggio 2024 dal Consiglio dei ministri e il testo è stato sostanzialmente blindato. Durante l’esame parlamentare i partiti di centrodestra non hanno presentato emendamenti, mentre quelli delle opposizioni sono stati tutti bocciati.

«Questa riforma è una tessera di questo complesso risiko del potere, di questa guerra a pezzi alla Costituzione», ha detto in dichiarazione di voto il senatore del Movimento 5 Stelle Roberto Scarpinato, già procuratore antimafia. Al contrario, il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin ha definito la riforma come «la più significativa dal dopoguerra», grazie alla quale «i cittadini potranno contare finalmente su un giudice terzo e imparziale».

La riforma prevede una separazione netta tra giudici e pubblici ministeri. Oggi tutti i magistrati seguono lo stesso percorso formativo e nei primi dieci anni di carriera possono cambiare funzione una volta, passando dal ruolo giudicante a quello requirente o viceversa. Con le nuove regole, invece, ogni magistrato dovrà scegliere sin dall’inizio se diventare giudice o pubblico ministero, senza possibilità di passaggi successivi. 

I sostenitori della riforma ritengono che ciò garantirebbe una maggiore imparzialità dei giudici, mentre i critici avvertono che potrebbe aumentare l’influenza della politica sulla magistratura.

Un altro elemento centrale è la creazione di due Consigli superiori della magistratura distinti, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, con membri scelti tramite sorteggio per limitare il peso delle correnti interne all’Associazione nazionale magistrati. La riforma introduce inoltre l’Alta Corte disciplinare, un nuovo organo composto da 15 membri che avrà il compito di decidere sulle sanzioni ai magistrati, oggi di competenza del Consiglio superiore della magistratura.

Dopo l’eventuale entrata in vigore della riforma, il Parlamento dovrà approvare entro un anno altre norme per adeguare il sistema giudiziario alla riforma, tra cui le regole specifiche per il funzionamento dei due nuovi Consigli superiori della magistratura.