Perché è scorretto dire che in borsa si “bruciano” i miliardi

Questa espressione si sente ripetere molto in questi giorni, ma anche in passato. Il fatto che sia fuorviante, però, non significa che non ci sono stati danni
ANSA
ANSA
L’8 agosto, il giorno dopo l’annuncio del governo riguardo l’introduzione della nuova tassa sugli “extraprofitti” delle banche, la borsa di Milano ha registrato un forte calo, in particolare dei titoli bancari, che poi si sono ripresi nelle giornate successive. L’idea che la redditività delle banche, ossia la percentuale dei ricavi netti rispetto ai costi sostenuti, potesse calare a causa del peso della nuova tassa ha spinto molti investitori a liberarsi delle azioni degli istituti di credito, vendendole in massa in borsa. Seguendo la legge della domanda e dell’offerta, il prezzo delle azioni è sceso dal momento che in molti volevano vendere (eccesso di offerta) e pochi acquistare (carenza di domanda).

Come successo spesso in passato in occasioni simili, vari quotidiani hanno parlato di miliardi di euro «bruciati» in borsa a causa dei ribassi dei prezzi delle azioni. Il senatore della Lega Claudio Borghi ha scritto su Twitter che in realtà «in borsa non si brucia nulla». È davvero così? In effetti quest’espressione è scorretta, ma questo non vuol dire che non ci siano stati danni.

I concetti da sapere

Per capire che cosa si intende esattamente quando si parla di “miliardi bruciati” in borsa, bisogna partire da alcuni concetti di base.

Innanzitutto, che cos’è un’azione? Si tratta di un titolo finanziario che rappresenta una frazione di un’impresa. Per esempio se una società quotata in borsa è divisa in cento azioni, ciascuna di esse rappresenterà l’1 per cento dell’impresa, sia nel diritto di proprietà, che in quello di voto, cioè nella facoltà di decidere quale dovrebbe essere l’operato e il futuro dell’azienda. Esistono molti tipi diversi di azioni, tra cui quelle che prevedono il diritto a una parte dei profitti dell’azienda, ma non il diritto di voto. Per semplicità consideriamo adesso solo il tipo più diffuso, quello che, nel nostro esempio, rappresenta l’1 per cento del diritto di proprietà e di voto.

Il prezzo delle azioni dipende principalmente da due fattori: il primo è il cosiddetto “valore fondamentale”, ossia quanto valgono gli asset dell’azienda: dagli edifici, ai macchinari, ai brevetti, tutto diviso naturalmente per il numero di azioni. Per intenderci, se gli asset della società del nostro esempio valgono 100 euro, il valore fondamentale di ogni azione sarà di 1 euro. Nel caso di una banca, gli asset sono anche gli strumenti finanziari detenuti, come i mutui concessi ai clienti. 

Il secondo fattore è più complicato da misurare ed è quello che rende il prezzo delle azioni così volatile, ossia variabile: sono le aspettative dei flussi di cassa che verranno generati dall’azienda in futuro. In particolare i flussi di cassa sono rappresentati dai dividendi, ossia la parte di ricavo netto di un’impresa che viene distribuita periodicamente – di solito ogni tre mesi o una volta all’anno – agli azionisti. Le aspettative sono fondamentali per il valore di una società perché chi investe non lo fa tanto per possedere una quota degli asset dell’azienda, ma perché si aspetta che quell’azienda crescerà nel tempo e guadagnerà sempre di più, con dividendi sempre più alti. Un’altra ragione per investire è l’aspettativa che il valore degli asset stessi cresca, ma questo dipende soprattutto dalla capacità dell’impresa di far crescere i propri ricavi e, quindi, i dividendi.

Un altro concetto da tenere a mente è quello della capitalizzazione di mercato: è il valore totale delle azioni in circolazione di un’azienda. Se l’azienda viene quotata con 100 azioni dal valore di 1 euro, la capitalizzazione di mercato sarà pari a 100 euro. Ma se il giorno dopo il prezzo delle azioni sale a 1,20 euro, la capitalizzazione diventerà di 120 euro. La capitalizzazione può riguardare anche interi indici azionari, come il FTSE MiB, il principale indice italiano, che raggruppa le più grandi società quotate del Paese. La capitalizzazione del FTSE MiB non è altro che la somma delle capitalizzazioni di mercato delle singole società che fanno parte dell’indice.

Miliardi “bruciati” oppure no?

In questi giorni vari quotidiani hanno parlato di oltre 9 miliardi di euro “bruciati” in borsa l’8 agosto, dopo l’annuncio della nuova tassa sugli “extraprofitti” delle banche, aggiungendo che il giorno successivo sono stati recuperati 4 miliardi. 

La nuova tassa sugli “extraprofitti” ridurrà i ricavi delle banche e, di conseguenza, anche i suoi profitti e i dividendi. Il valore atteso dei flussi di cassa futuri – come detto, il fattore più “variabile” tra quelli che definiscono il prezzo di un’azione – è diminuito perché gli investitori si aspettano ora dividendi più bassi. Questo ha spinto molti investitori a vendere, convinti che le azioni bancarie fossero sovraprezzate rispetto al loro reale valore.

Ma quindi è vero che gli investitori hanno perso vari «miliardi di euro» in un solo giorno, andati in fumo? Al di là delle cifre, questa espressione è scorretta da utilizzare. Il riferimento è alla capitalizzazione di mercato, che, con il -2,2 per cento registrato dalla borsa di Milano l’8 agosto, è scesa appunto di svariati miliardi in un solo giorno. Questa perdita però, per quanto registrata, non è stata del tutto subita dagli investitori. Questo avverrebbe solo se tutte le aziende dell’indice venissero liquidate, cioè uscissero dal mercato. Il 7 agosto valevano 9 miliardi in più, il giorno dopo 9 miliardi in meno. Peraltro, proprio per la legge della domanda e dell’offerta, se qualcuno mostrasse interesse per acquistare tutte le azioni vendute, il loro prezzo tornerebbe probabilmente a crescere, con un effetto comunque positivo sulla capitalizzazione. In ogni caso, questo non è quello che avviene nei mercati, a meno che un’azienda non fallisca del tutto. Dopo che il prezzo è sceso per il panico degli investitori, infatti, la situazione di solito si stabilizza e nel tempo può migliorare. Già il 9 agosto, per esempio, le azioni di Unicredit, il cui prezzo era calato del 6 per cento in un giorno, sono tornate a crescere e adesso valgono circa il 2 per cento in meno rispetto al 7 agosto, giorno dell’annuncio della tassa sugli “extraprofitti”.

Il fatto che non si siano bruciati miliardi, però, non vuol dire che non ci sia stato un danno economico. Innanzitutto le banche continuano a registrare prezzi delle azioni – e quindi anche capitalizzazioni di mercato – inferiori rispetto all’annuncio che ha fatto, per così dire, il “danno”. Inoltre qualcuno ci ha perso davvero: stiamo parlando degli investitori che hanno deciso di vendere o acquistare e hanno subito il contraccolpo del calo dei prezzi. Chi ha acquistato quando i prezzi delle azioni andavano a picco si è preso un rischio, che però è stato ripagato il giorno dopo, quando il valore delle azioni è rimbalzato e ha potuto rivendere a un prezzo più alto. 

Per ogni persona che compra a prezzo basso e vende a prezzo alto, però, ce n’è una che vende a prezzo basso e compra a prezzo alto. Non è necessariamente sempre così: lo stesso investitore potrebbe vendere quando i prezzi sono alti, ricomprare quando scendono e vendere di nuovo quando sono risaliti. In generale questi sbalzi di mercato creano vincitori e vinti e rendono i mercati più instabili ed esposti a speculazioni.

Se è quindi vero che, salvo fallimenti delle imprese coinvolte, i miliardi di capitalizzazione persi in questi casi spesso non sono “bruciati”, ma vengono recuperati almeno in parte nel tempo, è anche vero che l’alta volatilità dei mercati generata da alcuni annunci aumenta i rischi di speculazione e può generare costi sociali per tutti.

SOSTIENI PAGELLA

Leggi ogni giorno la newsletter con le notizie più importanti sulla politica italiana. Ricevi le nostre guide eBook sui temi del momento.
ATTIVA LA PROVA GRATUITA
Newsletter

I Soldi dell’Europa

Il lunedì, ogni due settimane
Il lunedì, le cose da sapere sugli oltre 190 miliardi di euro che l’Unione europea darà all’Italia entro il 2026.

Ultimi articoli