Che cosa succede ora con la crisi di governo

Abbiamo fatto chiarezza sui tre scenari più probabili dopo le dimissioni di Draghi, non accolte da Mattarella
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
Aggiornamento 15 luglio, ore 9 – Questo articolo è la versione aggiornata di un precedente articolo, uscito il 14 luglio, e tiene in considerazione le dimissioni del presidente del Consiglio Mario Draghi e la scelta del presidente della Repubblica Sergio Mattarella di non accoglierle.

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Giovedì 14 luglio, il Senato ha approvato la questione di fiducia per convertire in legge il decreto “Aiuti”, che contiene misure per contrastare l’aumento dell’inflazione. Al voto non hanno però partecipato i senatori del Movimento 5 stelle, che da tempo è critico nei confronti del governo guidato da Mario Draghi. Nelle ore successive lo stesso Draghi è salito al Quirinale e ha rassegnato le proprie dimissioni al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che però non le ha accolte. «La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più», ha scritto Draghi nel comunicato in cui ha annunciato le proprie dimissioni. «È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo».

Su indicazione di Mattarella, mercoledì 20 luglio Draghi dovrà recarsi in Parlamento per tenere un discorso sulla crisi di governo, ormai di fatto iniziata. Che cosa succederà dopo? Abbiamo messo in fila i tre scenari più probabili, facendo un po’ di chiarezza sui vari passaggi.

Il governo resta in piedi

Una prima ipotesi vede Draghi chiedere un nuovo voto di fiducia al Parlamento, tornando sui propri passi. In questo caso, il Movimento 5 stelle e gli altri partiti della maggioranza di governo potrebbero garantire il proprio sostegno all’esecutivo, promettendo al presidente del Consiglio un supporto convinto e chiaro, magari basato su una serie di punti programmatici.

Questa ipotesi ha però un principale punto debole: si creerebbe infatti un rischioso precedente. Se Draghi dovesse accettare una scenario simile, nulla impedirebbe agli altri partiti che compongono la maggioranza di governo – dalla Lega al Partito democratico, passando per Forza Italia – di seguire l’esempio dato dal Movimento 5 stelle su altri provvedimenti in cui saranno nei prossimi mesi in disaccordo con l’esecutivo. Si pensi, per esempio, al disegno di legge annuale sulla concorrenza, approvato dal Senato e ora all’esame della Camera: il testo contiene un discusso provvedimento che punta a modernizzare il settore del trasporto pubblico non di linea, che riguarda i taxi e i servizi di trasporto con conducente. Questa norma è contestata soprattutto dalla Lega, che dopo la scissione del Movimento 5 stelle, organizzata dal ministero degli Esteri Luigi Di Maio, è diventato il gruppo parlamentare più numeroso.

Si va al voto

Nelle ultime ore, quando la crisi di governo si è fatta sempre più concreta, è stata avanzata l’ipotesi delle elezioni anticipate. Calendario alla mano, l’attuale legislatura terminerà a marzo 2023 e le elezioni per il rinnovo del Parlamento dovranno essere organizzate entro un minimo di 60 giorni e un massimo di 70 giorni dallo scioglimento delle camere. Ma in caso di caduta del governo, si potrebbe andare prima al voto, per formarne subito uno nuovo. Questo scenario è stato evocato, seppure con cautela, dal leader della Lega Matteo Salvini, il cui partito sostiene il governo Draghi, e dalla presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che è all’opposizione del governo. 

Il compito di sciogliere le camere e di convocare le elezioni anticipate, che si terrebbero probabilmente all’inizio dell’autunno, spetta però al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dopo la conferma delle dimissioni da parte di Draghi. Il voto anticipato capiterebbe però in un periodo delicato dell’anno. 

Da un lato, prima del voto anticipato, il governo Draghi rimarrebbe comunque in carica per il cosiddetto “disbrigo degli affari correnti”: in caso di necessità e urgenza, il Consiglio dei ministri potrà continuare ad approvare decreti-legge, garantendo la continuità dell’azione amministrativa, ma il suo mandato politico sarebbe molto ridotto. Un limite rischioso per la gestione della crisi internazionale in corso.

Dall’altro lato, nella storia repubblicana italiana non si è mai votato a ridosso dell’inizio dell’autunno. Dal 1948 a oggi, le 18 elezioni politiche si sono tenute sempre nella prima metà dell’anno: tra febbraio (una volta, il 24 febbraio 2013) e giugno (cinque volte, con la data più “lontana” il 26 giugno 1983). Mai dunque a settembre o in autunno. 

In autunno i lavori del governo e del Parlamento si concentrano di norma sull’approvazione della legge di Bilancio per l’anno seguente, una delle leggi più importanti perché spiega nel dettaglio come saranno spese le risorse pubbliche e per quali voci. In caso la legge di Bilancio non fosse approvata entro dicembre, si entrerebbe nel cosiddetto “esercizio provvisorio”, in cui lo Stato avrebbe una capacità di spesa ridotta.

Si forma un nuovo governo

In un terzo scenario possibile, in caso di conferma della dimissioni di Draghi, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella potrebbe decidere di percorrere la strada di un nuovo governo. Chi lo guiderebbe?

Una prima ipotesi vede sempre Draghi alla guida del governo, in un cosiddetto “governo Draghi-bis”. In questo caso, l’ex presidente della Banca centrale europea potrà formare un nuovo esecutivo senza esponenti del Movimento 5 stelle e ricevere la fiducia della Camera e del Senato, dove avrebbe la maggioranza dei voti anche senza quelli dei parlamentari del partito di Conte. Fino a oggi, questo scenario è stato respinto dallo stesso Draghi, che in una conferenza stampa del 12 luglio ha ribadito che non intende guidare un governo senza l’appoggio del Movimento 5 stelle. 

Una seconda ipotesi vede il presidente Mattarella assegnare l’incarico di formare un governo a un’altra persona, molto probabilmente a un tecnico (alcuni commentatori hanno fatto il nome del ministro dell’Economia Daniele Franco o quello dell’ex presidente del Consiglio e attuale presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato). In questo caso, nascerebbe un esecutivo tecnico che avrà il compito di far approvare la legge di Bilancio per il 2023, per poi dimettersi e andare a elezioni all’inizio del prossimo anno.

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