L’11 novembre il disegno di legge di Bilancio per il 2022 è stato presentato in Senato dal governo, due settimane dopo l’approvazione del 28 ottobre in Consiglio dei ministri. Si tratta del ritardo più lungo degli ultimi cinque anni, se si esclude la legge di bilancio dello scorso anno, che era giunta in Parlamento oltre la metà di novembre a causa della seconda ondata di Covid-19.
Rispetto al testo approvato in Consiglio dei ministri, il documento annunciato il 16 novembre a Palazzo Madama – dove ora inizia l’iter parlamentare – è stato allungato con oltre 30 articoli in più, frutto delle trattative ulteriori portate avanti in seno alla maggioranza.
Quali sono i prossimi passaggi e le scadenze più importanti della manovra finanziaria nel suo percorso in Parlamento? Su quali temi i partiti rischiano di rallentare di più il suo cammino? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza su un momento di fondamentale importanza politica per il nostro Paese: la legge di Bilancio spiega infatti nel dettaglio come saranno spese l’anno prossimo le risorse pubbliche e per quali voci.
La scadenza di fine anno
Partiamo da un primo punto fermo. In base all’articolo 81 della Costituzione, la legge di Bilancio va approvata entro la fine dell’anno, altrimenti si rischia di entrare nel cosiddetto “esercizio provvisorio”. In questo caso la spesa pubblica è permessa “per dodicesimi”, ossia si prende la previsione di spesa fatta dal governo nella legge di Bilancio dell’anno precedente e la si divide per dodici mesi. Il risultato rappresenta il tetto di spesa mensile per un massimo di quattro mesi, con uno stallo che al massimo potrebbe durare fino ad aprile 2022.
Dunque ora il Parlamento ha un mese e mezzo di tempo per approvare il disegno di legge di Bilancio, prima che scatti l’esercizio provvisorio. Lo stesso testo, in forma identica, dovrà ricevere il via libera sia dalla Camera che dal Senato.
In base a quanto avvenuto negli ultimi anni, per vedere approvata la legge di Bilancio bisognerà molto probabilmente aspettare l’ultima settimana di dicembre. Nel 2017 la manovra è stata approvata in via definitiva dal Senato il 23 dicembre, nel 2018 il 30 dicembre dalla Camera, nel 2019 il 24 dicembre dalla Camera e nel 2020 il 30 dicembre dal Senato.
Solo nel 2019 il testo ha avuto una sola votazione per aula (due passaggi), mentre negli altri casi è stato modificato dalla seconda aula che lo ha esaminato, per poi essere approvata definitivamente dalla camera che ne aveva iniziato l’esame (dunque in totale tre passaggi).
Il lavoro delle Commissioni e il passaggio alla Camera
Quest’anno la manovra inizia l’iter parlamentare in Senato, dove tocca alle commissioni dare il via ai lavori. Queste sono delle piccole assemblee di senatori che riproducono in scala ridotta la composizione politica di Palazzo Madama. Qui avviene un primo esame del testo, per poi arrivare al voto vero e proprio in aula.
Il 16 novembre la Commissione Bilancio del Senato ha iniziato l’esame del disegno di legge, stabilendo in primo luogo che rispetta le regole sulle coperture economiche per finanziare gli interventi. Tra le novità proposte nella manovra, sono state tolte (“stralciate”, per usare il gergo tecnico del Parlamento) alcune misure – come il rinnovo della app Immuni per il 2022 – trasformate in singoli disegni di legge perché «appaiono di contenuto ordinamentale e prive di effetti finanziari».
Venerdì 19 novembre inizieranno le audizioni, che finiranno martedì 23 novembre con la relazione del ministro dell’Economia Daniele Franco. Tra le realtà ascoltate ci saranno i sindacati, le associazioni di categoria, la Corte dei Conti, la Banca d’Italia, l’Ufficio parlamentare di Bilancio – un organismo indipendente che controlla la trasparenza delle finanze pubbliche – e le associazioni ambientaliste.
Anche sulla base dei pareri ricevuti nelle audizioni, i membri delle commissioni potranno presentare i loro emendamenti, ossia le modifiche alla legge di Bilancio, per poi arrivare a un testo da sottoporre all’aula, che potrà anch’essa avanzare altri emendamenti.
Questo percorso non sarà, quasi certamente, immediato. Per le ultime tre leggi di Bilancio (tralasciando quella approvata nel 2020, che è stato un anno particolare) sono trascorsi in media 39 giorni dalla presentazione in aula del testo all’approvazione della prima camera. Nel 2017, tra la presentazione del disegno di legge di Bilancio in Senato alla sua approvazione in aula, sono passati 33 giorni. Nel 2018, tra l’arrivo alla Camera e la prima approvazione, ne sono trascorsi 39. Nel 2019, di nuovo in Senato, 45 giorni.
Se il ritmo dovesse rimanere più o meno questo, c’è il rischio concreto che il Senato approvi l’attuale legge di Bilancio a ridosso delle ultime due settimane di dicembre, lasciando di fatto la Camera con pochissimo tempo per approvare definitivamente la legge. Eventuali altre modifiche richiederebbero infatti un secondo passaggio in Senato.
Per velocizzare i tempi, in Senato il governo potrebbe porre la “questione di fiducia” sulla manovra, come fatto nel 2019 dal secondo governo Conte o nel 2018 (in quel caso il primo passaggio era alla Camera) dal primo governo Conte. Con il voto di fiducia gli emendamenti decadono, ma se il voto è negativo, l’esecutivo è costretto a dimettersi.
Su cosa discute la maggioranza
Sono diversi i temi su cui la maggioranza deve trovare una quadra per evitare imprevisti nel voto in Senato. Uno dei più sostanziosi riguarda il taglio delle tasse.
L’articolo 2 del disegno di legge di Bilancio presentato dal governo stabilisce, in via molto generica, che dal 2022 8 miliardi di euro vengano utilizzati per ridurre le imposte sui redditi delle persone fisiche, con l’abbassamento del cosiddetto “cuneo fiscale” (ossia la differenza tra il netto e il lordo in busta paga), e per ridurre l’Irap, un’imposta che grava sulle società.
Ogni partito ha però le sue idee su come concretizzare questo taglio delle tasse. Da giorni la Lega di Matteo Salvini ripete per esempio di voler eliminare l’Irap – priorità anche per Forza Italia – e di voler estendere fino ai 100 mila euro di reddito il regime agevolato già in vigore per le partite Iva (proposta erroneamente chiamata “flat tax”). Il Partito democratico, dal canto suo, vorrebbe destinare le risorse principalmente al taglio dell’Irpef, così come il Movimento 5 stelle.
Un altro fronte non semplice è quello che riguarda il reddito di cittadinanza. Dopo lunghe trattative, il disegno di legge di Bilancio presentato dal governo ha rifinanziato la misura con un miliardo di euro circa dal 2022 al 2029 (somme che vanno ad aggiungersi alle cifre già stanziate in passato), inserendo però una serie di provvedimenti per restringere l’accesso al sussidio e aumentare i controlli sui percettori. Come abbiamo spiegato di recente, queste modifiche non vanno nella direzione tracciata dal comitato degli esperti del Ministero del Lavoro, che ha espresso delusione per quanto contenuto nella manovra.
Il rischio è che eventuali emendamenti per cambiare il reddito di cittadinanza possano rallentare e ostacolare il percorso, che già ha tempi stretti, del testo in Senato. Ricordiamo anche che dal 21 ottobre Palazzo Madama sta lavorando alla conversione in legge del cosiddetto “decreto Fisco-Lavoro”, un decreto-legge con molte misure in ambito economico, collegate alla manovra.
– Leggi anche: Le dieci proposte degli esperti per migliorare il reddito di cittadinanza
In conclusione
In questi giorni è iniziato l’iter parlamentare del disegno di legge di Bilancio in Senato, con l’esame del testo nelle commissioni. Se si rimarrà sui ritmi degli anni scorsi, Palazzo Madama potrebbe approvare la manovra a ridosso delle ultime due settimane di dicembre, lasciando poco tempo a disposizione alla Camera per l’approvazione definitiva del testo.
Se non si dovesse riuscire a dare il via libera dalla legge di Bilancio entro la fine dell’anno, il Paese finirebbe sotto esercizio provvisorio.
I temi su cui la maggioranza è divisa in Parlamento sono diversi. Tra quelli in primo piano ci sono il taglio delle tasse e il reddito di cittadinanza.
Giustizia
No, un albanese arrestato con 11 chili di cocaina non è stato scarcerato perché non sa l’italiano