Nella tarda mattinata del 26 gennaio il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha rassegnato le sue dimissioni al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Questo non significa che l’Italia resta senza un governo: come ha chiarito una nota del Quirinale, l’esecutivo rimane in carica «per il disbrigo degli affari correnti», in attesa di un suo sostituto.
Ma che cosa significa, nel concreto, questa espressione? Con un presidente dimissionario, il governo ha gli stessi poteri di prima, oppure di meno? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.
Che cos’è il “disbrigo degli affari correnti”
Come abbiamo spiegato in passato, il “disbrigo degli affari correnti” non trova una definizione vincolante nelle leggi del nostro Paese. È, piuttosto, una prassi costituzionale, su cui però non manca il dibattito tra esperti e costituzionalisti su quanto estesi possano essere i poteri di un governo dimissionario.
Per avere un’idea su che cosa intenda il Quirinale per “disbrigo degli affari correnti”, possiamo fare riferimento a una direttiva che la Presidenza del Consiglio dei ministri aveva mandato ai vari ministeri il 20 agosto 2019, il giorno in cui Conte aveva dato le dimissioni per la prima volta dal precedente governo Lega-M5s. Questa usanza di pubblicare delle direttive è nata negli anni Ottanta, per dare un perimetro quanto più possibile chiaro ai poteri dell’esecutivo dimissionario.
Il governo può fare decreti-legge…
La direttiva del 2019 sottolineava quali indicazioni dovessero essere rispettate da ministri, viceministri e sottosegretari di Stato «circa lo svolgimento delle proprie funzioni durante la crisi».
Innanzitutto, il testo diceva che il governo avrebbe assicurato «la continuità dell’azione amministrativa». In questa, rientrava anche la possibilità da parte del Consiglio dei Ministri di adottare decreti-legge, previsti dalla Costituzione «in casi straordinari di necessità e urgenza». Dunque, nei prossimi giorni, l’attuale governo potrà approvare decreti, mentre non esaminerà nuovi disegni di legge, «salvo quelli imposti da obblighi internazionali e comunitari», se la prassi confermerà le disposizioni annunciate con la crisi di governo dell’estate 2019.
…e molto probabilmente anche i Dpcm
Maggiore incertezza sembra esserci invece sulla possibilità di approvare i decreti del presidente del Consiglio dei ministri (gli ormai noti “Dpcm”), che come abbiamo scritto più volte hanno creato negli scorsi mesi un dibattito sul loro ricorso, ritenuto da alcuni eccessivo.
La direttiva del 20 agosto 2019 escludeva la possibilità per il governo di adottare «regolamenti governativi e ministeriali», la categoria normativa in cui rientrano i Dpcm. Si menzionavano però alcune eccezioni, tra cui la possibilità di approvare un regolamento il cui procedimento di adozione era in «stato avanzato».
Secondo alcune interpretazioni degli esperti, visto il momento di emergenza in cui si trova il Paese, anche se dimissionario, il presidente Conte potrà firmare eventuali nuovi Dpcm.
Nomine e attività parlamentare
Per quanto riguarda le nomine, saranno possibili solo se «strettamente necessarie perché vincolate nei tempi da leggi o regolamenti» oppure se dovute a «esigenze funzionali, non procrastinabili oltre i termini di soluzione della crisi».
Infine, per quanto riguarda il Parlamento, dovrà essere «assicurata» la partecipazione dei rappresentanti dell’esecutivo nelle aule di Camera e Senato e delle commissioni parlamentari. Per il momento, viste le dimissioni di Conte, l’attività legislativa di Montecitorio resterà sospesa, come ha comunicato su Twitter Carlo Passarello, il portavoce del presidente della Camera Roberto Fico. Proseguiranno invece le audizioni nelle commissioni per il Recovery plan.
Come abbiamo anticipato, però, con il “disbrigo degli affari correnti” stiamo parlando di una prassi, piuttosto che di un istituto giuridicamente vincolante. In generale, è pacifico che in questa situazione un esecutivo non possa adottare provvedimenti, per così dire, “forti”, ossia in linea per esempio con un programma di governo. Ma in caso di necessità e urgenza, può fare ricorso ai decreti-legge, che – ricordiamo – hanno poi 60 giorni per essere convertiti in legge dal Parlamento.
Nonostante le dimissioni di Conte, dunque, il governo ha comunque alcuni poteri per continuare a gestire la crisi causata dalla Covid-19, seppure con un mandato politico decisamente indebolito.
In conclusione
Dopo le dimissioni del presidente Conte, il Quirinale ha chiesto al governo di rimanere in carica «per il disbrigo degli affari correnti». Questa espressione, a prima vista un po’ oscura, fa riferimento a una prassi che nel nostro Paese viene applicata quando un esecutivo diventa dimissionario.
Non è un istituto vincolato da norme scritte nero su bianco, ma è comunque possibile tracciare i confini dei poteri che restano in mano al governo. Per esempio, in caso di necessità e urgenza, il Consiglio dei ministri potrà continuare ad approvare decreti-legge e dovrà garantire «la continuità dell’azione amministrativa». Nel caso in cui le camere dovessero riunirsi, dovrà essere garantita la presenza dei membri del governo.
Più incertezza invece vale per la possibilità di approvare eventuali nuovi Dpcm, uno strumento che con lo scoppio della pandemia hanno ricoperto un ruolo di primo piano per intervenire nella gestione dell’emergenza.
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