Salvini si è arreso sulla direttiva “Bolkestein”

Dopo anni di promesse, ora il leader della Lega dice che le norme sulla messa a gara delle concessioni balneari vanno rispettate, in cambio però di due condizioni
ANSA
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Archiviarla, superarla, cancellarla. Negli anni Matteo Salvini ha promesso molte volte ai suoi elettori che, una volta al governo, non avrebbe applicato la cosiddetta “direttiva Bolkestein”, e che anzi, l’avrebbe eliminata. Questa direttiva – approvata nel 2006, quando il commissario europeo al Mercato interno era Frits Bolkestein – impone all’Italia di mettere a gara le concessioni degli stabilimenti balneari, ma è stata sempre disattesa. 

Ora il leader della Lega sembra essersi “arreso” definitivamente di fronte a un rischio noto da tempo: lo scontro con l’Unione europea e con la giustizia amministrativa italiana.

Le parole di Salvini

«Come maggioranza di governo, c’è l’accordo su che cosa chiedere all’Europa: abbiamo dato mandato al ministro delegato agli Affari europei Raffaele Fitto di trattare con l’Europa sulla base di due principi, che abbiamo costruito insieme ai lavoratori, agli imprenditori e ai gestori, che sono la prelazione e l’indennizzo», ha dichiarato (min. 48:18) Salvini l’8 agosto, ospite al Versiliana Festival a Marina di Pietrasanta, in Toscana. «Ovverosia andare a gara perché altrimenti questa maledetta “Bolkestein” ti porta in infrazione. Ci sono le sentenze del Consiglio di Stato, ci sono le sentenze della Corte di giustizia dell’Ue, eccetera eccetera: non fare niente è un suicidio perché ti lascia ogni stabilimento nella mano di un giudice». 

Dunque – stando a queste parole – il leader della Lega non vuole più cancellare o disapplicare la direttiva “Bolkestein”, ma rispettarla, in cambio di due concessioni da parte dell’Ue. «Bisogna bilanciare l’interesse di chi lavora su una spiaggia e l’interesse di chi è cliente di quella spiaggia», ha sottolineato Salvini, spiegando più nel dettaglio la sua proposta su come andrebbero svolte le gare. «“Prelazione” vuol dire che se una famiglia gestisce da 120 anni e si sacrifica da 120 anni su un lido, deve poter fare un rilancio rispetto a X o Y o alla cooperativa o al miliardario che arriva, mettendo la stessa cifra e avendo l’ultima parola. “Indennizzo” vuol dire che se uno non vuole più gestire quel bagno o qualcuno fa un’offerta a chi gestisce quel bagno che non è in grado di sostenere, viene indennizzato per gli investimenti che nel corso degli anni su quel bagno ha fatto». Salvini ha poi aggiunto che spera che su «questi due criteri di assoluta ragionevolezza e buon senso» l’Unione europea possa dare il via libera al governo. «Altrimenti sarà un problema: abbiamo non so quante infrazioni aperte dalla Commissione europea», ha detto il leader della Lega.

Che cosa ha fatto il governo

Nel suo programma elettorale la coalizione di partiti che sostiene il governo Meloni ha promesso la «tutela della nautica e delle imprese balneari», una formula piuttosto vaga. Finora il governo, in carica dal 22 ottobre 2022, ha scelto di prendere tempo. Con il decreto “Milleproroghe”, convertito in legge dal Parlamento a febbraio 2023, ha prorogato le concessioni esistenti fino alla fine del 2024, prevedendo un’ulteriore rinvio fino alla fine del 2025 nel caso ci siano «ragioni oggettive» che impediscano l’organizzazione delle gare. In più ha istituito un tavolo tecnico per mappare le concessioni balneari e dimostrare all’Ue che in Italia non c’è scarsità di spiagge, e che quindi le gare non sono necessarie per darle in concessione.

La proroga delle gare è stata bocciata ad aprile 2024 dal Consiglio di Stato, l’ultimo grado di giudizio della giustizia amministrativa in Italia, che ha ribadito un fatto sottolineato anche dalla Commissione europea negli scorsi mesi: la risorsa “spiagge” «è sicuramente scarsa», ha scritto il Consiglio di Stato, ripetendo quanto già stabilito con due sentenze a novembre 2021. In quell’occasione il Consiglio di Stato aveva detto che il diritto europeo prevale su quello nazionale e che le concessioni in vigore all’epoca potevano rimanere valide al massimo fino alla fine del 2023. 

Le misure adottate finora dal governo Meloni hanno deluso una parte dei lavoratori nel settore balneare. Per il 9 agosto il Sindacato italiano balneari (Sib) e la Federazione italiana imprese balneari (Fiba) hanno organizzato uno sciopero, tenendo chiusi gli stabilimenti balneari due ore, dalle 7:30 alle 9:30. Le due organizzazioni hanno annunciato che lo sciopero sarà replicato, con una durata più lunga, se il governo non farà chiarezza sulla messa a gara delle concessioni. 

Va detto che i due criteri richiesti da Salvini, quello sulla prelazione e sull’indennizzo, non sono una novità. Ad agosto 2022, a poche settimane dalle elezioni politiche, il Parlamento ha approvato definitivamente la legge sulla concorrenza, frutto di un compromesso tra i partiti che sostenevano il governo Draghi, tra cui la Lega. Quella legge delegava il governo a riformare, attraverso decreti-legislativi, le norme sulle concessioni balneari, nel rispetto di alcuni principi. Tra questi, il governo avrebbe dovuto introdurre regole per dare un’adeguata considerazione nelle gare di chi aveva già un’esperienza nel settore degli stabilimenti balneari e per riconoscere adeguati indennizzi per chi perdeva la propria concessione, in base agli investimenti fatti nell’attività. Finora il governo Meloni non ha ancora usato questa delega, mancanza di cui è stata accusata da varie organizzazioni del settore balneare.

La procedura d’infrazione

Come abbiamo visto, dalle parole di Salvini sembra che sia stata la minaccia dell’apertura di una procedura d’infrazione da parte dell’Ue a far desistere il leader della Lega dai suoi propositi di opporsi alla direttiva “Bolkestein”. In realtà anche questo non è uno scenario nuovo. 

Nel 2020 la Commissione Ue ha inviato all’Italia la cosiddetta “lettera di messa in mora”, in cui le ha contestato di non rispettare la direttiva “Bolkestein”. L’invio della lettera di messa in mora è il primo passaggio del percorso nell’apertura di una procedura d’infrazione, che è lo strumento usato dall’Ue per garantire in tutti gli Stati membri il rispetto e l’effettività del diritto europeo. A novembre 2023 la Commissione Ue ha ribadito che le misure adottate dall’Italia non sono state sufficienti e ha così inviato al governo Meloni il cosiddetto “parere motivato”, di fatto confermando lo stato di inadempimento del nostro Paese verso la direttiva “Bolkestein”. L’8 agosto una portavoce della Commissione Ue ha dichiarato che da mesi le autorità europee sono «in stretto contatto» con i rappresentanti del governo Meloni per trovare una soluzione ed evitare così che la procedura d’infrazione prosegua, con le eventuali sanzioni che essa comporterebbe. 

In base ai dati più aggiornati, al momento le procedure di infrazione a carico dell’Italia sono 72, di cui 53 sono state aperte per la violazione del diritto dell’Ue e 19 per il mancato recepimento di direttive.

Perché è difficile cancellare la “Bolkestein”

Si potrebbe chiedere perché se il governo Meloni ritiene sbagliata la direttiva “Bolkestein”, non continua i suoi tentativi per cancellarla. La risposta sta nei meccanismi che regolano il processo legislativo nell’Ue, anche questi noti da tempo, sin da quando la Lega ha iniziato a promettere l’eliminazione della direttiva contestata. 

Cancellare o modificare una direttiva europea è molto complicato. Innanzitutto, questo non può essere fatto dai singoli Stati membri dell’Ue. Una volta proposte dalla Commissione Ue, le direttive europee sono discusse, modificate e approvate dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea. A differenza dei regolamenti che dopo essere approvati diventano immediatamente applicabili, le direttive impongono alcuni obblighi agli Stati, a cui poi è concesso del tempo per rispettarli. In caso contrario, si apre la procedura d’infrazione: come abbiamo visto, nessuno Stato membro dell’Ue può adottare misure in contrasto a una direttiva europea, dato che il diritto europeo prevale su quello nazionale.

Se vuole cancellare o cambiare una direttiva europea, il governo di uno Stato deve agire a livello europeo, non nazionale. In concreto, se il governo Meloni volesse modificare la direttiva “Bolkestein”, dovrebbe convincere la Commissione Ue, alla cui presidenza è stata rieletta di recente Ursula von der Leyen, senza però i voti di Fratelli d’Italia e della Lega. Una maggioranza di favorevoli andrebbe poi trovata all’interno del Parlamento europeo, dove i gruppi parlamentari di cui fanno parte Fratelli d’Italia e Lega, ossia i Conservatori e Riformisti Europei e i Patrioti per l’Europa, non vogliono sostenere la nuova Commissione Ue. Stesso discorso vale per il Consiglio dell’Ue, dove si riuniscono i ministri dei vari Stati membri. Per cancellare e modificare la direttiva “Bolkestein” sarebbe necessario trovare una maggioranza favorevole.

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