No, il governo non ha dimostrato che c’è abbondanza di spiagge libere

Lo sostiene la ministra Santanchè, citando una mappatura del governo, ma in realtà le cose non stanno così 
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
L’8 gennaio, ospite a Zona Bianca su Rete 4, la ministra del Turismo Daniela Santanchè ha parlato (min. 11:05) dell’annosa questione della messa a gara delle concessioni balneari. Secondo Santanchè, con una «mappatura» delle coste il governo Meloni ha «dimostrato che non c’è una scarsità» delle spiagge, lasciando intendere che le gare non sono necessarie. Già in passato la ministra – che a novembre 2022 ha annunciato di aver venduto le sue quote dello stabilimento Twiga a Forte dei Marmi – aveva proposto di assegnare ai privati la gestione delle spiagge libere, dove «ci sono tossicodipendenti e rifiuti», prima di mettere a gara le concessioni balneari già esistenti.

Al di là della proposta della ministra, abbiamo controllato che cosa dice davvero la mappatura fatta dal governo e non è vero che è stato «dimostrato» che c’è un’abbondanza di spiagge libere.

Una storia travagliata

In Italia le spiagge fanno parte del demanio, l’insieme dei beni che sono di proprietà dello Stato e che non possono essere venduti ai privati. Lo Stato può permettere a quest’ultimi l’uso dei beni del demanio attraverso le concessioni, di cui si discute ormai da anni. Una direttiva europea del 2006 (la cosiddetta “direttiva Bolkestein”, dal nome del commissario europeo Frederik Bolkestein) ha introdotto nuove regole per promuovere la parità di professionisti e imprese nell’accesso ai mercati dell’Unione europea. Tra le altre cose, l’articolo 12 della direttiva stabilisce che «qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili», gli Stati dell’Ue devono avviare una procedura di selezione tra i candidati a cui affidare le autorizzazioni, seguendo principi di imparzialità e trasparenza.

La direttiva è stata recepita dall’Italia nel 2010, ma negli anni i politici e i partiti contrari alla messa a gara delle concessioni balneari hanno sostenuto che quest’ultime non rientrano nella direttiva “Bolkestein”, dal momento che in Italia non ci sarebbe scarsità di spiagge da dare in concessione (su questo punto torneremo meglio tra poco). 

Si sono così alternate scelte di governi diversi per prorogare le concessioni senza gara e sentenze di tribunali italiani ed europei che dicevano di fare il contrario. Tra le principali ricordiamo le due sentenze del Consiglio di Stato, l’ultimo grado di giudizio nella giustizia amministrativa, che ha stabilito che le concessioni esistenti non potevano essere più prorogate oltre la fine del 2023, e due sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, un organismo che garantisce un’uniforme applicazione del diritto europeo in tutti gli Stati membri.

Da ultimo, con il decreto “Milleproroghe” approvato a fine 2022 e convertito in legge dal Parlamento a febbraio 2023, il governo Meloni ha prorogato le concessioni esistenti fino alla fine del 2024, prevedendo un’ulteriore proroga fino alla fine del 2025 nel caso ci siano «ragioni oggettive» che impediscano l’organizzazione delle gare (questa proroga è stata contestata di nuovo a marzo 2023 dal Consiglio di Stato, che ha detto di disapplicarla). 

Il governo Meloni ha inoltre istituito un tavolo tecnico, composto da rappresentati dei ministeri e delle associazioni di categoria, per raccogliere tutti i dati sulle concessioni esistenti e di stabilire la «sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile», ossia le spiagge. Nella sua intervista televisiva la ministra Santanchè ha fatto riferimento proprio ai lavori di questo tavolo tecnico, parlando della «mappatura delle nostre coste».

La mappatura del governo

Il tavolo tecnico si è insediato a giugno 2023 e quattro mesi dopo, a ottobre, ha presentato i risultati della mappatura, usando i dati del portale SID del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Il documento con i risultati non è pubblicamente disponibile, ma è stato consultato da Pagella Politica

Secondo le stime del tavolo tecnico, il demanio marittimo in Italia (escludendo fiumi e laghi) ha un’estensione pari a 381 milioni di metri quadrati, senza considerare le aree militari e di quelle secretate. Il tavolo tecnico ha considerato i metri quadrati, e non i dati della lunghezza delle coste, perché a detta sua «tale criterio rappresenta più fedelmente la fotografia della risorsa effettivamente libera occupata». 

Nella mappatura è stato sommato lo spazio occupato dalle concessioni marittime, con quello occupato dagli aeroporti, dai parchi naturali, dai porti e dalle aree industriali. Si è giunti così a un valore di 127 milioni di metri quadrati occupati, che rapportati ai 381 milioni di metri quadrati visti sopra, danno una percentuale di spazio occupato pari al 33 per cento. Dunque, secondo il tavolo tecnico, quasi il 70 per cento sarebbe libero e il governo potrebbe darlo in concessione. 

Queste percentuali indicano che non c’è scarsità delle spiagge? Secondo Santanché sì: i dati dimostrerebbero che c’è abbondanza di spiagge da dare in concessione, ma in realtà le cose non stanno così.

Le obiezioni alla mappatura

La direttiva “Bolkestein” non dà una definizione precisa di “scarsità”. Una sentenza di aprile 2023 della Corte di giustizia dell’Ue ha riconosciuto che l’articolo 12 della direttiva “Bolkestein” dà agli Stati membri «un certo margine di discrezionalità» nello stabilire i criteri da applicare alla valutazione della scarsità delle risorse naturali. Per valutare la scarsità delle spiagge, da un lato si potrebbe preferire una valutazione più generale, che consideri tutto il territorio nazionale, dall’altro si potrebbe scegliere di concentrarsi su territori più specifici, come quelli regionali o comunali. Secondo la Corte di giustizia europea, la combinazione di questi due approcci è la scelta più «equilibrata» e «idonea a garantire il rispetto di obiettivi di sfruttamento economico delle coste». «In ogni caso è necessario che i criteri adottati da uno Stato membro per valutare la scarsità delle risorse naturali utilizzabili si basino su criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati», ha stabilito la Corte di giustizia dell’Ue. 

Sul concetto di “scarsità” si è espresso anche il Consiglio di Stato nelle già citate due sentenze del 2021. Secondo il Consiglio di Stato, il concetto di “scarsità” va interpretato «in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della quantità del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi». Detta altrimenti, non basta avere la maggior parte della costa libera e non data in concessione: bisogna capire, tra le altre cose, quanta di questa costa è effettivamente adatta per le attività balneari. In più, ha sottolineato il Consiglio di Stato, molte regioni hanno fissato un limite massimo di costa che può essere dato in concessione e «nella maggior parte delle regioni» questo limite è già stato raggiunto. Per questo motivo il Consiglio di Stato, già due anni prima della mappatura fatta dal governo Meloni, è giunto alla conclusione che c’è «notevole scarsità» di spiagge in Italia, e che quindi va applicata la direttiva “Bolkestein”. 

Di recente la stessa conclusione è stata argomentata dalla Commissione europea, che lo scorso 16 novembre ha mandato una lettera al governo dandogli due mesi di tempo per rispettare le norme europee. Secondo la Commissione, i risultati a cui è giunto il tavolo tecnico non dimostrano «che su tutto il territorio italiano non vi è scarsità di risorse naturali oggetto di “concessioni balneari”» per due motivi. 

Da un lato, la mappatura del tavolo tecnico fornisce solo una valutazione a livello nazionale e non tiene conto delle situazioni specifiche delle regioni o dei comuni. Dall’altro lato, nel calcolo delle aree disponibili il tavolo tecnico ha considerato non solo aree come quelle industriali o i porti, che evidentemente non possono essere date in concessione per attività balneari, ma anche zone di costa rocciosa, che al momento non sono agevolmente fruibili dai bagnanti. Secondo il tavolo tecnico, la «minore accessibilità per condizioni naturali» delle zone rocciose non preclude la possibilità di installare stabilimenti balneari. In allegato il documento del tavolo tecnico contiene anche alcune foto di tratti di costa rocciosa adibiti a stabilimento balneare.
Immagine 1. Una foto allegata al documento del tavolo tecnico
Immagine 1. Una foto allegata al documento del tavolo tecnico
Ma secondo la Commissione Ue questa assunzione è troppo generica: il fatto che in alcune zone di costa rocciosa siano stati costruiti degli stabilimenti non significa che è possibile dare in concessione tutta la costa rocciosa libera. Insomma: nel 67 per cento di costa ritenuta libera dal tavolo tecnico rientrano tratti che non possono essere dati in concessione. 

Ricapitolando: la ministra Santanchè sostiene che una mappatura del governo ha «dimostrato» che non c’è scarsità di spiagge in Italia. Un tavolo tecnico istituito dal governo ha stimato che circa un terzo dello spazio costiero che lo Stato può dare in concessione è occupato da una qualche attività. Ma questa mappatura ha almeno due problemi, rilevati di recente dalla Commissione europea e ricavabili anche da sentenze del Consiglio di Stato e della Corte di giustizia dell’Ue. Da un lato non tiene conto della specificità dei dati regionali e comunali, dall’altro lato considera nelle aree disponibili spazi di costa che non possono essere dati al momento in concessione.

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