Il governo ha copiato il Pd per cambiare il reddito di cittadinanza?

Lo ha detto la capogruppo alla Camera Serracchiani citando i casi di due regioni governate dal centrosinistra. Le cose però non stanno del tutto così
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
Il 6 marzo la capogruppo alla Camera del Partito democratico Debora Serracchiani ha accusato il governo di aver «copiato» due misure introdotte in passato dal Pd a livello regionale per cambiare il reddito di cittadinanza. Lo stesso giorno, infatti, il Corriere della Sera ha pubblicato alcune anticipazioni sulla cosiddetta “misura di inclusione attiva” (Mia), che il Ministero del Lavoro è pronto a introdurre per sostituire il sussidio introdotto nel 2019 dal primo governo di Giuseppe Conte. 

«La destra copia anche nel nome le buone pratiche di inclusione sociale varate dal Pd, contro cui anni fa avevano votato compatti», ha dichiarato Serracchiani in una nota. «Avevamo introdotto la misura attiva per l’inclusione sociale con caratteristiche del tutto analoghe nel 2016 in Friuli-Venezia Giulia ma anche in Emilia-Romagna con il reddito di solidarietà. Il centrodestra era schierato contro e arrivato Massimiliano Fedriga si sono affrettati ad abolirla».

Che cosa c’è di vero in queste accuse? Abbiamo verificato e le cose non stanno proprio come dice la capogruppo del Pd alla Camera.

Perché si parla di Mia

Al momento il governo Meloni non ha ancora preso una decisione ufficiale e definitiva sulla misura da introdurre al posto del reddito di cittadinanza. Con la legge di Bilancio per il 2023, approvata alla fine dello scorso anno, il governo ha deciso che il reddito di cittadinanza non esisterà più a partire dal 1° gennaio 2024. Per il 2023 ha, tra le altre cose, ridotto a sette mesi il periodo in cui possono percepire il sussidio i beneficiari (i cosiddetti “occupabili” per il governo) che hanno tra i 18 e 59 anni e non hanno in famiglia un minore, un disabile o un anziano. 

La nuova misura di inclusione attiva su cui è al lavoro il governo non è dunque ancora stata approvata, ma secondo fonti stampa potrebbe essere esaminata dal Consiglio dei ministri nelle prossime settimane. In base alle informazioni a disposizione, sembra che i beneficiari considerati “occupabili” potranno chiedere da settembre di accedere alla nuova misura di inclusione attiva, che sarà meno generosa del reddito di cittadinanza, con un sussidio mensile base di 375 euro. Per chi ha in famiglia un minore, un disabile o un anziano, l’assegno base dovrebbe essere più alto, intorno ai 500 euro, mentre non è ancora chiaro quale sarà il contributo per pagare un eventuale affitto di casa. 

Secondo le anticipazioni, per accedere al nuovo sussidio saranno inoltre abbassate la soglia Isee, da 9.360 euro a 7.200 euro, e la soglia del numero di anni di residenza in Italia, da 10 anni a cinque anni. Per quanto riguarda le cosiddette politiche attive, ossia l’inserimento nel mondo del lavoro, i beneficiari “non occupabili” saranno indirizzati ai comuni per introdurli a percorsi di inclusione sociale, di cui al momento non sono chiari i dettagli. Le persone “occupabili” dovranno invece sottoscrivere un patto con i centri per l’impiego e le agenzie private che li aiuteranno a cercare lavoro. Secondo le anticipazioni, basterà il rifiuto di una sola offerta di lavoro per perdere il sussidio.

Ribadiamo che queste novità non sono ancora state approvate e sono probabili ancora varie modifiche prima che vengano presentate nel Consiglio dei ministri con un decreto-legge, poi da convertire in Parlamento.

Il Mia nel Friuli-Venezia Giulia

Sulla base di queste anticipazioni, vediamo se è vero se ci sono somiglianze con le due misure di contrasto alla povertà introdotte in passato in Friuli-Venezia Giulia e in Emilia-Romagna.

Partiamo dalla “misura di inclusione attiva e di sostegno al reddito”, introdotta in Friuli-Venezia Giulia a luglio 2015, quando Serracchiani era alla guida della regione. Questa misura aveva assunto il nome di “Mia” ed è dunque vero, come sostiene Serracchiani, che il governo Meloni potrebbe aver scelto un nome già utilizzato per un precedente sussidio. 

La “Mia” introdotta da Serracchiani non prevedeva però distinzioni tra persone “occupabili” e non “occupabili”. Il sussidio era infatti destinato a tutti i nuclei familiari, compresi quelli formati da una sola persona, con Isee inferiore o uguale a 6 mila euro e con almeno un cittadino italiano o comunitario al loro interno, oppure un cittadino di Paesi extra-Ue con permesso di soggiorno. In entrambi i casi l’altro requisito per ottenere il sussidio era essere residenti in Friuli-Venezia Giulia da almeno due anni. L’importo massimo dell’assegno poteva arrivare fino a un massimo di 550 euro, e variava in base all’Isee e al numero di minorenni a carico del nucleo familiare [1]. Il sussidio poteva essere percepito per un anno e poteva essere presentata domanda di rinnovo per un altro anno, a patto di una pausa di almeno due mesi. In più, a differenza della misura che sta elaborando il governo Meloni, il sussidio approvato in Friuli-Venezia Giulia prevedeva che i beneficiari sottoscrivessero un «patto di inclusione» per l’orientamento al mondo del lavoro con il servizio sociale dei comuni e della regione e non con i centri dell’impiego. In altre parole, la parte riguardante le politiche attive era affidata interamente ai comuni e alla regione stessa. Inoltre, la misura non escludeva la possibilità di percepire sussidi al reddito statali, che all’epoca era il sostegno per l’inclusione attiva (Sia), poi sostituito dal reddito di inclusione (Rei).

È vero, come ha scritto Serracchiani, che nel consiglio regionale in Friuli-Venezia Giulia il centrodestra si era opposto all’approvazione del sussidio. Non è del tutto verò però che il successore di Serracchiani alla guida della Regione Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga (Lega), e il centrodestra si erano «affrettati» ad abolire il sussidio regionale. Fedriga è stato eletto presidente della Regione ad aprile 2018 e con la legge di Stabilità regionale per il 2019 aveva prorogato il sussidio fino al 31 dicembre 2019, introducendo alcune restrizioni, soprattutto per quanto riguarda il requisito della residenza. Alla fine del 2019 il sussidio non è stato comunque più rinnovato.

Il Res in Emilia-Romagna

In base alle anticipazioni, la misura di sostegno al reddito che il governo Meloni sta elaborando ha alcune differenze rispetto al reddito di solidarietà (Res) dell’Emilia-Romagna, introdotto dal presidente Stefano Bonaccini nel 2016. Come nel caso del Friuli-Venezia Giulia, il centrodestra si era opposto all’approvazione del reddito di solidarietà nel consiglio regionale dell’Emilia-Romagna. 

Il sussidio dell’Emilia-Romagna non faceva distinzione tra i potenziali beneficiari. Potevano richiederlo tutte le famiglie, comprese quelle formate da una sola persona, con Isee uguale o inferiore a 3 mila euro. L’altro requisito era che almeno un componente del nucleo familiare fosse residente in Emilia-Romagna da almeno due anni, senza requisiti di cittadinanza. L’importo massimo del reddito di solidarietà era pari a 400 euro al mese per un anno, con la possibilità di rinnovarlo, a patto di una pausa di sei mesi. Il reddito di solidarietà prevedeva poi la sottoscrizione da parte di tutti i beneficiari di un «progetto di attivazione sociale ed inserimento lavorativo», per l’inserimento nel mondo del lavoro. In questo caso l’inserimento nel mondo del lavoro era gestito sia dai comuni sia dai centri per l’impiego. 

Il reddito di solidarietà era stato inizialmente introdotto come un sussidio alternativo al reddito di inclusione, e quindi non cumulabile. A giugno 2018 la Regione Emilia-Romagna lo ha poi modificato, rendendolo complementare al reddito di inclusione, rimodulando gli importi e facendo sì che una persona potesse percepire sia il sussidio regionale che quello nazionale. Nel 2019, con l’entrata in vigore del reddito di cittadinanza, il reddito di inclusione è venuto meno, così come il reddito di solidarietà. 

Ricapitolando: non è vero, come ha affermato Serracchiani, che con il sussidio che sostituirà il reddito di cittadinanza il governo Meloni ha «copiato» quelli approvati qualche anno fa dal Pd quando era al governo del Friuli-Venezia Giulia e dell’Emilia-Romagna. Sulla base delle anticipazioni pubblicate negli ultimi giorni da diverse fonti stampa, il nuovo sussidio presenta varie differenze da quelli citati da Serracchiani, sia per quanto riguarda i requisiti di accesso sia per quanto riguarda l’inserimento nel mondo del lavoro.

 

[1] La tabella con gli importi del sussidio si trova a pagina 18 del documento.

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