Il Parlamento ignora le proposte di legge delle regioni

Dall’inizio della legislatura ne sono state presentate più di cento, ma quasi nessuna è stata presa in considerazione
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
La Sicilia chiede di riorganizzare i tribunali, l’Emilia-Romagna vuole incentivi fiscali per le zone montane svantaggiate sull’Appennino, mentre il Piemonte chiede di supportare il consumo di energie rinnovabili. Queste sono solo alcune delle richieste contenute nelle proposte di legge presentate dalle regioni al Parlamento in questa legislatura. Il problema però è che, su oltre cento proposte presentate finora, nessun testo depositato su iniziativa delle regioni è diventato legge. Alcune proposte sono state incluse nell’esame di altri testi depositati dai parlamentari, mentre la maggior parte delle altre non è ancora stata esaminata né dalla Camera né dal Senato, nemmeno dalle commissioni parlamentari. Eppure, negli ultimi vent’anni i testi presentati dalle regioni al Parlamento sono aumentati. 

Secondo i calcoli di Pagella Politica, in questa legislatura – ossia dal 13 ottobre 2022 – le regioni hanno presentato al Parlamento 111 proposte di legge di loro iniziativa, in media una ogni dieci giorni. Nella scorsa legislatura – tra il 2018 e il 2022 – le proposte depositate dalle regioni al Parlamento erano state 98. Nella diciassettesima legislatura – tra il 2013 e il 2018 – erano state 78, mentre in quella precedente 69. Nella quindicesima legislatura, durata solo due anni – dal 2006 al 2008 – erano state appena 18. 

In questa legislatura, nessuna delle proposte presentate dalle regioni è al momento diventata legge. Tra i vari testi, solo uno è stato approvato da almeno una delle due camere: la riforma dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia (su cui torneremo più avanti). Per il resto, nove proposte delle regioni sono state assorbite nell’esame di testi presentati dai parlamentari, cinque sono state respinte dalle commissioni parlamentari, mentre un’altra è stata ritirata. Quest’ultima era una proposta della regione Puglia per l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria per i monopattini elettrici. L’obbligo di assicurazione per i monopattini è stato poi introdotto con la riforma del codice della strada voluta dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, approvata definitivamente dal Parlamento a novembre 2024.

Uno strumento poco valorizzato

Dietro alla scarsa considerazione di queste proposte di legge ci sono più fattori. 

L’articolo 121 della Costituzione attribuisce ai consigli regionali il potere di presentare proposte di legge al Parlamento. I consigli regionali sono piccoli “parlamenti”, che ricoprono varie funzioni, tra cui quella di approvare le leggi regionali, e sono composti da un numero variabile di consiglieri, a seconda di quanto previsto dallo statuto di ciascuna regione. Per quanto riguarda le proposte di legge al Parlamento, la Costituzione non stabilisce però le modalità in base alle quali i consigli regionali le possono presentare. 

«Su questo aspetto la Costituzione è molto generica. Il modo in cui le regioni possono presentare una proposta al Parlamento varia da regione a regione. Di solito è stabilito dallo statuto regionale oppure dai regolamenti interni dei consigli regionali», ha spiegato a Pagella Politica Giuseppe Arconzo, professore di Diritto regionale all’Università Statale di Milano. 

Per esempio, il regolamento del Consiglio regionale della Lombardia stabilisce che per presentare una proposta di legge al Parlamento, il Consiglio deve approvare il testo della proposta nella stessa modalità con cui approva un provvedimento a livello regionale. Questo procedimento prevede l’esame della proposta nelle commissioni del Consiglio regionale, il successivo esame in aula e il voto sul testo. 

Secondo Arconzo, le proposte di legge delle regioni sono poco considerate dal Parlamento perché riguardano temi molto tecnici. «A volte si tratta di proposte su questioni strettamente locali, che il Parlamento decide di mettere in coda alle sue priorità e al proprio calendario dei lavori», ha spiegato il professore. Un problema simile lo avevamo riscontrato per quanto riguarda le proposte di legge dei parlamentari dedicate ai loro territori, che spesso non vengono prese in considerazione da Camera e Senato. E lo stesso discorso vale per le proposte di legge di iniziativa popolare, che raramente arrivano in fondo all’esame parlamentare.

Lo strapotere del governo

Dietro la scarsa considerazioni di queste proposte di legge c’è anche il peso del governo nella produzione normativa del Parlamento. Come abbiamo spiegato in un precedente approfondimento, anche il governo Meloni – al pari dei suoi predecessori – sta abusando dei decreti-legge nonostante le promesse iniziali di ridurre l’uso di questo tipo di provvedimenti. 

La Costituzione prevede che il governo possa approvare un decreto-legge solo «in casi straordinari di necessità e di urgenza». Una volta pubblicato in Gazzetta Ufficiale, il decreto entra subito in vigore, ma deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni, altrimenti decade. Negli anni, i governi hanno abusato di questo strumento, riducendo il ruolo del Parlamento nella scrittura delle leggi. «Ormai l’attività del Parlamento è concentrata nell’esame degli atti del governo, come disegni di legge governativi e decreti-legge. Oggi se una regione vuole far approvare un proprio provvedimento a livello nazionale deve chiederlo al governo e mettersi d’accordo con esso, altrimenti non va avanti», ha spiegato Arconzo.

Secondo i dati pubblicati dalla banca dati del Senato, su 236 leggi approvate dal Parlamento in questa legislatura, 174 sono di iniziativa del governo, come disegni di legge e decreti-legge, pari a oltre il 70 per cento di tutta la produzione normativa. Per il resto, 61 sono di iniziativa di deputati e senatori, mentre una sola è di iniziativa popolare.
Al momento, l’unica proposta di legge regionale il cui esame sta procedendo in Parlamento è un testo con cui il Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia ha chiesto di modificare il proprio statuto regionale. La proposta prevede, tra le altre cose, la reintroduzione nella regione delle province, che erano state eliminate con la riforma costituzionale del 2014, promossa dall’allora ministro per gli Affari regionali e le autonomie Graziano Delrio. La proposta di modifica è già stata approvata dalla Camera e dal Senato una volta e al momento all’esame del Senato per una seconda approvazione. Il Friuli-Venezia Giulia è infatti una regione a statuto speciale e per modificare il proprio statuto è necessaria una legge costituzionale approvata dal Parlamento. Le leggi costituzionali richiedono almeno due approvazioni da parte della Camera e del Senato, con la possibilità di essere anche sottoposte a referendum per confermarle.

Valore simbolico

Fatta eccezione per la proposta del Friuli Venezia-Giulia, le altre proposte di legge delle regioni non hanno finora avuto fortuna. Nel tempo queste proposte hanno assunto più che altro un valore simbolico. «Gli esperti, così come le stesse regioni, sanno che se una proposta viene presentata in Parlamento non avrà grande seguito se non c’è un accordo con il governo. Dunque, se un consiglio regionale presenta una proposta al Parlamento questa ha più che altro un valore direi “comunicativo”, per dimostrare ai propri elettori che si sta facendo qualcosa per un determinato tema, che ci si sta muovendo. Ma le possibilità che la proposta in questione venga davvero approvata sono praticamente nulle», ha spiegato Arconzo.

Secondo il professore, uno dei motivi dietro alla debolezza di queste proposte è la debolezza della classe politica regionale. «Fatta eccezione per alcuni presidenti di regione, che in questi anni si sono ritagliati un ruolo di primo piano anche sul piano nazionale, la classe politica regionale e locale è praticamente assente. I partiti a livello locale sono di fatto delle articolazioni del partito nazionale, e questo è così sin dal principio, da quando le regioni sono state istituite», ha aggiunto l’esperto. A quest’ultimo aspetto si collega la sempre minor rilevanza degli stessi consigli regionali. Come abbiamo spiegato in un precedente approfondimento, nel corso degli ultimi anni i poteri dei consigli regionali sono diminuiti di fronte a una sempre maggiore influenza dei presidenti e delle giunte regionali.

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