Esiste un’“emergenza sicurezza” legata agli stranieri? Che cosa dicono i numeri

Dalle immagini fatte con l’intelligenza artificiale all’uso dei dati, abbiamo analizzato le narrazioni ricorrenti che distorcono il legame tra immigrazione e crimine
Una delle immagini create con l’intelligenza artificiale pubblicate sui profili social della Lega
Una delle immagini create con l’intelligenza artificiale pubblicate sui profili social della Lega
Da anni la comunicazione politica di alcuni partiti di destra, in Italia come in molti altri Paesi, dedica grande attenzione ai casi di cronaca che hanno per protagonisti persone immigrate, regolari o irregolari. 

L’obiettivo di questa strategia è duplice. Da un lato, si punta a convincere l’elettorato dei presunti pericoli legati all’immigrazione. Dall’altro, si vuole alimentare la percezione di insicurezza, descrivendo l’Italia come un Paese sempre più esposto a violenze e crimini, per poi proporre come soluzione misure presenti nei programmi elettorali, tra cui più poteri alle forze dell’ordine, regole più severe e pene più alte. In realtà, i dati mostrano da tempo un trend di calo dei reati e non indicano una relazione evidente e stabile tra immigrazione e criminalità. L’associazione tra i due fenomeni è frutto dunque di una costruzione narrativa che si regge più sulla percezione che sui numeri.

In questo articolo abbiamo analizzato le principali caratteristiche della comunicazione che in passato ha alimentato quella narrazione, per individuare alcune lezioni utili per il futuro. Si tratta di un esempio di prebunking, cioè un lavoro di prevenzione contro la disinformazione: diffondere conoscenze e consapevolezza per aiutare il pubblico a riconoscere le tecniche e le manipolazioni più ricorrenti. Fare prebunking non significa negare che esistano problemi di sicurezza o episodi di violenza causati da persone immigrate, ma collocarli nel giusto contesto.

Gli stranieri in carcere

La prima narrazione da smontare riguarda la presenza di stranieri nelle carceri italiane, che dimostrerebbe la loro maggiore propensione al crimine.

Per esempio, a luglio 2024 il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha dichiarato che «quasi la metà dei detenuti» è straniera, «in maggioranza extracomunitaria». Questa affermazione è scorretta: secondo i dati aggiornati al 30 settembre 2025, nelle carceri italiane si trovano poco più di 63 mila detenuti, a fronte di una capienza regolamentare superata del 23 per cento. Tra le persone in carcere, circa 20 mila hanno cittadinanza straniera: il 31,4 per cento del totale, quindi meno di un terzo, non «quasi la metà».

A gennaio 2025 gli stranieri residenti in Italia erano 5,4 milioni, pari a poco più del 9 per cento della popolazione. Questa percentuale viene spesso citata, anche unita al dato corretto sui detenuti stranieri, per sostenere che gli immigrati delinquono di più, ma la realtà è più complessa. L’associazione Antigone, che tutela i diritti dei detenuti, ha ricordato più volte che per gli stranieri è molto più difficile accedere alle misure alternative al carcere, come l’affidamento ai servizi sociali o la detenzione domiciliare. Gli irregolari, privi di un domicilio, restano in carcere anche in attesa di giudizio e non possono essere presi in carico dai servizi sociali: per questo solo il 17,5 per cento di chi beneficia di pene alternative è straniero.

All’interno di questo quadro, la situazione è ancora più complessa per gli immigrati irregolari. Con questo termine si intendono le persone arrivate in Italia senza il permesso di soggiorno o la protezione internazionale, e che quindi vivono al di fuori della tutela dello Stato: non possono lavorare, andare a scuola o ricevere cure mediche se non quelle urgenti ed essenziali. Secondo le ultime stime, nel 2024 gli immigrati irregolari in Italia erano circa 320 mila, il 6 per cento del totale degli stranieri che vivono nel nostro Paese. Vivendo in una condizione di irregolarità, che è di per sé un reato, queste persone sono per ovvi motivi più esposte a commettere reati minori per sopravvivere. 

Non è facile individuare la percentuale dei crimini commessi da irregolari sul totale dei reati commessi dagli stranieri in Italia, ma gli studi più recenti ci suggeriscono che questa percentuale sia molto alta. «La condizione di irregolarità – afferma uno studio del 2013 – incrementa fortemente il rischio di coinvolgimento in attività criminali, in quanto preclude l’accesso a opportunità di guadagno lecite, aumentando la propensione a delinquere». 

Per questo motivo – come sottolineato da un’altra ricerca del 2017 – una soluzione potrebbe essere quella di incrementare la regolarizzazione di queste persone per farle accedere al mondo del lavoro e permettere loro di uscire dall’illegalità. «Pur crescendo la popolazione straniera libera, diminuisce tuttavia il numero di stranieri in carcere. Segno del fatto che non esiste un’emergenza criminalità legata alle persone immigrate e che le politiche di regolarizzazione pagano in termini di sicurezza», ha scritto a proposito Antigone nel suo report del 2024.

Per quanto riguarda la tipologia di reati commessi, l’analisi di Antigone mostra che gli stranieri – regolari e irregolari – sono autori soprattutto di reati contro il patrimonio – furti, rapine, danneggiamenti – e che le loro pene sono più brevi: il 45,5 per cento delle condanne inferiori a un anno riguarda detenuti stranieri, mentre tra gli ergastolani la loro presenza scende al 7,6 per cento. Uno studio sui primi anni Duemila ha confermato che l’immigrazione incide soprattutto sulle rapine, ma poiché queste rappresentano una frazione minima dei reati, l’effetto complessivo sul tasso di criminalità «non è significativamente diverso da zero».

Nonostante ciò, la tesi secondo cui gli stranieri siano propensi a delinquere di più degli italiani in quanto stranieri continua a circolare, ripresa negli anni da giornali e politici. Già nel 2016 la Lega parlava di «boom di criminali stranieri»; due anni dopo Silvio Berlusconi affermava che «476 mila immigrati per mangiare devono delinquere», senza fornire prove. Dopo l’attentato di Macerata del 2018 – dove un uomo italiano sparò contro dei migranti in strada per motivazioni di odio razziale – Giorgia Meloni dichiarò che in Italia «c’è un problema tra immigrazione incontrollata e sicurezza». In quegli anni, l’Associazione Carta di Roma, nata per attuare il protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, segnalò titoli fuorvianti da parte di testate che definivano gli immigrati «i re del crimine», invitando a un uso corretto dei dati. 

Questa narrazione è tuttora centrale nella comunicazione politica della Lega. Per esempio, tra il 19 e il 24 ottobre 2025, i profili social del partito e del suo segretario Matteo Salvini hanno pubblicato almeno sette post su casi di cronaca con protagonisti stranieri, spesso accompagnati da toni allarmistici, dall’arresto di un diciannovenne tunisino per aggressione, ai video di persone che commettono danneggiamenti vari, come sfondare la vetrata di un pronto soccorso o rompere un distributore automatico in stazione. 
Il risultato di questa strategia è alimentare la percezione che esista un’emergenza sicurezza e che i colpevoli principali siano gli stranieri. Studi dell’Osservatorio di Pavia hanno mostrato che nei media italiani i reati commessi da stranieri sono sovrarappresentati rispetto ai dati reali, così come nella sicurezza percepita dai cittadini. Un’indagine del 2023 condotta dal Ministero dell’Interno con Eurispes ha mostrato che un quinto degli italiani crede che i crimini siano compiuti “soprattutto” da stranieri, mentre solo il 6 per cento pensa che siano prevalentemente opera di italiani.

Si può dire che la narrazione ha attecchito nell’opinione pubblica, aumentando la percezione nei cittadini che gli stranieri siano autori di una percentuale di crimini decisamente maggiore rispetto a quella reale. Ciò non vuol dire che i fatti di cronaca riguardanti persone straniere siano da sottovalutare, così come bisogna riconoscere l’incidenza degli stranieri irregolari sul totale dei reati commessi dagli stranieri. Ma a prescindere dalle legittime idee politiche sull’immigrazione, è importante dare a queste notizie il giusto contesto all’interno del panorama nazionale e fare affidamento ai dati e alle statistiche, che restituiscono un’immagine del fenomeno molto più articolata ed eterogenea di come viene invece rappresentato da alcune narrazioni, spesso guidate da precisi scopi politici.

Le violenze sessuali

Un’altra narrazione ricorrente riguarda le violenze sessuali, che sarebbero commesse più spesso da immigrati, soprattutto provenienti da Paesi africani o musulmani.

Per esempio, a novembre 2024 il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni hanno entrambi sostenuto che l’aumento delle violenze sessuali sarebbe legato all’immigrazione irregolare e alla «degenerazione» derivante dalla povertà. Questa narrazione è stata portata avanti anche nel corso del 2025 da altri esponenti della destra.

I dati ISTAT più aggiornati e completi, però, raccontano una cosa diversa. Nel 2022 sono state denunciate o arrestate 5.775 persone con l’accusa di violenza sessuale, categoria in cui rientrano atti molto diversi tra loro, dalle molestie allo stupro. Di queste persone, 3.340 erano italiane, 2.435 straniere. Dunque, la maggioranza è composta da cittadini italiani: il 57,8 per cento contro il 42,2 per cento degli stranieri. Nel 2022, però, i cittadini stranieri corrispondevano all’8,7 per cento della popolazione. A prima vista l’incrocio di questi due dati sembrerebbe una conferma delle tesi della destra, ma questi numeri non misurano le violenze commesse, bensì solo quelle di cui è noto l’autore.

Come ha spiegato ISTAT più volte, la violenza sessuale è tra i reati più “sommersi”. «Alle violenze sessuali è associata una scarsissima propensione alla denuncia, considerazione che rende i dati desunti dalle denunce presentate alle forze di polizia poco adatti a fornire una stima quantitativa del fenomeno», ha sottolineato l’istituto nazionale di statistica. «Essenziali per la stima del sommerso della violenza, ovvero la parte non denunciata alla polizia e alle autorità giudiziarie, sono i dati dell’Indagine sulla sicurezza delle donne». 

L’ultima edizione di questa indagine è del 2014. All’epoca ISTAT aveva rilevato che in Italia solo il 16 per cento delle donne che ha subìto una violenza sessuale l’ha denunciata. In pratica, oltre otto donne su dieci vittime di violenza sessuale non si sono rivolte alle forze dell’ordine. Dunque, le quasi 5.800 violenze sessuali denunciate nel 2022 con autore noto non rappresentano tutte le violenze sessuali commesse in Italia quell’anno: molte altre sono state commesse, ma sono sfuggite alla giustizia e alle statistiche. 

Oltre alla sottodenuncia, ci sono altri due problemi che non permettono di usare i dati ISTAT per supportare l’accostamento tra criminalità e immigrazione. In primo luogo, le statistiche non distinguono le violenze sessuali commesse da cittadini stranieri regolari e irregolari, e nemmeno di distinguere le violenze commesse da stranieri (o italiani) che vivono in condizioni di «degenerazione», per citare la parola usata da Meloni. 

In secondo luogo, la propensione a denunciare una violenza sessuale subita cambia a seconda della nazionalità delle vittime. Secondo i dati raccolti da ISTAT, il 4,4 per cento delle donne italiane vittime di stupro ha denunciato il proprio aggressore di nazionalità italiana, quando questo non era un partner o un ex partner. Questa percentuale sale al 24,7 per cento quando l’aggressore era straniero. Le percentuali, già molto basse, scendono rispettivamente al 2,2 per cento e al 17,8 per cento per il tentato stupro. 

I dati perciò mostrano che, per certi tipi di violenza sessuale, è molto più probabile che una donna denunci l’aggressore quando è straniero. Le violenze sessuali commesse dagli stranieri rimangono ovviamente un problema, così come quelle commesse da italiani. Ma i dati a nostra disposizione non permettono nemmeno di dire che in Italia quattro violenze sessuali su dieci sono commesse da immigrati.

Ciononostante, la retorica dello “straniero stupratore” è rimasta un pilastro della propaganda politica. La stessa Meloni, come detto, ha rilanciato più volte la tesi dell’alta incidenza degli stranieri nelle violenze sessuali. Più di recente, lo scorso ottobre la parlamentare europea della Lega Silvia Sardone ha denunciato in un video sui social «un’altra violenza sessuale, l’ennesima, commessa da un balordo straniero», elencando poi gli ultimi casi di cronaca che hanno visto persone di origine africana aggredire a scopo sessuale delle donne italiane. In passato altri esponenti del centrodestra, così come giornalisti di quell’area politica, hanno evidenziato il presunto legame tra gli stupri e l’immigrazione, affermando che nei Paesi di provenienza di queste persone ci sia «una cultura che non rispetta la donna».

Da anni poi la Lega propone la “castrazione chimica” per chi commette violenze sessuali. Sardone, per esempio, ha proposto «remigrazione e castrazione chimica per chi violenta le donne». In breve, la castrazione chimica è una terapia farmacologica che riduce gli ormoni sessuali, principalmente il testosterone, arrestando o riducendo la libido nei soggetti autori di stupri o pedofilia. Secondo molti esperti, questa terapia sarebbe incompatibile con diversi punti della Costituzione. 

Già nel 2015, comunque, Salvini chiedeva l’introduzione di questa pratica in occasione di stupri e violenze commessi da stranieri. In questi casi, alla castrazione chimica il leader della Lega ha spesso accompagnato la richiesta di espulsione del colpevole, come fatto in un post lo scorso agosto.
Il collegamento tra castrazione chimica e la presunta propensione degli stranieri a commettere violenze sessuali ha portato in passato a proposte pericolose e antidemocratiche. A gennaio 2016, per esempio, l’ex deputata Barbara Mannucci – all’epoca responsabile del Comitato donne del partito Noi con Salvini, poi confluito nell’attuale Lega – disse che per i rifugiati politici, quindi per persone che hanno diritto di stare in Italia, era «necessaria una castrazione chimica preventiva: quando entrano nel nostro Paese, si dà loro la pasticchetta e li si castra subito, ancora prima che possano fare qualcosa. Così, sapendo quello a cui sono destinati, non vengono in Italia e se ne vanno da un’altra parte o restano al Paese loro».

Il tema è stato cavalcato anche dai partiti dell’estrema destra neofascista. A settembre 2017 il movimento neofascista Forza Nuova aveva pubblicato un post che reinterpretava un manifesto di epoca fascita nel quale un uomo nero aggredisce una donna bianca, con la scritta: «Difendila dai nuovi invasori. Potrebbe essere tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia». Il post è stato eliminato nel 2019 dopo che Facebook ha cancellato i profili social di molti movimenti neofascisti, come Forza Nuova e Casapound.

Insomma, in oltre dieci anni di comunicazione politica i partiti della destra italiana hanno, chi più chi meno, sostenuto un legame tra l’immigrazione e le violenze sessuali non confermato dai dati pubblicamente disponibili, che se spiegati e contestualizzati rendono un’immagine più realistica e sfaccettata della situazione nel Paese. Dire che gli immigrati rappresentano quasi il 10 per cento della popolazione, ma commettono il 40 per cento degli stupri è fuorviante, perché i dati si riferiscono solo alle denunce: come ha più volte affermato l’ISTAT, questo dato non basta a raccontare per intero il fenomeno della violenza sulle donne, dato che nella grande maggioranza dei casi le violenze – specie quelle che avvengono in un contesto affettivo e domestico – non vengono denunciate. 

Tenere conto di ciò – lo ripetiamo – non significa sottovalutare le violenze commesse dagli stranieri nei confronti delle donne italiane, ma dotare i cittadini e le cittadine degli strumenti necessari a informarsi correttamente. Qualora si imbattessero in futuro in contenuti analoghi a quelli, falsi o fuorvianti, circolati in passato, le loro difese contro le manipolazioni saranno maggiori.

La rappresentazione sui social

La narrazione che vuole collegare l’immigrazione alla criminalità non opera solo sui contenuti, ma anche sulla loro rappresentazione. Da mesi le pagine social ufficiali della Lega e del suo leader Matteo Salvini – su Facebook, Instagram e X – sono piene di post che rimandano a casi di cronaca con protagonisti immigrati, spesso identificati come musulmani.

Rispetto al passato è emerso un elemento nuovo: oltre a titoli d’impatto – come “Somalo frattura una mano a un poliziotto. Appena scarcerato, ne prende altri a testate” o “«Lo dice l’Islam»: iraniano abusa della moglie e pesta il figlio” – la Lega accompagna i post con immagini generate dall’intelligenza artificiale che, a un primo sguardo, risultano verosimili. Non sono semplici illustrazioni: per accrescerne la credibilità, i volti raffigurati – persone inesistenti con quelle sembianze – sono spesso pixelati, come accade nelle cronache che intendono tutelare l’identità dei soggetti ritratti.

Questa scelta può apparire paradossale, ma rientra in una precisa strategia comunicativa, non isolata in Europa. Il contrasto all’immigrazione irregolare e la difesa dell’“identità” italiana sono temi centrali nella comunicazione della Lega e di Salvini, specialmente sui social network.

Da anni il partito rilancia con continuità notizie di cronaca su stranieri accusati di violenze, abusi o altri reati, una tendenza consolidata a partire dal 2015, quando il responsabile della comunicazione di Salvini, Luca Morisi, mise in piedi un’imponente macchina comunicativa, ribattezzata in gergo “la Bestia”, che contribuì a rendere la Lega il soggetto politico più popolare sui social. “La Bestia” non esiste più – anche a seguito delle dimissioni di Morisi nel 2021 dopo uno scandalo – ma il partito continua a usare i social con aggressività e, per certi aspetti, in modo innovativo. Negli ultimi tempi alle notizie sui presunti crimini commessi da stranieri si sono affiancate rappresentazioni visive di quei crimini, prodotte con strumenti di intelligenza artificiale, ed è probabile che questo fenomeno prosegua anche in futuro.

La struttura dei post è quasi sempre la stessa: un titolo d’impatto e un’immagine. Il titolo riprende spesso articoli di testate giornalistiche, richiamando episodi di violenza contro pubblici ufficiali, abusi su minori o su donne, molestie, violenze sessuali o rapine. L’immagine, generata dall’intelligenza artificiale, “mette in scena” il reato descritto, rappresentando in modo più o meno realistico vittime e presunti colpevoli, entrambi con il volto oscurato. In molti casi, la didascalia invoca l’espulsione o pene esemplari per gli autori del crimine.
Resta allora una domanda: se le persone raffigurate non sono reali, perché coprire occhi e volti con pixel? Non c’è una risposta definitiva, ma si possono avanzare ipotesi. Un motivo può essere il tentativo di rendere più realistica l’immagine: il pixel è un codice visivo tipico della cronaca, soprattutto quando coinvolge minori o vittime, e trasferirlo su immagini sintetiche le fa apparire più “giornalistiche”. Un altro motivo è tecnico: benché l’intelligenza artificiale produca immagini sempre più credibili, le espressioni facciali e gli occhi restano spesso imperfetti, e la pixelatura aiuta a mascherare tali difetti.

In ogni caso, la scelta di coprire i volti risulta arbitraria: non trattandosi di persone reali, non c’è alcun profilo di privacy da tutelare. La particolarità della strategia emerge ancor più se confrontata con l’uso che altri partiti fanno delle immagini generate.

Altri partiti europei di destra o estrema destra, come Alternative für Deutschland (AfD) in Germania, usano da tempo l’intelligenza artificiale per la produzione di contenuti social. Per esempio, lo scorso gennaio la leader di AfD Alice Weidel ha pubblicato su X un video quasi interamente creato con l’intelligenza artificiale: da un lato il filmato mostrava donne e bambini sorridenti, dall’altro scene di disordini e video manipolati dell’ex cancelliera Angela Merkel mentre si faceva selfie con alcuni migranti. Il messaggio era chiaro: «Ti ricordi quanto era bella un tempo la Germania?». Proprio questa scritta aveva fatto discutere, perché il passato mostrato nel video – fatto di immagini idealizzate e false – non era mai esistito.

Il partito tedesco di estrema destra usa abitualmente immagini create con l’intelligenza artificiale nei suoi post online, che hanno sostituito quasi del tutto le immagini di repertorio. A differenza della Lega, però, AfD non copre mai i volti delle “persone” raffigurate, anche quando questi contenuti veicolano messaggi negativi.

A prescindere dal partito che ricorra all’intelligenza artificiale per creare immagini, è importante che le persone sappiano che si tratta di finzione e non di realtà, e che queste immagini vengono diffuse per suscitare emozioni forti che impattano sulle opinioni di chi le guarda.

Tiriamo le fila

In Italia molti dati che riguardano gli stranieri – dalla loro presenza nelle carceri ai casi di violenza sessuale – sono spesso manipolati per trasmettere l’idea che nel Paese sia in corso un’emergenza sicurezza imputabile soprattutto agli immigrati. Questa cornice narrativa viene utilizzata dai partiti di destra per costruire consenso e presentarsi come l’unica forza capace di “ristabilire l’ordine” attraverso misure securitarie, pene esemplari, sostegno alle forze dell’ordine e contrasto all’immigrazione irregolare.

Quando i cittadini si imbattono in notizie, dichiarazioni, contenuti social o video che alimentano questa narrazione, anche facendo leva su dati ufficiali, non è raro che si trovino di fronte a operazioni di propaganda e disinformazione: la realtà viene piegata per rendere più efficaci certi messaggi e più popolari determinate proposte.

Un capitolo particolarmente rilevante riguarda le violenze sessuali e, in particolare, il rapporto tra donne italiane e uomini immigrati: dai partiti della destra moderata a quelli dichiaratamente neofascisti, la retorica della “difesa delle nostre donne” dagli immigrati – in particolare africani o di religione musulmana, descritti come provenienti da culture che «non rispettano le donne» – è stata riproposta con continuità. Anche qui è decisivo ricordare quanto il tema sia stato, nel tempo, attraversato da falsità, manipolazioni e distorsioni, capaci di alterare profondamente la percezione della realtà e di gerarchizzare le paure.

Rispetto al passato queste narrazioni – spesso distorte e velatamente razziste – sono state amplificate prima dai social network e poi dagli strumenti di intelligenza artificiale. Per effetto di alcune forze politiche e di reti di influencer d’area – si pensi, per esempio, al caso di RadioGenoa, un popolare account X di disinformazione xenofoba più volte rilanciato da Elon Musk – ogni giorno circolano sui social decine di contenuti che riguardano crimini commessi, in Italia e altrove, da persone straniere. Sia l’esultanza per una condanna esemplare, sia l’indignazione per un’assoluzione concorrono a presentare il tema come un’emergenza quotidiana.

La sequenza incessante di post su uno stupro a Milano, una rapina a Roma, un’aggressione a Palermo produce negli utenti la sensazione di trovarsi di fronte a un allarme generalizzato, benché quei tre episodi – per quanto gravi – siano tre casi di cronaca tra le migliaia di reati denunciati ogni giorno in un Paese di quasi 60 milioni di abitanti. L’uso dell’intelligenza artificiale aggiunge uno strato di “realismo” che orienta lo sguardo verso una scena precisa, con una netta contrapposizione fra “italiani buoni” e “immigrati cattivi”. In questo senso, l’attività di partiti come la Lega non è lontana dai manifesti diffusi alcuni anni fa da Forza Nuova, che riprendevano esplicitamente la propaganda fascista.
Conoscere il contesto informativo in cui ci muoviamo è essenziale. Di fronte a contenuti di questo tipo – come avviene regolarmente – prima di cedere alle emozioni su cui fanno leva (rabbia, indignazione, odio, paura), è utile porsi alcune domande-chiave: “che cosa è successo?”, “dove?”, “quando?”, “che cosa dicono i dati?”. È un passaggio minimo ma decisivo per ridurre l’impatto della disinformazione e delle manipolazioni sul rapporto tra immigrazione e criminalità.
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