Il 28 ottobre il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge per il Bilancio del 2022 – che ora andrà in Parlamento – dopo lunghe trattative all’interno della maggioranza di governo e con le parti sociali.

Uno dei temi più discussi della manovra sono state le pensioni. A fine 2021 scade infatti “quota 100”, la misura che negli ultimi tre anni ha permesso a quasi 350 mila persone di andare in pensione anticipata, un dato sotto le aspettative, anche dal punto di vista delle conseguenze occupazionali. Con la nuova legge di Bilancio, il governo ha confermato che nel 2022 entrerà in vigore la misura annuale di “quota 102”, che permetterà di andare in pensione prima a chi ha maturato 64 anni di età anagrafica e 38 anni di contributi.

Questo compromesso non sembra aver trovato il supporto dei sindacati, che hanno già minacciato di voler scioperare contro la misura e altre lacune della manovra finanziaria. Quali sono invece le posizioni dei principali partiti dell’arco parlamentare sul dibattito di questi giorni? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza.

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Qual è la posizione del centrodestra

Tra i partiti di destra e centrodestra, negli ultimi anni quello più coinvolto dal tema delle pensioni è stata la Lega. Ricordiamo che “quota 100” fu approvata nel 2019, con il governo Lega-Movimento 5 stelle, e che la misura è stata uno dei cavalli di battaglia del segretario Matteo Salvini.

Secondo fonti stampa, la Lega si sarebbe detta «soddisfatta» nell’accordo raggiunto su “quota 102”, anche se questo ha comportato la mancata proroga – anche solo temporanea – di “quota 100”, provvedimento difeso fino all’ultimo dallo stesso Salvini. Una soluzione avanzata dalla Lega è stata quella di poter mandare in pensione i lavoratori con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica. Questa proposta, chiamata “quota 41”, non si è poi concretizzata nelle mediazioni con il presidente del Consiglio Mario Draghi.

Nel dibattito sulle pensioni, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono stati più defilati della Lega, avanzando però anche loro alternative per consentire forme di pensionamento anticipato, con somme diverse tra età anagrafiche e anni di contributi versati.

Che cosa ha proposto il Pd

Il Partito democratico, per voce del segretario Enrico Letta e non solo, si è invece detto più volte critico del principio alla base di “quota 100”, e in particolare dei risultati ottenuti da questa misura.

La proposta portata avanti dal Pd è stata soprattutto quella di consentire la pensione anticipata per due categorie specifiche di lavoratori: chi svolge impieghi usuranti e le donne. La legge di Bilancio per il 2022 sembra andare a tutti gli effetti in questa direzione. Come ha spiegato un comunicato stampa del governo, con la manovra il governo Draghi ha deciso di prorogare per il prossimo anno sia “Opzione donna”, che permette alle donne con almeno 35 anni di contributi di andare in pensione, sia la cosiddetta “Ape sociale” (acronimo che sta per “anticipo pensionistico”), che consiste in un’indennità pagata dallo Stato, come ponte per i lavoratori che sono a ridosso della pensione. In questo caso il governo ha deciso di allargarla a soggetti che hanno svolto lavori gravosi.

Alcuni esponenti democratici non hanno poi risparmiato critiche verso l’annuncio dei sindacati di indire uno sciopero contro il compromesso raggiunto sulle pensioni. «Il tema pensioni riguarda prevalentemente i giovani, a cui vanno assicurati stessi diritti che hanno avuto i loro padri. Per questo penso, che abbia ragione Draghi», ha scritto per esempio su Twitter il 27 ottobre il senatore del Pd Andrea Marcucci. «Mi auguro che i sindacati siano disponibili a riprendere un confronto con la volontà di andare avanti invece che indietro».

Le critiche di Italia viva e Azione ai sindacati

Il partito di Matteo Renzi e quello di Carlo Calenda – alleati nelle elezioni comunali a Roma, ma non a livello nazionale – sono stati i due più critici di “quota 100” in passato e, oggi, lo sono anche dell’annuncio di sciopero dei sindacati.

«Se i sindacati organizzeranno una mobilitazione per le pensioni noi promuoveremo una mobilitazione per i giovani», ha anticipato il 27 ottobre su Twitter Calenda. «A loro tocca pagare sempre il conto. È bene che si mobilitino e facciano sentire la loro voce».

Lo stesso giorno Renzi ha scritto sui social un messaggio dai toni simili: «Che i sindacati attacchino il governo sulle pensioni dimostra ancora una volta come parte dei dirigenti di questo Paese pensi solo a chi è già garantito e non ai giovani», si legge in un tweet del leader di Iv. «Tanto il conto lo pagano sempre i nostri figli. Per me ha ragione Mario Draghi e non Maurizio Landini», con una critica diretta al segretario nazionale della Cgil.

Negli scorsi giorni lo stesso Landini, ospite in tv, aveva dichiarato che “quota 102” «è un po’ una presa in giro» – espressione usata il 29 ottobre anche dal segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri – chiedendo una «riforma vera» del sistema pensionistico.

Che cosa ha detto il M5s

Infine nelle ultime settimane anche il Movimento 5 stelle si è espresso sulla questione di “quota 100”, che – ricordiamo – è stata introdotta a inizio 2019, proprio quando al governo c’era il primo governo Conte, nello stesso decreto che ha dato vita al reddito di cittadinanza. Come abbiamo scritto in passato, il M5s ha più volte rivendicato la paternità del provvedimento, anche se l’entusiasmo del primo partito in Parlamento è via via scemato, con il passaggio al secondo governo Conte e con l’alleanza con il Pd.

Già a settembre 2020 l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte – oggi leader del M5s – aveva infatti annunciato che il rinnovo di “quota 100” non era «all’ordine del giorno» nel suo esecutivo.

Il 26 ottobre, ospite a Otto e mezzo su La7, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio – nel 2019 ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico – ha confermato questa posizione, sottolineando che «già da un anno e mezzo» si sapeva che “quota 100” non sarebbe stata «più sostenibile, se rinnovata».

Negli ultimi giorni le preoccupazioni maggiori del M5s, nelle trattative per la nuova legge di Bilancio, hanno riguardato soprattutto il reddito di cittadinanza, che nel testo approvato dal Consiglio dei ministri il 28 ottobre ha visto aumentare il proprio finanziamento di un miliardo.

Che cosa c’entra la Fornero

Prima di concludere, ricordiamo qual è l’oggetto del contendere che da anni ormai sta sullo sfondo ogni volta che si affronta il tema delle pensioni nel dibattito politico: la cosiddetta “legge Fornero”.

Come abbiamo spiegato in passato, questo provvedimento è probabilmente il più famoso adottato dal governo Monti. Questa riforma delle pensioni – che prende il nome dall’allora ministra del Lavoro e delle Politiche sociali Elsa Fornero – fu approvata 20 giorni dopo l’entrata in carica dell’esecutivo tecnico, il 6 dicembre 2011. Nel linguaggio comune si parla di “legge”, anche se a essere precisi il riferimento è a un singolo articolo (art. 24) del cosiddetto “decreto Salva-Italia”.

Negli ultimi dieci anni la riforma Fornero è stato l’intervento di più grande portata sul sistema pensionistico italiano. I suoi aspetti più importanti sono stati l’estensione generale del calcolo contributivo – cioè il fatto che la pensione sia calcolata in base ai contributi versati e non alla retribuzione ricevuta – e la modifica dei requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia, ossia quella a cui si ha diritto una volta raggiunta una certa età. L’effetto è stato il rinvio del raggiungimento dei requisiti per molti italiani, che dunque sono dovuti andare in pensione più tardi.

Con “quota 100” il governo Lega-M5s non ha mai cancellato la “legge Fornero” – come più volte ripetuto erroneamente da Matteo Salvini – ma ha concesso una finestra temporanea (2019-2021) che ha permesso solo a chi è in possesso di determinati requisiti di accedere al pensionamento prima dell’età anagrafica prevista dalla riforma Fornero (67 anni).

Ora il dibattito si concentra – e si concentrerà anche il prossimo anno – proprio su come gestire questa fase di transizione, con l’arrivo a scadenza di “quota 100”, la neonata “quota 102” (misura annuale provvisoria per il 2022) e l’estensione di altri provvedimenti come “Opzione donna” e l’“Ape sociale”. Non è dunque chiaro che cosa accadrà dal 2023 in avanti, in assenza di una nuova riforma pensionistica.

In conclusione

Con la nuova legge di Bilancio, il governo Draghi ha deciso di introdurre per il prossimo 2022 la cosiddetta “quota 102”, ossia la possibilità di andare in pensione anticipata a chi ha maturato 64 anni di età anagrafica e 38 anni di contributi. “Quota 100”, introdotta nel 2019, non sarà così rinnovata dopo la sua naturale scadenza di fine 2021.

I sindacati si sono mostrati insoddisfatti di questa scelta, mentre i principali partiti dell’arco parlamentare hanno finora espresso posizioni diverse.

Nel centrodestra, la Lega è da anni in primo piano nel dibattito sulle pensioni. “Quota 100” è stata uno dei suoi cavalli di battaglia e ora “quota 102” appare come una soluzione di compromesso, rispetto a soluzioni meno favorevoli per i prepensionamenti.

Il Pd ha invece ottenuto la proroga di “Opzione donna” e dell’“Ape sociale”, mentre il Movimento 5 stelle già da tempo aveva di fatto scaricato “quota 100”, approvata nel 2019 quando era al governo con la Lega di Salvini.

I due partiti più critici contro le dichiarazioni dei sindacati sono stati finora Italia viva e Azione.