Il 26 settembre, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato, durante il Festival dell’Economia di Trento, che il rinnovo di “quota 100” «non è all’ordine del giorno».
L’annuncio ha riportato il tema al centro del dibattito politico. Il segretario della Lega Matteo Salvini ha immediatamente difeso la legge, cavallo di battaglia del suo partito durante il primo governo Conte, scrivendo su Twitter: «Vogliono tornare alla Legge Fornero!?!?! La Lega non glielo permetterà, promesso».
Sul fronte opposto Matteo Renzi, leader di Italia viva, ha definito «l’abolizione di “quota 100” una svolta importante».
Ma qual è stato l’impatto reale di “quota 100” finora? Abbiamo verificato e in base ai dati ufficiali si può dire che la misura non abbia portato i risultati sperati.
Che cos’è “quota 100”
Con “quota 100” si intende la possibilità di richiedere il pensionamento anticipato con un’età anagrafica di almeno 62 anni e con un minimo di 38 anni di contributi. Era una promessa contenuta nel Contratto di governo firmato da Lega e M5s a maggio 2018, pochi giorni prima dell’insediamento del primo governo Conte.
Il nuovo canale di pensionamento è stato finanziato dalla legge di Bilancio per il 2019 con un fondo di 3,9 miliardi di euro per il 2019, 8,3 miliardi per il 2020 e 8,6 miliardi per il 2021. Nel decreto legge che ha introdotto la misura, in vigore dal 29 gennaio 2019, all’articolo 14 si legge esplicitamente che la nuova norma varrà «in via sperimentale per il triennio 2019-2021».
Quindi, al contrario di quanto affermato da Salvini, “quota 100” non ha mai cancellato la legge Fornero, tuttora in vigore e che si applica alla maggioranza dei lavoratori che vanno in pensione. Come abbiamo visto, “quota 100” è una finestra temporanea che permette solo a chi è in possesso di determinati requisiti di accedere al pensionamento prima dell’età anagrafica prevista dalla riforma Fornero (67 anni), e ha riguardato una minoranza del totale dei nuovi pensionati.
Dall’altra parte, è improprio anche parlare di «abolizione di “quota 100”» come ha fatto Renzi. La misura arriverà semplicemente alla sua scadenza naturale e la sperimentazione non verrà portata avanti.
I numeri di “quota 100”
In passato, più di una volta Salvini ha sostenuto che “quota 100” avrebbe coinvolto circa 400-500mila lavoratori. Una relazione tecnica del Servizio del Bilancio del Senato di febbraio 2019 stimava per la misura una platea appena inferiore di beneficiari potenziali, comunque oltre i 365 mila, di cui l’80 per cento (circa 290 mila) già nel primo anno. In realtà, come vedremo tra poco, il successo del nuovo canale di pensionamento è stato inferiore alle aspettative.
Quante sono state, alla prova dei fatti, le persone che hanno deciso di beneficiare di “quota 100”?
Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, ascoltato il 14 gennaio 2020 in un’audizione alla Camera, ha reso noto che al 31 dicembre 2019 le domande pervenute all’Istituto per “quota 100” erano 229 mila, «di cui circa 75 mila relative al settore pubblico e 154 mila del settore privato». Di queste, ne risultavano accolte e quindi già liquidate nel 2019, circa 150 mila.
Dai documenti relativi a un’altra audizione più recente del presidente Tridico, del 19 maggio, davanti alla Commissione lavoro del Senato, risulta poi che nel 2020, tra gennaio e maggio, sono state presentate altre 43 mila domande circa, con una progressiva diminuzione mese su mese (dalle quasi 14 mila di gennaio alle 5 mila scarse di maggio). Secondo i dati Inps più aggiornati (e ripresi da un rapporto del sindacato Cgil), al 3 giugno le domande inviate nel 2020 hanno raggiunto la soglia della 48 mila, per un totale di circa 277 mila dall’inizio della sperimentazione. Alla stessa data, risultavano oltre 202 mila accolte (il 73,2 per cento sul totale), circa 35 mila rifiutate (12,7 per cento) e 39 mila in attesa di risposta (14,1 per cento).
Il numero di adesioni al di sotto delle stime ha portato a risparmi significativi sull’iniziale stanziamento di risorse per “quota 100”. Già a dicembre 2019, un dossier dell’Ufficio parlamentare di bilancio (organismo indipendente che vigila sulla finanza pubblica) ha rivisto al ribasso i costi della misura attestandoli a 2,6 miliardi nel 2019 e 5,9 miliardi nel 2020, con un avanzo, rispettivamente, di 1,2 miliardi e 2 miliardi rispetto alle dotazioni del fondo apposito.
I posti di lavoro sbloccati
Uno degli obiettivi auspicati con l’introduzione di “quota 100” era quello di favorire il ricambio generazionale nel mercato del lavoro. Sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio, al tempo vicepresidenti del primo governo Conte, hanno affermato più volte che i pensionamenti di “quota 100” avrebbero creato un numero pari di nuovi posti di lavoro per i giovani, con un turn-over di uno a uno (un lavoratore in uscita e uno in entrata).
Ad oggi non esistono ancora dati solidi che quantifichino con certezza le conseguenze di “quota 100” sul mercato del lavoro. Al momento le stime sono però quasi tutte negative. Un report della Corte dei Conti, aggiornato al 30 aprile 2020, riassume gli studi presenti sul tema fino a quella data.
Secondo la Corte, «è molto probabile che i nuovi pensionati con “quota 100” siano sostituiti solo parzialmente con nuovi occupati». La stima dell’organo di controllo si ferma infatti a un tasso di sostituzione del 40 per cento circa. «Nelle nostre stime – scrive la Corte dei Conti – l’impatto sull’occupazione complessiva è di circa -0,2 punti percentuali».
Una valutazione poco ottimista era già arrivata a gennaio da un bollettino della Banca d’Italia, in cui si legge che nel periodo 2020-2022 «le maggiori fuoriuscite dal mercato del lavoro connesse con le nuove forme di pensionamento anticipato (“quota 100”)» sarebbero state «solo parzialmente compensate da assunzioni». Dunque anche in questo caso, siamo distanti dal tasso di sostituzione di uno a uno.
Anche, l’Osservatorio dei Consulenti del lavoro – il gruppo di studio della categoria – ha calcolato al 42 per cento il tasso di sostituzione nel terzo trimestre del 2019, quindi meno di un lavoratore su due.
Infine, la Corte dei Conti ha sottolineato che solo l’Inps, in un’audizione di gennaio scorso, ha sostenuto che “quota 100” abbia avuto un impatto «lievemente positivo» sul turn-over, «senza documentare tale risultato».
In conclusione
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha reso noto che l’attuale esecutivo non ha intenzione di rinnovare “quota 100”.
La misura è stata introdotta in via sperimentale per il triennio 2019-2021 dal primo governo Conte, sostenuto dalla maggioranza Lega e M5s. Non ha dunque mai sostituito la legge Fornero sulle pensioni, ancora oggi regolarmente in vigore dal 2010. Il canale di pensionamento anticipato per chi ha un’età anagrafica di 62 anni e almeno 38 anni di contributi non sarà abolito o cancellato dal governo Conte II: arriverà semplicemente alla sua scadenza naturale, nel 2021, e non sarà rinnovato, almeno in base a quanto detto da Conte stesso.
“Quota 100” ha avuto meno successo di quanto previsto sia da Matteo Salvini, che prometteva circa 500 mila nuovi pensionati, sia dalle stime ufficiali del Senato, che prospettavano comunque una platea potenziale di oltre 365 mila persone, 290 mila nel primo anno.
In totale, dall’introduzione del provvedimento a giugno 2020 l’Inps aveva ricevuto 277 mila domande per “quota 100”. Alla stessa data, ne risultavano accolte poco più di 202 mila. Rispetto allo stanziamento della legge di Bilancio per il 2019, il numero più basso di beneficiari ha portato nelle casse dello Stato un risparmio quantificato dall’Ufficio parlamentare di bilancio in almeno 3,2 miliardi.
Difficile invece sondare con esattezza l’effetto della misura sul mercato del lavoro. Ad oggi, studi della Corte dei Conti, di Banca d’Italia e dell’Osservatorio dei Consulenti del lavoro hanno stimato il tasso di sostituzione a meno di un lavoratore su due. Molto lontani quindi da quel tasso di sostituzione del cento per cento che aveva promesso Matteo Salvini durante la sua esperienza di governo.
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