I partiti pro nucleare non sono uniti nemmeno a parole

Dalla Lega ad Azione, gli schieramenti che chiedono un ritorno in Italia a questa fonte di energia hanno posizioni molto diverse tra loro
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Numeri alla mano, i partiti che sono favorevoli a un ritorno della produzione di energia nucleare in Italia hanno un’ampia maggioranza in Parlamento. Secondo i calcoli di Pagella Politica, oltre il 60 per cento dei deputati e dei senatori fa parte di uno schieramento favorevole in un qualche modo al nucleare. Ma analizzando le dichiarazioni fatte in questi mesi da vari esponenti di questi schieramenti, si scopre che i partiti pro nucleare non sono uniti nemmeno a parole. Le posizioni sul tema sono infatti parecchio diverse tra loro.

Partiamo dai partiti che sostengono il governo Meloni. Nel suo programma elettorale la Lega ha promesso di «ricostruire nel nostro Paese una filiera nucleare industriale nazionale, sia progettuale che realizzativa». Secondo il leader del partito Matteo Salvini, che mostra un certo ottimismo sul tema, se si iniziassero i lavori di costruzione nel 2024, la prima centrale nucleare in Italia potrebbe essere accesa già nel 2032. Il progetto della Lega per il ritorno del nucleare ha però molti punti da chiarire, a partire dai costi e dalle coperture. Tra le altre cose non è chiaro dove andrebbero costruite le nuove centrali secondo il partito di Salvini. In passato lo stesso ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha dichiarato che, se fosse per lui, la prima centrale nucleare potrebbe essere costruita a Milano, nel quartiere di Baggio. A livello locale, dal Piemonte alla Sardegna, passando dalla Basilicata, la Lega ha poi assunto posizioni contrarie alla realizzazione del deposito unico nazionale per i rifiuti nucleari (chiamati impropriamente “scorie nucleari”). 
Forza Italia è a favore del nucleare, ma non alla costruzione di nuove centrali nucleari nel Paese, come ha chiarito di recente il segretario del partito Antonio Tajani. «Non possiamo rinunciare, anzi dobbiamo continuare a esplorare il campo dell’energia nucleare», ha dichiarato Tajani in un’intervista con Il Sole 24 Ore. «L’obiettivo è di tenere l’Italia nel campo della ricerca e della sperimentazione», ma «non parliamo di nuove centrali nucleari ma di piccoli reattori modulari». Il riferimento è ai cosiddetti small modular reactors (SMRs), ossia piccoli reattori nucleari che possono generare meno energia rispetto ai tradizionali reattori delle centrali. Uno dei vantaggi di questa tipologia di reattori è che possono essere prodotti direttamente in fabbrica e assemblati dove serve. Come mostrano i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), stiamo parlando di una tecnologia ancora in una fase di sviluppo e non disponibile su larga scala.

Fratelli d’Italia ha invece una posizione meno definita sul nucleare. Questa forma di energia è menzionata una sola volta nel programma elettorale del 2022, nella frase: «Investire nella ricerca sul nucleare di ultima generazione». Non è chiaro però a che cosa faccia riferimento Fratelli d’Italia: negli ultimi giorni alcuni suoi esponenti sembrano volere la costruzione di nuove centrali, mentre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto dichiarazioni più caute. «Non sono certa che oggi, cominciando da capo, ricominciando da capo sul tema del nucleare, l’Italia non si troverebbe indietro ma, se ci sono evidenze del fatto che noi si possa invece avere un risultato positivo, sono sempre disposta a parlarne», ha dichiarato a Dubai la leader di Fratelli d’Italia durante la Cop28, la conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Uniti. «Credo piuttosto che la grande sfida italiana, anche se è un po’ più in là da venire, però senza visione non si va da nessuna parte, sia il tema della fusione nucleare. La fusione nucleare potrebbe essere la soluzione domani di tutti i problemi energetici, delle crisi che nascono dalle questioni energetiche». 

A differenza della fissione nucleare, la tecnologia attualmente usata nelle centrali in funzione nel mondo, la fusione nucleare ha l’obiettivo di produrre energia attraverso la fusione degli atomi, e non la loro divisione. Di fusione nucleare si parla da decenni e, secondo le stime più recenti, questa forma di tecnologia non sarà disponibile prima dei prossimi vent’anni.
Tra i partiti all’opposizione Azione è quello che più di tutti ha dato più spazio al ritorno della produzione di energia nucleare nella sua proposta politica. A marzo 2022 il partito guidato da Carlo Calenda ha presentato la sua «proposta sul nucleare», ossia costruire entro il 2050 otto centrali nucleari di terza generazione (la tecnologia della quarta generazione è ancora agli inizi), con tre o quattro reattori per centrale, sfruttando i siti italiani che in passato hanno già ospitato centrali. «L’unico nucleare di cui vale la pena parlare è quello attuale. Sicuro, pulito, sostenibile e finalmente inserito nella tassonomia verde europea», ha scritto su X Calenda. «Il resto è fuffa. Parlare di tecnologie inesistenti significa dire no al nucleare».

Anche Italia Viva, l’ex alleato di Azione, è favorevole al nucleare, ma su tempistiche più lunghe. Di recente il leader del partito Matteo Renzi ha ribadito che il «nucleare di nuova generazione è la fonte più pulita ma non facciamo i populisti: sarà il futuro, ma sarà pronto nel 2040. Fino ad allora che cosa faremo? La cosa da fare è sbloccare le rinnovabili , investire sul gas e avere la capacità di investire sulle nuove tecnologie». Non è chiaro a che cosa faccia riferimento Renzi quando parla di «nucleare di nuova generazione»: se alle centrali nucleari di quarta generazione, agli small modular reactors o alla fusione. Il rafforzamento della ricerca su quest’ultimi due è contenuto nel programma elettorale di Più Europa, presentato alle scorse elezioni politiche.

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