Aggiornamento 20 gennaio 2022, ore 9:45 – In seguito alle segnalazioni ricevute da alcuni lettori, precisiamo che un primo reattore nucleare definibile come di “quarta generazione” è stato collegato alla rete elettrica in Cina il 20 dicembre 2021. Secondo quanto riportato da Bloomberg, per la sua costruzione è stato necessario «quasi un decennio».

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Nel dibattito sul possibile ritorno dell’energia nucleare in Italia, da mesi alcuni politici stanno promuovendo una tecnologia in particolare, il cosiddetto “nucleare di quarta generazione”. Per esempio, il leader della Lega Matteo Salvini ha più volte ripetuto che questa forma di nucleare è più pulita e sicura delle precedenti e potrebbe garantire bollette dell’energia meno care. Di recente anche il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani ha dichiarato che bisogna riprendere «la ricerca sul nucleare di ultima generazione, che è sicuro e pulito».

Ma di che cosa parliamo quando parliamo di “nucleare di quarta generazione”? La questione è più complicata di come spesso viene presentata dalla politica italiana, soprattutto perché al momento questo “nucleare di quarta generazione” ancora non esiste.

Come è nato il “nucleare di quarta generazione”…

L’espressione “nucleare di quarta generazione” prende il nome dal Generation IV International Forum (Gif), un’iniziativa di cooperazione internazionale avviata nel 2001 dal Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti con l’obiettivo di «sviluppare le ricerche necessarie per testare la fattibilità e la performance di reattori nucleari di quarta generazione», rendendoli poi disponibili per l’uso industriale a partire almeno dal 2030.

Ricordiamo che il cosiddetto “nucleare di prima generazione” si è diffuso tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, seguito alla fine degli anni Settanta da quello di “seconda generazione” e poi, con l’inizio del nuovo secolo, da quello di “terza generazione”. Quest’ultimo rappresenta la tecnologia più innovativa attualmente disponibile, ma non è ancora molto diffuso nel mondo.

«Oggi quasi tutti i reattori in funzione sono ancora di seconda generazione», ha spiegato a Pagella Politica Marco Ricotti, docente di Impianti nucleari al Politecnico di Milano e presidente tra il 2016 e il 2019 di Sogin, la società pubblica responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi. «Quella di terza generazione sono pochi, li stanno costruendo ora».

Attualmente partecipano alle attività del Gif un gruppo di 13 Stati, tra cui la Francia, gli Stati Uniti e la Cina, ma non l’Italia. Dentro al gruppo c’è anche la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom), l’organizzazione internazionale che coordina la ricerca sul nucleare nell’Unione europea. Nel 2002 il Forum ha individuato sei tipi di impianti innovativi per la produzione di energia nucleare, sulla base di quattro criteri fondamentali: sostenibilità ambientale, sostenibilità economica, sicurezza e affidabilità, e resistenza alla proliferazione e protezione fisica (quindi elementi relativi al controllo del materiale nucleare e alla prevenzione di possibili usi bellici o terroristici).

I sei tipi di impianti innovativi così individuati consistono rispettivamente in tre reattori termici e tre reattori “veloci”, diversi tra loro per la quantità di energia prodotta, la velocità che i neutroni raggiungono durante la fissione, le temperature, i sistemi di raffreddamento e il ciclo del combustibile.

Come si legge sul sito del Gif, l’insieme di queste tecnologie attualmente in fase di studio, intorno alle quali il Forum ha organizzato attività di ricerca e sviluppo a livello internazionale, «sono state definite collettivamente Gen-IV». Da qui appunto è nato il nome di “nucleare di quarta generazione”.

… e perché ancora non esiste

Come abbiamo anticipato, il punto centrale da capire è che questa tipologia di nucleare, nei fatti, ancora non esiste. Si tratta di un insieme di soluzioni per la generazione di energia nucleare considerate dagli esperti come molto promettenti ma ancora in fase di studio. Secondo le stime più ottimistiche – dunque da prendere con cautela – queste soluzioni non saranno pronte per l’uso civile su larga scala prima dei prossimi dieci anni. Stiamo parlando dunque di un orizzonte temporale che va oltre il 2030.

Una volta entrati in funzione, è vero che questi nuovi reattori permetterebbero di produrre energia nucleare in modo sostenibile, economico e sicuro? «Mentre gli impianti attuali sono quasi tutti raffreddati ad acqua, i nuovi reattori saranno raffreddati con fluidi diversi come il piombo liquido, il sodio o i sali fusi», ha sottolineato Ricotti a Pagella Politica. «Oltre ad aumentare i livelli di sicurezza, questo dovrebbe consentire anche di bruciare i rifiuti radioattivi, riducendo la radiotossicità delle scorie, e aprire nuovi settori per il nucleare come la fornitura di calore a impianti industriali».

Uno dei principali temi di discussione legati all’energia nucleare sta nelle modalità di smaltimento delle scorie radioattive prodotte dalle centrali. In Italia la questione è particolarmente complessa: è dal 2010 infatti che si sarebbe dovuto costruire un unico Deposito nazionale per questo tipo di rifiuti, ma continui ritardi hanno posticipato i lavori e al momento non è ancora stato selezionato il sito più adatto per un’infrastruttura tanto delicata. In altri Paesi europei invece esistono da anni depositi simili.

In base ai piani del Generation IV international forum, il nucleare di quarta generazione dovrebbe produrre meno rifiuti pericolosi rispetto agli impianti attuali, con livelli inferiori di radioattività e tempi di decadimento più rapidi, «da 100 mila anni a 300 anni», secondo Ricotti. In ogni caso però, come si legge sul sito del Gif, sarà ancora necessario smaltire le scorie prodotte in appositi depositi «per assicurare la protezione ottimale delle persone e dell’ambiente».

L’alternativa: i “piccoli reattori nucleari”

Partecipando alla riunione del Consiglio europeo per i ministri di Trasporti, Telecomunicazioni ed Energia dello scorso 2 dicembre, il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani si è detto favorevole all’uso degli small modular reactors (Smrs), affermando: «Non mi riferisco al nucleare tradizionale», quindi a quello di prima, seconda o terza generazione, «ma credo che per il futuro dei nostri figli e nipoti i piccoli reattori nucleari non possono essere esclusi da un futuro energetico molto più avanzato, nel 2030».

Cingolani si riferiva a reattori con una potenza massima di 300 megawatt elettrici (MWe) – rispetto ai 700 e più di una centrale tradizionale – con tempi e costi di produzione e attivazione ridotti, che possono essere utilizzati singolarmente oppure accorpati in impianti nati dall’unione di più moduli. «Questo è in controtendenza con la linea storica di sviluppo del nucleare, che generalmente punta alla produzione di reattori sempre più grandi», ha spiegato Ricotti.

Gli small modular reactors «sono reattori più piccoli, più semplici, sicuri e facili da costruire»: le loro parti possono infatti essere prodotte in officina e poi trasportate e assemblate direttamente sul posto di installazione, semplificando e accelerando le operazioni.

Al momento l’Unione europea, gli Stati Uniti e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica stanno valutando la possibilità di utilizzare questi reattori, che però non sono stati ancora approvati. In Cina, Russia e Argentina quattro Smrs sono invece nelle ultime fasi di costruzione.

Anche in questo caso stiamo parlando di una tecnologia estremamente innovativa, ma non ancora disponibile per l’uso su larga scala anche se, come confermato da Ricotti, lo sviluppo di questi piccoli reattori è in fase più avanzata rispetto ai sei sistemi considerati come “di quarta generazione”. Molto probabilmente, imprevisti di realizzazione permettendo, questi reattori potranno essere disponibili in tempi più rapidi.

La questione della tassonomia europea

Di nucleare si è tornati a parlare anche in Europa, dopo la discussa decisione della Commissione europea di inserire, a inizio gennaio 2022, l’energia nucleare nell’elenco di fonti energetiche che possono facilitare la transizione verso un futuro più ecosostenibile. Questa decisione non è però ancora definitiva: il Consiglio dell’Ue e il Parlamento europeo hanno ora sei mesi di tempo per revisionare il documento ed eventualmente richiedere modifiche.

Questa tassonomia delle fonti energetiche più sostenibili è comunque importante perché serve da guida per «gli investimenti privati in attività necessarie per raggiungere una situazione di neutralità climatica entro i prossimi trent’anni». Le società private quindi saranno incoraggiate a investire sulle fonti energetiche incluse nella tassonomia europea.

Tra i Paesi favorevoli alla decisione della Commissione europea in tema di nucleare troviamo soprattutto la Francia – che ad oggi ricava il 70 per cento della sua energia da 56 reattori nucleari attivi sul territorio nazionale – mentre si sono detti contrari Spagna, Germania, Austria, Lussemburgo, Portogallo, Danimarca e anche la sezione europea di GreenPeace.

La posizione dell’Italia è invece rimasta incerta, con alcuni partiti politici dichiaratisi favorevoli al nucleare, come Lega e Forza Italia, e altri nettamente contrari come il Movimento 5 stelle e il Partito democratico, il cui segretario Enrico Letta ha dichiarato su Twitter: «Non ci piace la bozza di tassonomia verde che la Commissione Ue sta facendo circolare. L’inclusione del nucleare è per noi radicalmente sbagliata».

In ogni caso, secondo Ricotti il ritorno al nucleare in Italia non è un’opzione perseguibile nell’immediato «L’industria nucleare non si può accendere o spegnere a seconda del vento politico», ha spiegato l’ex presidente di Sogin. «Serve una decisione nazionale, un’impostazione condivisa», anche a livello europeo. In una conferenza stampa del 18 gennaio anche Matteo Salvini ha affermato (min. 2:50) che le soluzioni proposte dal nucleare di quarta generazione sono «a medio termine, si parla di dieci anni. Ma se mai cominci, mai arrivi».

La prossima frontiera

Dopo gli small modular reactors e il nucleare di quarta generazione sono già partiti gli studi per un ulteriore passo avanti in materia: i reattori a fusione, che secondo Ricotti saranno disponibili «dal 2040 in poi».

Oggi infatti l’energia nucleare viene ancora prodotta tramite la fissione. Il sito del Ministero per la Transizione ecologica spiega che durante questo processo nuclei pesanti, come quelli dell’uranio o del torio, vengono bombardati da neutroni e «si dividono in due frammenti, entrambi di carica positiva, che si respingono allontanandosi con elevata energia cinetica». Semplificando, il calore sviluppato da queste reazioni permette di far evaporare l’acqua, azionare una turbina e poi un alternatore e produrre così energia elettrica.

Sul sito del Ministero si legge inoltre che «la fissione di un grammo di uranio produce un quantitativo di energia pari a quella ottenibile dalla combustione di circa 2.800 kg di carbone senza la produzione di gas serra caratteristica dei combustibili fossili».

La fusione invece, come spiegato sempre dal Ministero, è «la reazione nucleare che avviene nel sole e nelle altre stelle, con produzione di una enorme quantità di energia». In questo caso «due nuclei di elementi leggeri, quali deuterio e trizio, a temperature e pressioni elevate, fondono formando nuclei di elementi più pesanti come l’elio con emissione di grandi quantità di energia».

Oggi il progetto principale nell’ambito della fusione nucleare è Iter, un’iniziativa di cooperazione internazionale con sede a Cadarache, in Francia, che punta a costruire «la macchina per la fusione più grande al mondo». Questo però non sarà ancora un vero e proprio reattore a fusione completamente funzionante: «Quando saremo in grado di far funzionare Iter il passo successivo sarà un altro reattore, Demo, che servirà per produrre il combustibile che serve alla fusione», ha affermato Ricotti. La strada quindi è ancora lunga.