L’unico fatto certo è nell’esito della vicenda: il 9 maggio l’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha ufficializzato la sua partecipazione alle primarie del Partito democratico a Roma, dalle quali dovrà emergere il candidato per la corsa al Campidoglio. «Mi metto a disposizione di Roma, con umiltà e orgoglio», ha scritto Gualtieri su Facebook, seguito nelle ore successive dall’approvazione dei notabili del partito, fra cui il segretario Enrico Letta.
Le 48 ore che hanno preceduto l’annuncio, però, raccontavano una storia diversa. Sabato 8 maggio sembrava ormai sicura un’altra candidatura, molto più “desiderata” da parte dei vertici Pd: quella del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. L’ex segretario avrebbe lasciato la guida della regione per proporsi come sindaco di Roma, sulla base di un accordo con il Movimento 5 stelle.
Vediamo meglio i dettagli.
I problemi legati alla candidatura di Zingaretti
Facciamo prima qualche passo indietro. Da mesi a Roma esponenti del Partito democratico di vario ordine e grado hanno ripetuto sottovoce che il miglior candidato alle amministrative per Roma non avrebbe potuto che essere il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, molto amato in città (per lo meno negli ambienti di centrosinistra).
L’ipotesi si è fatta più insistente negli ultimi due mesi, da quando alla segreteria del Pd Enrico Letta è subentrato allo stesso Zingaretti. A metà marzo, a 48 ore dall’insediamento di Letta, una fuga di notizie fra i notabili del Pd romano aveva dato la candidatura di Roberto Gualtieri per certa, mettendo il neo-segretario davanti al fatto compiuto. Letta aveva frenato e aveva messo in chiaro che nulla era ancora deciso. Fra i motivi c’era proprio la volontà di tentare, in tutti modi, di convincere Nicola Zingaretti a correre per il Campidoglio.
L’ex segretario ha però sempre rifiutato, in quelle settimane, principalmente per non abbandonare la regione nel mezzo della campagna vaccinale e per non compromettere i risultati, anche politici, raggiunti dalla sua amministrazione. Il 12 marzo, infatti, il Movimento 5 stelle è entrato nella giunta di Nicola Zingaretti – Roberta Lombardi è diventata assessora alla Transizione ecologica, Valentina Corrado al Turismo – dando per la prima volta concretezza, a livello locale, all’alleanza Pd-M5s anche dopo la crisi del governo Conte bis.
Il primo problema era dunque questo: convincere le due consigliere Cinquestelle a rimanere all’interno della giunta – e quindi a non farla cadere – anche nel caso in cui il presidente della regione si fosse candidato a sindaco di Roma, diventando, a quel punto, lo sfidante numero uno della sindaca uscente Virginia Raggi (M5s).
Un weekend di confusione (e poi chiarezza)
Fra sabato 8 e domenica 9 maggio, fra i dirigenti del Partito democratico locale veniva data ormai per cosa fatta un’intesa fra Pd e M5s laziale per candidare Nicola Zingaretti a Roma, senza mettere a rischio la tenuta della giunta regionale. L’interlocutore del segretario del Pd Enrico Letta e del suo intermediario, Francesco Boccia, responsabile dem agli Enti Locali, sarebbe stato proprio l’ex premier Giuseppe Conte, oggi leader, sempre in pectore e non ufficiale, del Movimento 5 stelle.
Secondo quanto ha raccontato Daniela Preziosi su Domani il 9 maggio, l’accordo si sarebbe basato su tre punti: le due assessore del Movimento 5 stelle, Roberta Lombardi e Valentina Corrado, non si sarebbero dimesse (mentre la seconda sembrava intenzionata a farlo) nel caso in cui Zingaretti fosse diventato il candidato dem per la corsa al Campidoglio (primo); i Cinquestelle avrebbero in ogni caso fatto la propria campagna elettorale per Virginia Raggi (secondo) e Zingaretti avrebbe dovuto fare una campagna prendendo principalmente di mira le destre e non la sindaca uscente (terzo). Quest’ultima condizione avrebbe permesso, se solo uno dei due fosse arrivato al ballottaggio, di raccogliere l’appoggio dell’altro.
L’accordo – o la notizia dell’accordo – non ha resistito nemmeno 24 ore. Secondo il retroscena di Fabio Martini su la Stampa, il contropiede della sindaca Virginia Raggi avrebbe mandato in fumo il «patto dei due segretari» (l’ex segretario del Pd Zingaretti e l’attuale, Letta). Sarebbe stata lei, raccontano i giornali, a convincere le diverse anime del Movimento 5 stelle – sempre più separate – a convergere comunque sul suo nome per il bis a Roma. E soprattutto, a convincere le due assessore M5s, Lombardi e Corrado, a dimettersi davanti all’eventuale candidatura di Zingaretti.
Le intenzioni delle due Cinquestelle sono state ufficializzate in una nota congiunta, il 9 maggio: «È innegabile il forte imbarazzo che una eventuale candidatura di Nicola Zingaretti per le Comunali di Roma porterebbe nella neonata alleanza regionale – hanno scritto Lombardo e Corrado – La situazione che si verrebbe a creare (uniti in Regione e avversari a Roma con Zingaretti come candidato e presidente) sfiorerebbe il paradosso». Nella conclusione le due esponenti M5s si auguravano infine che le scelte del Pd per Roma non contemplassero «soluzioni che avrebbero, inevitabilmente, ripercussioni sulla tenuta dell’attuale maggioranza regionale e su scenari di future alleanze nel Lazio».
Lo stesso giorno, a chiudere il cerchio, Giuseppe Conte ha reso esplicito il suo endorsement a Virginia Raggi con un comunicato sul sito de La Stampa: «Il Movimento 5 Stelle su Roma ha un ottimo candidato: si chiama Virginia Raggi, il sindaco uscente. Il Movimento l’appoggia in maniera compatta e convinta, a tutti i livelli», ha garantito l’ex premier.
«Dispiace che a Roma non si siano realizzate le condizioni per pianificare con il Pd una campagna elettorale in stretta sinergia – ha aggiunto Conte, augurandosi però qualsiasi decisione dei democratici «non metta in discussione il lavoro comune che da qualche mese è stato proficuamente avviato a livello di governo regionale». L’ex premier è arrivato a definire «la campagna elettorale che attende Roma» come « una sorta di primaria nel nostro campo [Pd-M5s, ndR] rispetto al campo del centrodestra». E infine, l’augurio di più difficile realizzazione senza un accordo chiaro: «Dobbiamo agire in modo intelligente e fare in modo che in caso di secondo turno il dialogo privilegiato del Movimento con il Pd possa dare i propri frutti». Tradotto: a Roma non è stato possibile correre insieme, ma il dialogo continua, e lo si può portare avanti senza inasprire troppo la campagna elettorale e cercare almeno di convergere sullo stesso candidato al secondo turno.
La speranza di Conte – e di chi come lui spinge per una prospettiva simile – non tiene conto della rivalità che da anni caratterizza il rapporto fra il centrosinistra e la sindaca Raggi nel governo della Capitale.
Dall’altra parte, saltata definitivamente la trattativa su Zingaretti, il Partito democratico è tornato a scommettere sul candidato lasciato in stand-by da qualche mese, l’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che, domenica 9 maggio, ha annunciato ufficialmente la propria partecipazione alle primarie del 20 giugno a Roma.
Nonostante la competizione elettorale per il candidato debba ancora svolgersi – e ci siano almeno altri due partecipanti, l’attivista e ricercatore Tobia Zevi e la senatrice dem Monica Cirinnà – il segretario del Partito democratico Enrico Letta ha già investito Roberto Gualtieri come candidato del Nazareno.
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