Dal 2001 si sono dimessi oltre 30 ministri

Più del 10 per cento dei membri dei governi che si sono succeduti negli ultimi 22 anni ha deciso di lasciare il proprio incarico prima della scadenza
Ansa
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Da una settimana la ministra del Turismo Daniela Santanchè è al centro delle critiche dei partiti all’opposizione che ne chiedono le dimissioni. Il 19 giugno la trasmissione televisiva di Rai 3 Report ha rivelato condotte che sarebbero state ai limiti della legalità nei confronti di fornitori e dipendenti di alcune aziende legate a Santanchè. La ministra ha detto che spiegherà le sue ragioni in Parlamento e che non ha intenzione di dimettersi. In base alle verifiche di Pagella Politica, dal 2001 a oggi 32 ministri hanno fatto una scelta diversa, dimettendosi sulla base di varie motivazioni. Stiamo parlando di quasi il 12 per cento dei ministri, su un totale di 278. In media, che sia per uno scandalo giudiziario, per vicende politiche o scelte personali, ogni due anni hanno lasciato il loro incarico più di tre ministri.

Le dimissioni di un ministro non sono comunque una costante di tutti e 12 i governi che si sono succeduti in Italia negli ultimi 22 anni. Alcuni governi non hanno registrato nessuna defezione e sono giunti al termine del loro mandato con la stessa squadra di ministri di quando sono entrati in carica. Altri invece hanno visto la loro composizione cambiare diverse volte, sia per questioni politiche sia per inchieste giudiziarie.

Il record di Berlusconi

Negli ultimi 22 anni il governo che ha registrato più ministri dimissionari è stato il secondo governo guidato da Silvio Berlusconi (2001-2006) con otto ministri dimissionari. Al secondo posto c’è il quarto e ultimo governo Berlusconi (2008-2011) con sei ministri dimissionari. A seguire c’è il governo Renzi, con quattro ministri che hanno lasciato l’incarico, mentre gli unici esecutivi che non hanno registrato ministri dimissionari sono stati il governo Draghi (2021-2022) e al momento quello guidato da Giorgia Meloni, in carica dal 22 ottobre 2022. 
Il primato del secondo governo Berlusconi è dovuto anche alla sua durata: con 1.412 giorni in carica è il governo più longevo della storia repubblicana. I cambi ai vertici dei ministeri sono stati causati comunque da vari motivi. Per esempio a luglio del 2002 l’allora ministro dell’Interno Claudio Scajola si è dimesso in seguito alle polemiche nate da alcune sue dichiarazioni riguardo il giurista Marco Biagi, ucciso a marzo di quell’anno dalle Nuove Brigate Rosse, e definito da Scajola «un rompicoglioni». 
Immagine 1. La prima pagina de La Stampa di lunedì 1° luglio 2002 sulle dimissioni dell’ex ministro Scajola – Fonte: Archivio storico La Stampa
Immagine 1. La prima pagina de La Stampa di lunedì 1° luglio 2002 sulle dimissioni dell’ex ministro Scajola – Fonte: Archivio storico La Stampa
Dopo un rimpasto della maggioranza che lo sosteneva, ad aprile 2005 il secondo governo Berlusconi è stato sostituito da un nuovo esecutivo, guidato dallo stesso leader di Forza Italia. Al Ministero dell’Economia era stato confermato l’economista Domenico Siniscalco, che però si dimise dopo quattro mesi per divergenze con la maggioranza. In quello stesso governo ci sono stati altri due casi di dimissioni di ministri che all’epoca fecero discutere. La prima è stata quella di Roberto Calderoli, cui il governo e l’intero Parlamento intimarono di dimettersi a febbraio 2006, dopo che la sua iniziativa di mostrarsi in televisione con una maglietta raffigurante delle vignette satiriche contro Maometto causò violente proteste vicino al consolato italiano a Bengasi, in Libia. Durante le proteste la polizia libica sparò a 11 manifestanti, uccidendoli.
Immagine 2. La prima pagina del Corriere della Sera di sabato 18 febbraio 2006 sulla richiesta di dimissioni del ministro Calderoli – Fonte: Archivio storico Corriere della Sera
Immagine 2. La prima pagina del Corriere della Sera di sabato 18 febbraio 2006 sulla richiesta di dimissioni del ministro Calderoli – Fonte: Archivio storico Corriere della Sera
Il terzo ministro a dimettersi nel terzo governo Berlusconi è stato Francesco Storace, all’epoca ministro della Salute. Storace ha rassegnato le dimissioni da ministro a marzo 2006 per il suo coinvolgimento nell’inchiesta del cosiddetto “Laziogate” della procura di Roma. L’allora esponente de “La Destra” era stato indagato per il reato di associazione a delinquere insieme ad alcuni suoi ex collaboratori, perché accusato di aver spiato a livello informatico alcuni avversari politici mentre era presidente del Consiglio regionale della Regione Lazio. Dopo una condanna in primo grado, l’ex ministro è stato assolto in appello nel 2012. 

A gennaio 2008, durante il secondo governo Prodi, l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella ha lasciato l’incarico perché accusato di concorso esterno in associazione a delinquere dalla procura di Santa Maria Capua Vetere. Le dimissioni di Mastella hanno provocato l’uscita dalla maggioranza del suo partito, l’Udeur, e hanno avuto un ruolo significativo nella caduta del governo sostenuto da una coalizione di centrosinistra. Nel 2017, nove anni dopo l’inizio delle indagini, Mastella è stato assolto dalle accuse.

Più di recente, il 31 marzo 2016 l’allora ministra dello Sviluppo economico del governo Renzi Federica Guida si è dimessa, pur non essendo indagata, per il coinvolgimento in un’inchiesta sul traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti legati all’Eni, in provincia di Potenza. Il caso delle dimissioni di Guidi ha fatto molto discutere proprio perché all’epoca la ministra non risultava indagata.

Le ultime ministre a dimettersi in ordine di tempo sono state, nel secondo governo Conte, la ministra delle Pari opportunità Elena Bonetti e la ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova. Entrambe di Italia Viva, hanno lasciato l’incarico a gennaio 2021 in seguito alla scelta del loro partito di ritirare l’appoggio al governo guidato dall’attuale presidente del Movimento 5 Stelle. In quello stesso governo il primo a dimettersi era stato il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, che a dicembre 2019 ha lasciato sia il ministero sia il Movimento 5 Stelle perché a suo avviso il governo non aveva stanziato fondi sufficienti per l’università e la ricerca.

Come si fa a dimettere un ministro

Se per un ministro è piuttosto facile dimettersi di sua spontanea volontà, il discorso cambia se le sue dimissioni sono richieste dal Parlamento. Oltre che per scelta personale, infatti, un ministro può dimettersi in seguito a una richiesta del suo governo o a una mozione di sfiducia. La mozione di sfiducia è un atto previsto dalla Costituzione con cui il Parlamento, o una parte di esso, manifesta il venire meno del rapporto di fiducia con il governo o con un suo singolo esponente. Detto più semplicemente, la mozione di sfiducia è l’atto con cui i parlamentari chiedono al governo, a un ministro o a un sottosegretario di dimettersi.

In base ai regolamenti della Camera e del Senato, le mozioni di sfiducia devono essere motivate e sottoscritte da almeno un decimo dei componenti dell’aula, ossia da 40 deputati e da 21 senatori. Inoltre non possono essere discusse prima di tre giorni dalla presentazione e sono votate per appello nominale. Se la maggioranza assoluta dell’aula (il 50 per cento più uno dei suoi membri) esprime voto favorevole, la mozione è approvata e il suo destinatario deve dimettersi, come confermato anche da una sentenza della Corte costituzionale del 1996.

Dal momento che i ministri di un governo sono espressione della maggioranza parlamentare, è difficile che il Parlamento voti a favore della sfiducia. In altre parole, una parte della maggioranza dovrebbe votare a favore della mozione di sfiducia insieme ai partiti dell’opposizione. Tra le varie mozioni di sfiducia nei confronti di ministri votate dal 1984 a oggi, solo una è stata approvata e ha portato alle dimissioni di un ministro. Nel 1995 il Senato sfiduciò con 173 voti favorevoli l’allora ministro della Giustizia Filippo Mancuso, esponente del governo guidato da Lamberto Dini.

La vicenda Santanchè

Tornando al caso Santanchè, l’inchiesta di Report si è concentrata sulla gestione di due aziende di proprietà della ministra, l’azienda di alimentare biologico Ki Group e la concessionaria di pubblicità Visibilia. In queste due aziende si sarebbero registrati comportamenti poco trasparenti nei confronti del fisco e scorretti nei confronti dei dipendenti, come trattamenti di fine rapporto (Tfr) non pagati a chi è stato licenziato e lavoratori messi in cassa integrazione “a zero ore” a loro insaputa, facendoli comunque lavorare. Quest’ultimo caso, se confermato, potrebbe essere considerato un illecito e Santanchè potrebbe essere accusata di truffa ai danni dello Stato.

Pochi giorni dopo la messa in onda della trasmissione, i partiti di opposizione hanno iniziato a chiedere le dimissioni della ministra: la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha chiesto «chiarezza e dimissioni», mentre Alleanza Verdi-Sinistra ha lanciato una petizione online chiedendo le dimissioni di Santanchè. Al momento la petizione ha raggiunto intorno alle 30 mila firme. Da parte sua la ministra non sembra essere intenzionata a lasciare l’incarico, definendosi «tranquilla e rilassata» e annunciando che potrebbe riferire in Parlamento sul tema in settimana, con tutta probabilità giovedì 29 giugno.

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