Far dimettere il ministro Piantedosi è davvero molto difficile

I partiti dell’opposizione potrebbero presentare una mozione di sfiducia, che però dovrebbe essere votata anche da una parte della coalizione di centrodestra, uno scenario al momento improbabile
ANSA
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Il 1° marzo la nuova segretaria del Partito democratico Elly Schlein ha chiesto le dimissioni di Matteo Piantedosi dopo le dichiarazioni del ministro dell’Interno sul naufragio di un’imbarcazione al largo di Crotone, in Calabria, dove sono morti oltre 60 migranti. Tra le altre cose Piantedosi è stato criticato per aver affermato, riferendosi ai migranti vittime del naufragio, che «la disperazione non può mai giustificare viaggi che mettono in pericolo i propri figli».  

«Già solo le dichiarazioni suggeriscono le sue dimissioni e una riflessione molto profonda per Giorgia Meloni», ha dichiarato (min. 3:55) Schlein in un intervento in Commissione Affari costituzionali della Camera. Una posizione simile è stata espressa da altri esponenti dell’opposizione, come il leader di Azione Carlo Calenda, il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni e la fondatrice di Più Europa Emma Bonino.

Al netto delle valutazioni politiche su quanto accaduto, le dimissioni di Piantedosi possono avvenire solo in seguito a una sua decisione personale, a una richiesta del suo governo o a una mozione di sfiducia, che secondo alcuni commentatori i partiti di opposizione potrebbero proporre nei prossimi giorni. 

La mozione di sfiducia è un atto previsto dalla Costituzione con cui il Parlamento, o una parte di esso, manifesta il venire meno del rapporto fiducia con il governo o con un suo singolo esponente. Detto più semplicemente, la mozione di sfiducia è l’atto con cui i parlamentari chiedono al governo, a un ministro o a un sottosegretario di dimettersi.

In base ai regolamenti della Camera e del Senato, le mozioni di sfiducia devono essere motivate e sottoscritte da almeno un decimo dei componenti dell’aula, ossia da 40 deputati e da 21 senatori. Inoltre non possono essere discusse prima di tre giorni dalla presentazione e sono votate per appello nominale. Se la maggioranza assoluta dell’aula (il 50 per cento più uno dei suoi membri) esprime voto favorevole, la mozione è approvata e il suo destinatario deve dimettersi, come confermato anche da una sentenza della Corte costituzionale del 1996.

Il caso Piantedosi

Nei prossimi giorni i partiti dell’opposizione decideranno se presentare o meno una o più mozioni di sfiducia contro il ministro Piantedosi. Da un punto di vista numerico i partiti di opposizione da soli non hanno i voti sufficienti per far approvare una mozione di sfiducia contro Piantedosi. Alla Camera i gruppi all’opposizione del governo Meloni sono il Partito democratico, il Movimento 5 stelle, il gruppo di Azione-Italia viva, Alleanza Verdi-sinistra e Più Europa. Al momento questi possono contare complessivamente sui voti di 156 deputati (la maggioranza assoluta è fissata a 201 deputati). Lo stesso discorso vale al Senato, dove possono contare sui voti di 79 senatori (la maggioranza assoluta è fissata a 104 voti), compresi i quattro senatori di Alleanza Verdi-sinistra che fanno parte del gruppo Misto. Per essere approvata, una mozione di sfiducia contro Piantedosi dovrebbe dunque essere sostenuta anche da una parte della maggioranza che sostiene il governo Meloni. 

Questo scenario sembra alquanto improbabile, ma non si possono escludere evoluzioni. Secondo alcuni commentatori Fratelli d’Italia potrebbe attribuire la responsabilità del naufragio a Piantedosi, un tecnico la cui nomina è stata suggerita dalla Lega, e allo stesso segretario del partito Matteo Salvini, attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Quest’ultimo ha la responsabilità sulla Guardia costiera italiana, uno degli organismi che si occupa dei soccorsi dei migranti in mare. La doppia responsabilità del partito di Salvini potrebbe indurre la maggioranza ad accordarsi per sostituire Piantedosi.

Che cosa è successo in passato

Una delle prime mozioni di sfiducia nei confronti di un ministro risale al 1984 e il destinatario fu l’allora ministro degli Esteri Giulio Andreotti, esponente del primo governo guidato da Bettino Craxi, le cui dimissioni furono chieste da tre mozioni, presentate rispettivamente dal Partito comunista italiano (Pci), dagli indipendenti di sinistra e dal Movimento sociale italiano (Msi). Tutte e tre le mozioni furono però respinte dalla maggioranza del Senato.

Tra le varie mozioni di sfiducia nei confronti di ministri votate dal 1984 a oggi (l’osservatorio Openpolis ne ha contate 24 fino al 2019), solo una è stata approvata e ha portato alle dimissioni di un ministro. Nel 1995 il Senato sfiduciò con 173 voti favorevoli l’allora ministro della Giustizia Filippo Mancuso, esponente del governo guidato da Lamberto Dini.
Immagine 1. La prima pagina del quotidiano La Stampa del 19 ottobre 1995 sulle sfiducia al ministro Mancuso – Fonte: archivio storico La Stampa
Immagine 1. La prima pagina del quotidiano La Stampa del 19 ottobre 1995 sulle sfiducia al ministro Mancuso – Fonte: archivio storico La Stampa
Dal momento che i ministri di un governo sono espressione della maggioranza parlamentare, è difficile che il Parlamento voti a favore della sfiducia. In altre parole, una parte della maggioranza dovrebbe votare a favore della mozione di sfiducia insieme ai partiti dell’opposizione. Lo stesso discorso vale per le mozioni di sfiducia contro il governo: nella storia dell’Italia repubblicana nessun governo è caduto a causa di una votazione di sfiducia. In passato solo due governi, entrambi guidati da Romano Prodi e a distanza di 10 anni, sono caduti in seguito a un voto del Parlamento. In entrambi i casi, però, non si è trattato di una mozione di sfiducia, ma di un voto di fiducia chiesto dal governo stesso. 

Negli anni la mozione di sfiducia è diventata comunque uno strumento politico con cui l’opposizione, o una parte di essa, esprime il suo dissenso nei confronti di un membro del governo. Nella scorsa legislatura, tra marzo 2018 e settembre 2022, le mozioni di sfiducia discusse e poi votate sono state sette, due nei confronti dell’ex ministro dei Trasporti Danilo Toninelli (Movimento 5 stelle), due contro l’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (Movimento 5 stelle) e tre per l’ex ministro della Salute Roberto Speranza (Articolo uno). Tutte e sette le mozioni sono state respinte dal Parlamento.

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