È vero che la povertà non sta crescendo, come dice Meloni?

La presidente del Consiglio accusa i partiti all’opposizione di fare dichiarazioni fuorvianti. Vediamo se ha ragione oppure no
ANSA
ANSA
Il 4 luglio, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è intervenuta in collegamento video al “Forum in Masseria”, una serie di incontri organizzata dal giornalista e conduttore della RAI Bruno Vespa.

Durante l’intervista, Vespa ha evidenziato i risultati positivi ottenuti dall’Italia sul fronte occupazionale, aggiungendo che, secondo i partiti di opposizione, i poveri restano ancora «troppi». Nella sua risposta, Meloni ha accusato l’opposizione di usare «in maniera strumentale e fuorviante» i dati sulla povertà riportati nelle note dell’ISTAT. «Quelle note evidenziano in realtà una situazione in termini assoluti sostanzialmente invariata, non un peggioramento come invece si racconta», ha dichiarato la presidente del Consiglio, facendo riferimento al periodo sotto il suo governo.

È davvero così? I numeri danno ragione o torto a Meloni? Abbiamo verificato.

La povertà assoluta

La povertà è un fenomeno complesso, che l’ISTAT monitora attraverso diversi indicatori. Uno dei più citati è quello sulla povertà assoluta.

Si trovano in questa condizione le famiglie che non dispongono delle risorse economiche minime per acquistare un insieme di beni e servizi considerati essenziali. Questo indicatore, però, si basa sulla spesa per consumi delle famiglie, non sul reddito.

Il valore dei beni e servizi essenziali varia in base alla composizione del nucleo familiare, alla regione e al tipo di comune in cui si vive. In altre parole, non esiste una soglia unica di povertà assoluta valida per tutti, ma tante soglie diverse, costruite per riflettere i bisogni minimi e i costi nei diversi contesti del Paese. Per esempio, nel 2023 la soglia di povertà assoluta per un adulto che viveva da solo a Torino era pari a quasi 932 euro di spesa mensile, mentre a Palermo era poco superiore a 757 euro (qui è consultabile lo strumento di ISTAT per calcolare le soglie della povertà assoluta).

Vediamo adesso ai dati più aggiornati sulla povertà assoluta, che sono stati pubblicati a ottobre 2024 e sono relativi al 2023, il primo anno intero del governo Meloni. A marzo dello scorso anno erano state pubblicate le stime preliminari sulla povertà nell’anno precedente, ma quest’anno ISTAT ha confermato che non usciranno stime preliminari sul 2024. I dati definitivi sono attesi per il prossimo 7 ottobre.  

Nel 2023 vivevano in povertà assoluta quasi 5,7 milioni di persone e poco più di 2,2 milioni di famiglie. ISTAT ha definito questi due valori «sostanzialmente» stabili rispetto all’anno precedente nel rapporto pubblicato a ottobre. Più nel dettaglio, l’istituto ha stimato che nel 2023 le persone in povertà assoluta fossero 5 milioni e 694 mila, ventimila in più rispetto al 2022. Anche le famiglie in povertà assoluta sono aumentate leggermente: erano 2 milioni e 217 mila, trentamila in più rispetto all’anno precedente. 

Come mostra il grafico, dal 2014 – primo anno per cui sono disponibili i dati annuali confrontabili – non ci sono mai state così tante persone e famiglie in povertà assoluta in Italia.
Nel 2023, l’8,4 per cento delle famiglie in Italia viveva in povertà assoluta (rispetto all’8,3 per cento del 2022), così come il 9,7 per cento delle persone, una quota identica a quella dell’anno prima.

Nel suo report, ISTAT ha sottolineato che, nonostante i segnali positivi sul mercato del lavoro, «l’impatto dell’inflazione ha contrastato la possibile riduzione dell’incidenza di famiglie e individui in povertà assoluta». Questo perché l’aumento dei prezzi ha reso più costosi i beni e i servizi essenziali inclusi nella misura della povertà assoluta. Di conseguenza, anche se una famiglia ha mantenuto lo stesso livello di consumi dell’anno precedente, potrebbe essere finita sotto la soglia di povertà perché, con gli stessi soldi, è riuscita a comprare meno cose indispensabili.

La povertà relativa

Per monitorare la povertà, l’ISTAT calcola anche un secondo indicatore: quello della povertà relativa.

A differenza della povertà assoluta, che misura l’incapacità di soddisfare bisogni essenziali, la povertà relativa fotografa le disuguaglianze nei consumi rispetto alla media della popolazione. Una famiglia è considerata in povertà relativa se la sua spesa mensile per consumi è pari o inferiore a quella media nazionale. Non si tratta quindi di una soglia fissa basata su standard minimi, ma di un confronto con il tenore di vita medio del Paese. La soglia cambia ogni anno perché dipende da quanto spendono in media le famiglie italiane, e viene adattata in base alla dimensione del nucleo familiare. Per esempio, nel 2023 la soglia di povertà relativa per una famiglia di due persone era pari a circa 1.211 euro mensili.

Secondo l’ISTAT, nel 2023 le famiglie in povertà relativa erano 2 milioni e 806 mila, 135 mila in più rispetto al 2022. L’incidenza della povertà relativa tra le famiglie è passata dal 10,1 per cento al 10,6 per cento, nonostante il report parli di una situazione «stabile». Le persone in povertà relativa erano invece 8 milioni e 477 mila, con un aumento di 275 mila unità rispetto all’anno precedente. In questo caso l’incidenza è cresciuta dal 14 al 14,5 per cento, e infatti ISTAT nel suo rapporto parla esplicitamente di una «crescita».
A differenza della povertà assoluta, i dati sulla povertà relativa non sono i più alti dal 2014. Va ricordato che le metodologie per calcolare questi due indicatori sono diverse: quando aumenta la povertà assoluta, non necessariamente aumenta la povertà relativa. Per questo, «ogni analisi e confronto tra le due statistiche rischia di rivelarsi inconsistente», ha scritto ISTAT in passato. Basta vedere come nel grafico sulla povertà assoluta, questa sia aumentata molto nel 2020, a causa della pandemia di COVID-19. Nel grafico sulla povertà relativa, invece, in quell’anno c’è stato un calo, a causa della forte contrazione dei consumi. 

Il rischio di povertà o di esclusione sociale

Per misurare il disagio economico delle famiglie e dei cittadini, l’ISTAT utilizza anche un terzo indicatore: il rischio di povertà o esclusione sociale. Rientra in questa categoria chi si trova in almeno una delle seguenti tre condizioni: vive in famiglie a rischio di povertà; in famiglie in grave deprivazione materiale e sociale; oppure in famiglie a bassa intensità lavorativa.

È “a rischio di povertà” chi vive in famiglie con un reddito netto equivalente inferiore al 60 per cento della mediana della distribuzione del reddito in Italia. In parole semplici, significa che il reddito disponibile della famiglia è almeno un 40 per cento più basso rispetto a quello di una famiglia “tipica” (la mediana), e quindi insufficiente a garantire uno stile di vita simile alla maggioranza.

È invece in “grave deprivazione materiale e sociale” chi non può permettersi almeno sette dei 13 beni o attività considerati basilari, come fare una vacanza una volta l’anno, pagare le bollette o avere due paia di scarpe in buone condizioni.

Infine, si parla di “bassa intensità lavorativa” quando gli adulti in una famiglia (tra i 18 e i 64 anni) hanno lavorato per meno di un quinto dei mesi in cui avrebbero potuto farlo. Dal calcolo sono esclusi gli studenti under 25 e i pensionati.

I dati ISTAT su questa misura sono più recenti rispetto a quelli sulla povertà assoluta e relativa, e fanno riferimento al 2024. Secondo quanto riportato in un rapporto pubblicato a marzo, «i dati sulle condizioni di vita nel 2024 mostrano un quadro sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente». Ma subito dopo l’ISTAT ha precisato che le persone a rischio di povertà o esclusione sociale erano 13 milioni e 525 mila, oltre 130 mila in più rispetto al 2023. Nel 2022 erano ancora di più: 14 milioni e 304 mila. L’incidenza di questa condizione è passata tra il 2023 e il 2024 dal 22,8 al 23,1 per cento.
L’andamento dei numeri in valore assoluto è stato diverso nelle tre condizioni che caratterizzano il rischio di povertà o esclusione sociale. Tra il 2023 e il 2024, infatti, è leggermente diminuito il numero di persone a rischio povertà, di circa 28 mila unità, così come il numero di persone in condizione di grave deprivazione materiale e sociale, di circa 78 mila unità. Il numero delle persone che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa è invece aumentato di oltre 80 mila unità.

Tiriamo le somme

L’ISTAT misura la povertà in Italia attraverso più indicatori: povertà assoluta, povertà relativa e rischio di povertà o esclusione sociale.

Nei suoi rapporti più recenti, l’istituto parla di una situazione «sostanzialmente» stabile per quanto riguarda la povertà assoluta e quella relativa. Ma i dati mostrano che tra il 2022 e il 2023 – periodo che copre il primo anno intero del governo Meloni – in realtà qualche aumento in valori assoluti c’è stato, e anche nell’incidenza. È leggermente cresciuto anche il numero di persone che vivono a rischio di povertà o esclusione sociale, ma con alcune differenze tra gli indicatori conteggiati. In valore assoluto, infatti, tra il 2023 e il 2024 il numero di persone a rischio povertà è leggermente calato.

INFORMATI AL MEGLIO, OGNI GIORNO

Con la membership di Pagella Politica ricevi:
• la newsletter quotidiana con le notizie più importanti sulla politica;
• le guide sui temi del momento (la prossima è sul decreto “Sicurezza”);
• l’accesso agli articoli esclusivi e all’archivio;
• un canale diretto di comunicazione con la redazione.
PROVA GRATIS PER UN MESE
In questo articolo
Newsletter

Politica di un certo genere

Ogni martedì
In questa newsletter proviamo a capire perché le questioni di genere sono anche una questione politica. Qui un esempio.

Ultimi articoli