La decisione di liberare Abedini è stata legittima?

Facciamo chiarezza su che cosa dicono le norme italiane e quelle internazionali sul caso dell’ingegnere iraniano arrestato nel nostro Paese
Mohammad Abedini Najafabadi, nella sua foto profilo pubblicata su LinkedIn.
Mohammad Abedini Najafabadi, nella sua foto profilo pubblicata su LinkedIn.
Il 12 gennaio il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha chiesto la revoca dell’arresto dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, che lo stesso giorno è tornato a Teheran, secondo quanto riportato dall’agenzia stampa iraniana IRNA. Il 16 dicembre Abedini era stato arrestato all’aeroporto di Malpensa, su mandato degli Stati Uniti, tre giorni prima che la giornalista italiana Cecilia Sala fosse arrestata in Iran. 

Nelle scorse settimane si è parlato molto di un presunto collegamento tra i due arresti e dell’ipotesi che la liberazione di Sala, avvenuta l’8 gennaio, sia stata ottenuta in cambio di quella di Abedini. Sia il ministro degli Esteri Antonio Tajani sia una portavoce del governo iraniano hanno smentito un collegamento tra i due casi, sebbene varie ricostruzioni giornalistiche lo abbiano confermato, spiegando che gli Stati Uniti avrebbero dato il loro benestare.

Al di là del fatto che lo scambio sia avvenuto o meno, la liberazione dell’ingegnere iraniano decisa dal governo Meloni è legittima da un punto di vista giuridico? Che cosa dicono il diritto nazionale e il diritto internazionale su questa vicenda? Facciamo chiarezza.

Le accuse contro Abedini

Il sistema penale degli Stati Uniti prevede una serie di fasi procedurali per perseguire un individuo sospettato di aver commesso un reato. Nel caso di Abedini, l’ingegnere iraniano è accusato di reati federali legati alla sicurezza nazionale.

La prima fase del procedimento ha inizio con la presentazione di un criminal complaint, un’espressione traducibile in italiano con “denuncia penale”. Questo è un atto redatto da un agente delle forze dell’ordine – un agente del Federal Bureau of Investigation (FBI), nel caso di Abedini – ed elenca le accuse preliminari e i fatti che giustificano la richiesta di arresto di una persona indagata. Nel caso di Abedini, la criminal complaint, scritta all’inizio dello scorso dicembre, accusava lui e il suo connazionale (naturalizzato statunitense) Mahdi Mohammad Sadegh di aver cospirato per la violazione dell’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA). Questa legge, approvata nel 1977, consente al Presidente degli Stati Uniti di regolare il commercio e di congelare beni per affrontare minacce straordinarie alla sicurezza nazionale, politica estera o economia del Paese. 

Le accuse contro Abedini e Sadeghi riguardano il trasferimento illecito di tecnologie e di componenti elettronici dagli Stati Uniti all’Iran, in violazione delle sanzioni internazionali. Nello specifico, attraverso la società svizzera Illumove da lui co-fondata, Abedini è accusato di aver facilitato l’acquisto e la spedizione di componenti usati nei sistemi di navigazione di droni e missili dal Corpo delle guardie della rivoluzione islamica. Quest’ultimo, i cui membri sono anche noti con il nome Pasdaran, è il gruppo paramilitare a servizio della guida religiosa suprema dell’Iran istituito dopo la rivoluzione del 1979, ed è considerato dagli Stati Uniti un’organizzazione terroristica. I Pasdaran sono accusati dagli Stati Uniti di aver attaccato il 29 gennaio 2024 con un drone una base statunitense in Giordania, uccidendo tre soldati statunitensi, un’accusa respinta dall’Iran. Secondo le accuse, il drone in questione sarebbe stato dotato di una tecnologia fornita dallo stesso Abedini. 

Sadeghi, invece, è un ingegnere statunitense di origine iraniana, residente in Massachusetts, dove ha lavorato per un’azienda di semiconduttori. Anche lui è stato arrestato, ma negli Stati Uniti, con l’accusa di aver usato la sua posizione lavorativa per procurare componenti elettronici sensibili e trasferirli illegalmente alle autorità iraniane, attraverso Abedini.

Nel criminal complaint contro Abedini, l’FBI ha presentato alcune prove che dimostrerebbero un collegamento tra gli indagati e le attività illecite di rilevanza internazionale: scambi di email tra Abedini e Sadeghi in cui si pianificava il traffico di componenti elettronici sensibili, e i movimenti finanziari sospetti tra la società svizzera Illumove e i fornitori statunitensi di tecnologia avanzata. Secondo l’accusa, è stata decisiva l’analisi del drone impiegato nell’attacco in Giordania: il sistema di navigazione del velivolo risultava progettato dalla SDRA, un’azienda iraniana co-fondata da Abedini. Questi elementi confermerebbero il ruolo centrale degli imputati nel rifornire i Pasdaran di tecnologia militare.

Sulla base di questa denuncia, il 13 dicembre il giudice di un tribunale del Massachusetts ha emesso un mandato di arresto, che ha autorizzato le forze dell’ordine statunitensi a procedere con l’arresto immediato sia di Sadeghi sia di Abedini. Per assicurare la cattura degli indagati se si fossero trovati al di fuori del territorio statunitense, le autorità hanno richiesto l’emissione di una Red Notice attraverso l’Organizzazione internazionale della polizia criminale, meglio nota con il nome di INTERPOL. La Red Notice non costituisce un vero e proprio mandato di arresto internazionale, ma è una richiesta di localizzazione e di arresto provvisorio di una persona, in attesa della sua estradizione.

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L’arresto in Italia

L’arresto di Abedini da parte della polizia di frontiera italiana è avvenuto il 16 dicembre, all’aeroporto di Malpensa, mentre era di passaggio nel nostro Paese. Nonostante l’ingegnere iraniano non avesse commesso alcun reato in Italia, le autorità italiane erano legalmente obbligate a procedere all’arresto.

L’arresto provvisorio, infatti, è regolato dall’articolo 716 del codice di procedura penale italiano. Questa norma consente alla polizia giudiziaria di procedere all’arresto nei casi di urgenza, purché siano soddisfatte le condizioni previste dall’articolo 715 dello stesso codice di procedura penale. Devono esserci: un provvedimento restrittivo della libertà personale emesso dallo Stato estero (in questo caso, il mandato di arresto del giudice statunitense); una descrizione dei fatti contestati; la qualifica giuridica del reato e delle pene previste, inviata dallo Stato estero (tutti elementi presenti nel complaint dell’FBI); e il pericolo di fuga dell’indagato.

Nel caso di Abedini, la Red Notice emessa dall’INTERPOL, su richiesta delle autorità statunitensi, integrava la richiesta di arresto provvisorio avanzata per estradare l’ingegnere iraniano negli Stati Uniti. Come ha chiarito in passato la Corte di Cassazione, la segnalazione all’INTERPOL equivale a una domanda di arresto provvisorio, rendendo superflua la trasmissione formale del provvedimento restrittivo dello Stato richiedente.

Insomma, il diritto internazionale imponeva di fatto alla polizia di frontiera italiana di arrestare Abedini. Secondo le autorità, c’era poi il rischio di fuga da parte dell’ingegnere, dato che era solo di passaggio nel nostro Paese e stava per oltrepassare di nuovo i confini italiani. In altre parole, il pericolo di fuga – previsto, come abbiamo visto, quale condizione essenziale per l’arresto provvisorio – era quindi implicito nella situazione, visto che l’ingegnere si trovava in aeroporto per prendere un altro volo.

Una volta eseguito l’arresto, la polizia italiana ha informato il Ministero della Giustizia e, nelle 48 ore seguenti la Corte di appello di Milano, che aveva la competenza territoriale sul caso – ha convalidato l’arresto. 

Intanto, negli Stati Uniti il processo penale a carico di Abedini ha continuato il suo corso. Il caso dell’ingegnere iraniano è stato presentato a un Grand jury, un organo composto da cittadini chiamati a valutare se vi siano prove sufficienti per sostenere formalmente le accuse. Di regola, se il Grand jury ritiene che esista un fondato motivo (in inglese probable cause), emette un indictment, ossia un atto di accusa formale nei confronti dell’imputato. Nel caso specifico, con l’indictment del 19 dicembre, il Grand jury ha formalizzato le accuse nei confronti di Abedini, che sono: aver cospirato per violare l’IEEPA; aver violato l’IEEPA e le regolamentazioni sulle sanzioni contro l’Iran; aver cospirato per fornire supporto materiale a un’organizzazione terroristica straniera «con esito mortale»; avere fornito materiale di supporto a un’organizzazione terroristica straniera «con esito omicidiario».

L’intervento di Nordio

La decisione sull’estradizione di Abedini sarebbe spettata alla Corte d’appello di Milano. Il 15 gennaio era in programma un’udienza per stabilire se concedere o meno il trasferimento dell’ingegnere iraniano dall’Italia agli Stati Uniti, una volta ricevuta la richiesta formale da parte delle autorità statunitensi, di solito trasmessa uno o due giorni prima dell’udienza.

Questa udienza non è stata più necessaria, dato che il 12 dicembre Nordio ha deciso di usare il potere concessogli dall’articolo 718 del codice di procedura penale. Quest’ultimo permette al ministro della Giustizia di revocare le misure cautelari di un indagato di cui è stata chiesta l’estradizione verso un altro Paese. Di conseguenza, Abedini è stato scarcerato ed è tornato subito in Iran. 

Come ha confermato una sentenza della Corte di Cassazione del 2003, la richiesta di revoca delle misure cautelari da parte del ministro della Giustizia non è un atto esclusivamente politico, ma anche amministrativo. Quindi questa richiesta deve essere adeguatamente motivata. Inoltre, nel rispetto del principio di separazione dei poteri, il legislatore distingue le competenze tra l’autorità giudiziaria e il Ministero della Giustizia nella procedura di estradizione. Di conseguenza, l’intervento del ministro può ritenersi giustificato solo quando siano evidenti e riconoscibili le ragioni contrarie all’estradizione, rendendo superfluo il giudizio della Corte d’appello.

Il 12 gennaio il Ministero della Giustizia ha spiegato in una nota le motivazioni alla base della richiesta di Nordio di liberare Abedini, chiamando in causa l’articolo 2 del trattato di estradizione tra Italia e Stati Uniti. Quest’ultimo consente l’estradizione dall’Italia agli Stati Uniti solo di persone accusate per reati riconosciuti come punibili dalle leggi di entrambi i Paesi. Secondo il Ministero della Giustizia, questa condizione «non può ritenersi sussistente» per i reati di cui è accusato Abedini. Innanzitutto, si legge nella nota, «la prima condotta ascritta al cittadino iraniano di “associazione a delinquere per violare l’IEEPA” non trova corrispondenza nelle fattispecie previste e punite dall’ordinamento penale italiano». E questo è corretto. Ma a differenza di quanto scritto dal Ministero della Giustizia, il quadro si complica per quanto riguarda gli altri due comportamenti di cui è accusato Abedini.

Come abbiamo visto, l’ingegnere iraniano è accusato anche di «associazione a delinquere per fornire supporto materiale ad una organizzazione terroristica con conseguente morte» e di «fornitura e tentativo di fornitura di sostegno materiale a una organizzazione terroristica straniera con conseguente morte». In questo caso, il codice penale italiano punisce chi «promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni con finalità di terrorismo «anche internazionale (articolo 270-bis) e chi gli fornisce assistenza (articolo 270-ter). 

Nella nota, il Ministero della Giustizia ha spiegato che, riguardo a queste due condotte di cui è accusato Abedini, «nessun elemento risulta a oggi addotto a fondamento delle accuse rivolte emergendo con certezza unicamente lo svolgimento, attraverso società a lui riconducibili, di attività di produzione e commercio con il proprio Paese di strumenti tecnologici avente potenziali, ma non esclusive, applicazioni militari». Tradotto in parole semplici: secondo il Ministero della Giustizia, non ci sono prove solide a sostegno delle accuse contro Abedini per quanto riguarda i due reati visti sopra.

I limiti del ministro

È vero che la legge attribuisce al ministro della Giustizia un ruolo centrale nella gestione delle procedure di estradizione. Qui però si può obiettare che, con la sua valutazione della solidità delle prove contro l’ingegnere iraniano, Nordio abbia sconfinato in ambiti che spettano esclusivamente alla valutazione dell’autorità giudiziaria. Questa obiezione è supportata da due sentenze del 1996 – una del Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio, l’altra della Corte di Cassazione – riguardanti il caso di Pietro Venezia

Venezia, proprietario di un ristorante a Miami in Florida, nel 1993 uccise Donald E. Bonham, un esattore delle tasse che gli aveva bloccato il conto in banca a causa dei debiti. Dopo l’omicidio Venezia scappò in Italia, dove fu arrestato nel 1994. Gli Stati Uniti chiesero all’Italia di estradare Venezia promettendo di non condannarlo alla pena di morte, che in Italia è vietata dalla Costituzione. Il governo italiano concesse l’estradizione ma Venezia fece ricorso al TAR, che chiamò in causa la Corte Costituzionale, e alla fine il trasferimento negli Stati Uniti fu negato.

Le sentenze del TAR e della Corte di Cassazione riguardanti il caso Venezia hanno chiarito che il ministro della Giustizia può valutare l’opportunità politica di concedere l’estradizione, mentre resta esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria l’accertamento tecnico-giuridico dei presupposti per l’estradizione.

Secondo vari osservatori, la decisione di Nordio di liberare Abedini sarebbe stata motivata dall’esigenza di giustificare una decisione maturata nell’ambito di trattative riservate tra Stati (Italia, Iran e Stati Uniti) connesse alla liberazione di Cecilia Sala. Sulla base delle citate sentenze, però, può apparire in contrasto con la separazione tra le competenze del potere del governo e quelle della magistratura, sancita dalla legge nell’ambito della procedura di estradizione. 

Come la si pensi, la fine delle misure cautelari per Abedini è irreversibile: anche nell’ipotesi assai improbabile che il provvedimento di Nordio venisse impugnato dal governo degli Stati Uniti davanti al TAR del Lazio, difficilmente si potrebbe riportare l’ingegnere iraniano in carcere, dato che ormai è tornato in Iran.

Va sottolineato poi che anche se la Corte d’appello di Milano avesse ritenuto legittima la richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti, il ministro della Giustizia avrebbe avuto comunque il potere di negare l’estradizione per motivi di opportunità politica, come già evidenziato.

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