Nordio era contro il reato di femminicidio, ora lo difende

Prima di diventare ministro della Giustizia, era contrario a «leggine ad hoc» che allungassero il codice penale. Ora sembra aver cambiato idea
ANSA/ETTORE FERRARI
ANSA/ETTORE FERRARI
«Un risultato epocale, una grande svolta». Così il 7 marzo, durante una conferenza stampa, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha definito il disegno di legge approvato dal governo che vuole introdurre il reato di “femminicidio” nel codice penale. Secondo Nordio, questa proposta «costituisce una manifestazione potente di un’attenzione a questa problematica, che è emersa in questi ultimi anni in maniera così dolorosa, e che deve, doveva, avrebbe dovuto e ha avuto una sanzione, un riconoscimento penale di prima levatura». Il ministro ha aggiunto che il disegno di legge approvato dal governo «inasprisce le pene, che peraltro erano già molto elevate,» sulla violenza contro le donne, e manda «un segnale di attenzione particolare da parte dello Stato a questo fenomeno pernicioso e odioso del femminicidio». 

Le parole pronunciate da Nordio in conferenza stampa contraddicono quanto scritto e dichiarato in passato da lui stesso, sia sul femminicidio sia più in generale sull’allungamento del codice penale con l’introduzione di nuovi reati.

Che cosa scriveva Nordio

In un articolo del 2016, scritto per Il Messaggero, Nordio aveva criticato l’allora governo Renzi per essersi dimenticato della riforma della giustizia. «Malgrado la quasi totalità degli operatori – magistrati, docenti universitari, avvocati – siano concordi nella necessità di una semplificazione e di un’armonizzazione sistematica [del codice penale, ndr], si continua a intervenire con leggine ad hoc, generalmente ispirate dall’emotività di eventi contingenti, come il femminicidio, l’omicidio stradale o i vari reati economici», aveva scritto Nordio, all’epoca pubblico ministero. 

Un riferimento al femminicidio compare in un altro articolo dell’attuale ministro della Giustizia, pubblicato sul Messaggero nel 2017. In quell’articolo, Nordio criticava l’introduzione del reato di tortura, appena approvata dal Parlamento. Secondo lui, questa misura si inseriva «in quel filone di velleitario attivismo con cui il legislatore tende ad affrontare vecchi problemi con provvedimenti ispirati dalla convenienza contingente». «Questa deplorevole attitudine, peraltro comune ai governi degli ultimi trent’anni, sta assumendo ora dimensioni quasi grottesche, con una proliferazione normativa caotica e scoordinata, che moltiplicando le incertezze interpretative ne consolida le difficoltà di applicazione», proseguiva il futuro ministro. 

Tra gli esempi di interventi che, a detta di Nordio, andavano in questa direzione, c’erano anche quelli per contrastare gli omicidi di donne. «Numerosi esempi di riforme fallite – fallite nel senso che alla fine non hanno minimamente raggiunto gli obiettivi solennemente celebrati – non hanno insegnato nulla. Nuovi reati sono stati introdotti, con la previsione di ulteriori aumenti di pene; le garanzie costituzionali sono state vieppiù avvilite, e siamo sempre lì. Dopo il giro di vite sulla corruzione, l’omicidio stradale, il femminicidio, le misure antimafia, eccetera eccetera, i delitti non diminuiscono, e l’insicurezza aumenta», scriveva Nordio.

Le critiche alle pene più severe

Più in generale, negli ultimi anni della sua carriera di magistrato Nordio ha criticato spesso chi proponeva di risolvere la diffusione di alcuni tipi di reati con un aumento delle pene. L’aggravamento delle pene è «inutile e irrazionale», si legge in un articolo scritto da Nordio, pubblicato nel 2018 sul sito della Fondazione Luigi Einaudi. «Le nostre pene sono già esageratamente alte, mentre l’esperienza e la statistica ci dimostrano che ai loro aumenti non corrispondono affatto le diminuzioni dei reati: l’omicidio stradale è l’ultimo di questi prevedibili fallimenti», aveva scritto il futuro ministro, criticando il Contratto di governo firmato dal Movimento 5 Stelle e della Lega.

Queste parole sembrano andare nella direzione opposta rispetto a quanto fatto da Nordio e dal suo governo con il nuovo disegno di legge, approvato il 7 marzo. L’articolo 575 del codice penale, infatti, punisce con almeno 21 anni di carcere chi commette il reato di omicidio, mentre il nuovo reato di femminicidio punisce chi lo commette con l’ergastolo. Lo stesso disegno di legge inasprisce le pene per altri reati legati alla violenza contro le donne.

Come abbiamo spiegato in altri approfondimenti, il governo Meloni ha intensificato una tendenza avviata dai governi precedenti, con la creazione di nuovi reati e l’inasprimento delle pene per quelli già esistenti, spesso dettati dalla volontà di inseguire i casi di cronaca del momento. E dire che durante il suo insediamento come ministro della Giustizia Nordio aveva proposto di sfoltire il numero di reati per velocizzare i processi. «La velocizzazione della giustizia transita attraverso una forte depenalizzazione, quindi una riduzione dei reati. Bisogna eliminare questo pregiudizio che la sicurezza e la buona amministrazione siano tutelati dalle leggi penali: questo non è vero», aveva detto il 22 ottobre 2022 Nordio. Nei mesi successivi lo stesso ministro ha ribadito che in passato, quando lui stesso ha guidato una commissione per riformare il codice penale, ha proposto senza successo la via della depenalizzazione per contrastare il fenomeno opposto, quello della «panpenalizzazione». Nonostante le parole del ministro, la direzione intrapresa dal suo governo è stata un’altra.

La replica di Nordio

In un’intervista pubblicata l’8 marzo dal Giornale, Nordio ha comunque difeso la linea tenuta finora dal governo, e più nello specifico la proposta di introdurre il reato di femminicidio. «È un segnale di attenzione verso un soggetto debole che negli ultimi anni, aimè, ha avuto una serie di aggressioni che va al di là della statistica ordinaria degli omicidi», ha detto il ministro della Giustizia. Alla domanda: “La moltiplicazione di reati porterà più giustizia?”, Nordio ha risposto: «I reati si possono anche sottrarre. Una volta era reato l’adulterio, poi è stato tolto. Lo stesso vale per la bestemmia. E comunque mi lasci dire che al di là dell’effetto giuridico c’è un segnale culturale e un effetto dissuasivo, deterrente. Prenda il caso del cosiddetto reato rave party che abbiamo introdotto all’inizio del nostro mandato e che tante polemiche ha sollevato. Da allora non c’è stato bisogno di applicarlo perché i fenomeni illegali di quei raduni non si sono più verificati».

Al di là delle legittime opinioni sui nuovi reati introdotti dal governo Meloni, tra cui quello contro il femminicidio, non è vero che da quando è stato approvato il nuovo reato non ci sono stati più rave party. Da ultimo, ne è stato organizzato uno pochi giorni fa, il 9 marzo, in provincia di Firenze, sgomberato dalle forze dell’ordine. Se le necessità della Giustizia nascono dalle pagine della cronaca, spesso influenzate dalla politica, e il loro soddisfacimento viene valutato sempre sulla base delle pagine della cronaca, diventa possibile sostenere che un certo fenomeno di cui prima si parlava molto ora sia stato eliminato solo perché adesso non se ne parla più.

ENTRA NELLA NOSTRA MEMBERSHIP

Riceverai:

✓ Una newsletter quotidiana con le notizie più importanti sulla politica
✓ Le guide in formato eBook sui temi del momento (la prossima è sui referendum)
✓ L’accesso ad articoli esclusivi e all’archivio
✓ La possibilità di comunicare direttamente con la redazione
ATTIVA UN MESE DI PROVA GRATUITA
In questo articolo
Newsletter

Conti in tasca

Ogni giovedì
Si dice che l’economia ormai sia diventata più importante della politica: in questa newsletter Massimo Taddei prova a vedere se è vero. Qui un esempio.

Ultimi articoli