Perché la Spagna sta crescendo così tanto

C’entrano le esportazioni in aumento e il costo dell’energia, e anche la riforma dei contratti a termine, su cui però c’è dibattito
Ansa
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Dopo la crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19, iniziata nel 2020, negli ultimi due anni la Spagna è il grande Paese dell’Unione europea che è cresciuto più di tutti. Secondo Eurostat, nel 2023 il Prodotto interno lordo (Pil) spagnolo è aumentato del 2,7 per cento rispetto all’anno precedente, contro una crescita media europea del +0,4 per cento. Nello stesso periodo l’Italia è cresciuta dello 0,9 per cento, come la Francia, mentre il Pil della Germania è calato dello 0,3 per cento. Le previsioni di quest’anno restano positive per la Spagna: secondo le stime più aggiornate del Fondo Monetario Internazionale (FMI), il Pil spagnolo crescerà del 2,4 per cento nel 2024 e del 2,1 per cento nel 2025. Secondo le stesse previsioni, invece, l’Italia crescerà dello 0,7 per cento nel 2024 e dello 0,9 per cento nel 2025.

Qual è il motivo per cui la Spagna sta crescendo a ritmi superiori degli altri grandi Paesi Ue? Le ragioni sono diverse.

Non solo il turismo

Secondo il FMI, i principali fattori della recente crescita della Spagna sono stati «la robusta performance delle esportazioni di servizi e i consumi pubblici». I dati confermano il peso di questi due fattori: nel 2023 la spesa sostenuta dallo Stato e dagli enti pubblici per l’acquisto di beni e servizi destinati a soddisfare le necessità collettive è aumentata del 3,8 per cento rispetto all’anno precedente, mentre le esportazioni di beni e servizi sono cresciute del 2,3 per cento. Secondo un’analisi condotta a marzo da BBVA Research, il centro di studi economici di una delle principali banche spagnole, in Spagna «le esportazioni, in particolare di servizi, reggono meglio del previsto». Secondo questa analisi, il forte aumento di questo tipo di esportazioni è dovuto soprattutto al fatto che, nei Paesi sviluppati, le famiglie spendono sempre di più per i servizi. Questo cambiamento delle abitudini favorisce l’economia spagnola che, come altri Paesi europei, è fortemente orientata alla fornitura di servizi.

Tra questi servizi è incluso il turismo, un settore in forte espansione nel periodo immediatamente successivo alla pandemia da Covid-19. Secondo i dati più aggiornati pubblicati dall’istituto di statistica spagnolo, nel 2023 oltre 85 milioni di turisti stranieri hanno visitato il Paese. Per alcune associazioni di categoria, questo dato ha permesso al settore turistico di incidere per il 12,8 per cento sul Pil nazionale lo scorso anno, la percentuale più alta mai registrata. Al momento non ci sono comunque dati ufficiali a riguardo da parte dell’istituto nazionale di statistica. Lo scorso anno l’istituto aveva registrato un contributo del turismo sul Pil spagnolo pari all’11,6 per cento a fronte di un afflusso di circa 71 milioni di turisti.

Secondo alcuni studiosi, l’impatto che il settore turistico sta avendo sull’economia spagnola andrebbe ridimensionato. «Il turismo è sicuramente un fattore che crea impiego e genera esternalità positive, ma è pur sempre un settore a basso valore aggiunto rispetto ad altri servizi, come quelli finanziari. È facile la tentazione di comunicare i buoni risultati come un grande successo, ma bisogna sempre rapportare il loro impatto sul totale del Pil», ha spiegato a Pagella Politica Marcello Sartarelli, docente di Economia all’Università Complutense di Madrid.

Gli stessi report di BBVA Research hanno precisato che la ripresa del turismo straniero dopo la pandemia spiega solo in parte la crescita delle esportazioni, dal momento che altri servizi non turistici hanno raggiunto i loro massimi storici. Tra questi ci sono i servizi finanziari e di consulenza e le tecnologie informatiche e di comunicazione, che nel primo trimestre del 2024 hanno avuto un impatto sul Pil pari al 7,6 per cento, contro il 5 per cento del turismo estero. Anche i servizi di trasporto, che includono la logistica e i servizi postali, hanno un peso importante sul totale delle esportazioni.

L’eccezione iberica

Un fattore che distingue la Spagna dal resto dell’Europa riguarda l’impatto della crisi energetica iniziata con l’invasione russa dell’Ucraina. 

Tra il 2022 e il 2023 la Spagna, insieme al Portogallo, ha beneficiato infatti di un meccanismo speciale (chiamato “eccezione iberica”) concordato con l’Unione europea per limitare l’impatto dell’aumento dei prezzi del gas naturale. Con questo meccanismo il governo ha introdotto un tetto massimo al prezzo del gas: quando il prezzo del gas sul mercato superava questa soglia, i governi intervenivano pagando la differenza, così da proteggere i consumatori dagli aumenti eccessivi in bolletta.

Questa eccezione è stata possibile per due ragioni: la forte presenza di fonti rinnovabili, che generano energia a un costo inferiore, e l’isolamento parziale dei sistemi elettrici iberici rispetto al resto d’Europa, che rende la Spagna e il Portogallo più vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi del gas. Di norma in Europa il prezzo dell’elettricità è collegato al prezzo del gas, ma la cosiddetta “eccezione iberica” ha consentito alla Spagna di separare in parte questi due costi, promuovendo l’uso delle rinnovabili e contenendo le bollette. Secondo uno studio realizzato nelle prime settimane in cui questa misura era in vigore, il prezzo dell’elettricità in Spagna è stato inferiore del 14,1 per cento rispetto a quello che sarebbe stato senza l’eccezione.

L’effetto positivo dell’eccezione iberica si è fatto sentire non solo sulle famiglie, ma anche sulle imprese spagnole, che hanno goduto di costi energetici più bassi rispetto ad altre grandi economie europee, a partire dalla Germania. La misura ha avuto comunque una durata breve ed si è conclusa alla fine del 2023. «L’eccezione iberica ha permesso un rilancio dopo la pandemia e l’inizio della guerra in Ucraina, limitando la flessione del Pil che si è invece verificata in altri Paesi, sebbene non abbia modificato le aspettative di lungo termine delle imprese», ha sottolineato Sartarelli.

Il sostegno alla domanda interna

La crescita spagnola è stata sostenuta da un aumento della spesa pubblica, grazie a politiche volte a rafforzare i servizi pubblici e a stimolare la domanda interna nel periodo post pandemia. Per favorire la ripresa il governo spagnolo ha investito sul sistema sanitario e scolastico, ha stanziato sussidi per le imprese e i lavoratori autonomi e ha varato nuovi provvedimenti di welfare sociale, a partire dalla rivalutazione delle pensioni. 

A più riprese il governo ha poi innalzato il salario minimo nazionale, che attualmente è fissato a 1.134 euro al mese (nel 2018 era pari a 735 euro). Inoltre, dal 2020 è stato introdotto il reddito minimo di sussistenza (in spagnolo Ingreso Mínimo Vital), una misura simile al reddito di cittadinanza che offre un livello minimo di reddito a chi si trova in una situazione di vulnerabilità economica. Sebbene l’obiettivo principale fosse ridurre le disuguaglianze, queste misure hanno contribuito a stimolare i consumi, in particolare dei beni di prima necessità.

Il governo spagnolo può poi contare sui fondi del NextGenerationEU, il fondo introdotto dall’Unione europea per sostenere la ripresa economica degli Stati membri dopo la pandemia. Alla Spagna spettano oltre 163 miliardi di euro tra prestiti e sussidi, che la rendono il secondo principale beneficiario di questi fondi dietro all’Italia (194 miliardi) in termini assoluti. In rapporto al Pil, il piano nazionale di ripresa spagnolo è però più “ricco” di quello italiano.

La riforma del lavoro

Oltre ai dati sul Pil, secondo l’istituto di statistica spagnolo nel secondo trimestre del 2024 è stato toccato il picco di occupati (21,68 milioni), mentre il tasso di disoccupazione (12 per cento) è stato il più basso registrato negli ultimi 15 anni, sebbene rimanga ancora il più alto nell’area euro. I dati positivi sull’occupazione hanno un doppio beneficio: da un lato aumentano le prospettive di crescita per il Paese, dall’altro contribuiscono a sostenere i consumi delle famiglie (più lavoro infatti corrisponde a più reddito e quindi maggiore capacità di spesa).

Sul mercato del lavoro il governo spagnolo era intervenuto nel 2021 con una riforma che ha ridotto la possibilità per le imprese di ricorrere a contratti a termine. Per il Fondo Monetario Internazionale questa riforma ha comportato una «diminuzione senza precedenti del lavoro temporaneo», sebbene secondo altri studi l’impatto si sia limitato all’aspetto contrattuale: sono aumentati gli impieghi a tempo indeterminato, ma questi non hanno comunque ridotto la precarietà lavorativa nella pratica. 

«La riforma ha limitato l’uso dei contratti a brevissima durata, favorendo una maggiore diffusione di contratti più stabili. Tuttavia, la durata complessiva dei contratti non è aumentata in modo significativo: possiamo dire che la riforma è riuscita più che altro a incentivare le imprese ad assumere e pianificare più sul lungo periodo, rendendo anche i lavoratori più motivati e quindi più produttivi», ha spiegato Sartarelli.

Vecchia e nuova immigrazione 

Negli ultimi anni in Spagna è cresciuta anche la popolazione, soprattutto grazie al contributo dell’immigrazione. Negli ultimi due anni i residenti sono aumentati del 2,5 per cento, circa due punti in più rispetto alla media Ue e quasi tre rispetto all’Italia, dove la popolazione è diminuita dello 0,2 per cento. Ad agosto di quest’anno la Banca di Spagna ha pubblicato un report in cui ha sottolineato che la Spagna è diventata «uno dei Paesi europei con il più alto flusso di immigrati rispetto alla popolazione» e «il tasso di occupazione dei cittadini stranieri residenti in Spagna è superiore a quello dei cittadini nazionali, il che significa che contribuiscono maggiormente all’aumento dell’offerta di lavoro».

Secondo il report, a migrare verso la Spagna sono soprattutto cittadini dell’America Latina, un gruppo più omogeneo e culturalmente vicino al Paese di destinazione rispetto a quanto si verifica in altri Paesi europei. Nonostante i titoli di studio siano più elevati rispetto a chi migra altrove in Europa, i cittadini stranieri che arrivano in Spagna si concentrano perlopiù in attività che non richiedono un alto livello di istruzione, «anche se di recente ci sono indicazioni di un leggero spostamento verso settori più qualificati».

Secondo Sartarelli, però, «la capacità della Spagna di attrarre forza lavoro qualificata dall’estero è ancora tutta da provare. Per il momento l’agglomerazione di talenti funziona soprattutto nelle grandi città, a partire da Madrid e Barcellona, che insieme valgono circa il 38 per cento del Pil nazionale. Storicamente Barcellona era il centro dell’innovazione, ma di recente Madrid l’ha superata grazie alla presenza di meno vincoli: oltre a offrire tutti i vantaggi di una capitale, si trova al centro del Paese, rendendo facile espandersi nei comuni limitrofi», ha spiegato. Alcuni esempi di questa espansione accompagnata dalla concentrazione di lavoratori qualificati sono già visibili. «A nord di Madrid c’è un comune di 55 mila abitanti, Tres Cantos, che ha attirato professionisti che volevano vivere fuori dal caos della metropoli, sfruttando la presenza di un polo tecnologico che ospita imprese multinazionali come Glaxo Smithkline, Repsol, Thales Alenia, Movistar o Siemens», ha proseguito Sartarelli.

I rischi per il futuro

Nonostante il momento positivo, l’economia spagnola non è immune a una serie di rischi. 

Tra questi il Fondo Monetario Internazionale ha sottolineato lo scarso utilizzo dei fondi europei Next Generation EU e l’instabilità politica, così come l’impatto sull’economia spagnola di un eventuale rallentamento della crescita globale o un nuovo aumento dei costi dell’energia. 

BBVA Research ha evidenziato invece che il costo del lavoro potrebbe crescere in modo repentino, non tanto per la crescita dei salari quanto per l’aumento dei contributi a carico delle imprese. Per assicurare la stabilità dell’economia, il FMI ha quindi chiesto alla Spagna di affrontare i suoi problemi strutturali, a partire dal basso livello di investimenti e di produttività, per favorire la convergenza degli standard di vita del Paese verso il livello degli altri Stati più sviluppati.

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