Quanto crescerà il Pil grazie al Pnrr

Le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio sono meno generose di quelle contenute nell’ultimo Def, criticate da alcuni economisti
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
La crescita dell’economia italiana in questi anni dipende in buona parte dalla tempestiva attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Nei mesi scorsi questa affermazione è stata ribadita da vari organismi internazionali, tra cui la Commissione europea, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e il Fondo monetario internazionale (Fmi). 

Ma secondo le stime più aggiornate, quale sarà l’impatto del piano sulla crescita del Prodotto interno lordo (Pil) del nostro Paese?

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Le stime dell’Upb

Il 1° agosto l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha pubblicato una nuova nota sulla congiuntura economica che contiene una valutazione aggiornata dell’impatto del Pnrr sull’economia italiana. Questa valutazione si basa sull’assunto che il piano sarà attuato nei tempi previsti, senza ritardi o altre modifiche. Ricordiamo che dopo la revisione approvata a dicembre dello scorso anno il piano può contare su risorse complessive pari a 194,4 miliardi di euro. 

L’organismo indipendente che vigila sui conti pubblici ha stimato, però, quanto crescerà il Pil dell’Italia grazie alle risorse stanziate dal piano solo per i cosiddetti “progetti aggiuntivi”. Non sono stati considerati quindi gli investimenti destinati ai progetti finanziati dal Pnrr che sarebbero comunque stati fatti in assenza del piano. Per calcolare le sue stime l’Upb ha usato uno specifico modello econometrico, chiamato “MeMo-It”, sviluppato con Istat (qui sono disponibili i dettagli tecnici sul suo funzionamento). In parole semplici, un modello econometrico è uno strumento matematico-statistico che, sulla base di dati, analizza le relazioni economiche e fa previsioni sull’andamento futuro di variabili come il Pil.

Secondo le stime dell’Upb, nei primi tre anni «gli impatti del Pnrr sull’economia italiana sono moderati», contribuendo per «un paio di decimi di punto percentuale in media sulla crescita annua fino al 2023». L’attuazione del piano, lo ricordiamo, è iniziata nel 2021. Quell’anno il Pil italiano, reduce dal crollo causato nel 2020 dalla pandemia di Covid-19, è cresciuto dell’8,3 per cento, nel 2022 la crescita è stata del 4 per cento rispetto all’anno precedente, mentre nel 2023 il Pil è salito dello 0,9 per cento rispetto al 2022. Dunque, in ognuno di questi tre anni, secondo l’Upb, il Pnrr ha contribuito in media alla crescita con uno 0,2 per cento. Nei successivi tre anni – nel 2024, nel 2025 e nel 2026 – «gli impatti medi sulla variazione annuale si rafforzano, tra i sette e gli otto decimi di punto». Nell’ultimo anno di attuazione del Pnrr, ossia nel 2026, «l’effetto complessivo sul livello del Pil sarebbe maggiore del 2,9 per cento rispetto allo scenario di base, ossia al livello del Pil che si sarebbe realizzato in assenza del piano», ha aggiunto l’Upb. 

Dato che il Pil italiano vale poco più di 2 mila miliardi di euro, se le stime dell’Upb sono corrette, allora nel 2026 grazie al Pnrr il Pil italiano sarà più alto di circa 60 miliardi di euro rispetto allo scenario in cui il Pnrr non sarebbe esistito.

Le stime nel Def

I risultati della valutazione dell’Upb sono un po’ meno generosi di quelli contenuti nel Documento di economia e finanza (Def), pubblicato dal governo Meloni lo scorso aprile, e realizzati dal Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Anche nel Def è stato considerato solo l’impatto della spesa per i progetti aggiuntivi, ma è stato usato un modello econometrico diverso (chiamato “QUEST-III R&S”) e si è tenuto conto anche di altre risorse, oltre a quelle relative in senso stretto al Pnrr: i fondi del programma React-EU, le risorse anticipate del Fondo Sviluppo e Coesione, e le risorse stanziate dal fondo complementare al Pnrr, finanziato con risorse nazionali e non europee. Nel complesso, il Def ha stimato l’impatto sul Pil della spesa di risorse pari a circa 197 miliardi di euro. 

Secondo queste stime, nel 2026 il Pil italiano sarà più alto del 3,4 per cento grazie al Pnrr, una percentuale un po’ più alta di quella stimata dall’Ufficio parlamentare di bilancio. Nel 2021 il contributo alla crescita del Pil è stato pari a 0,2 punti percentuali, nel 2022 a 0,1 punti e nel 2023 a 0,4 punti. Nel triennio successivo il contributo aumenta, dato che la spesa delle risorse del Pnrr si concentra in questo periodo: nel 2024 il contributo al Pil è pari a 0,9 punti percentuali, nel 2025 a un punto percentuale e nel 2026 a 0,8 punti. Lo stesso Def ha stimato che nel 2024 il Pil italiano crescerà dell’1 per cento rispetto al 2023: quindi se le stime appena viste sono corrette, vuol dire che il 90 per cento della crescita di quest’anno dipenderà dalla corretta attuazione del piano. In base ai dati più aggiornati, dal 1° gennaio al 17 luglio 2024 sono stati spesi meno di 10 miliardi di euro del Pnrr: entro fine anno ne vanno spesi altri 33 miliardi (Grafico 1).
Grafico 1. Programmazione temporale della spesa dei soldi del Pnrr – Fonte: Corte dei Conti
Grafico 1. Programmazione temporale della spesa dei soldi del Pnrr – Fonte: Corte dei Conti
Secondo le stime del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Missione 2 del Pnrr – dedicata alla transizione ecologica – è quella con l’impatto maggiore sulla crescita del Pil, seguita dalla Missione 1, dedicata a digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo.

Le critiche alle stime

Nel Def il governo ha elencato anche l’impatto sull’economia delle principali riforme contenute nel Pnrr, che riguardano l’istruzione e la ricerca, le politiche attive del mercato del lavoro, la pubblica amministrazione, la giustizia, e la concorrenza e gli appalti. «Nel complesso, si stima che l’effetto delle riforme possa generare un incremento del PIL del 5,6 per cento al 2030 e di circa il 10 per cento nel lungo termine», si legge nel Def.

Queste stime, così come quelle viste sopra sull’impatto della spesa, sono state criticate dagli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti nel libro Pnrr: La grande abbuffata, pubblicato a ottobre 2023 da Feltrinelli. Secondo Boeri e Perotti, gli effetti stimati sull’impatto delle riforme del Pnrr contenute nel Def del 2023 – molto simili a quelle nel Def del 2024 – «sono semplicemente pazzeschi». L’operazione di stima fatta dal ministero, a detta dei due economisti, è un’«impresa di per sé eroica, perché non conosciamo metodologie attendibili per stimare gli effetti di tali riforme, e l’incertezza statistica è ancora maggiore che nel caso degli investimenti». «Seguendo le tabelle del Def, nel 2026 queste riforme porterebbero a un Pil più alto di 70 miliardi, e nel “lungo periodo” (oltre il 2030) di altri… 200 miliardi all’anno (!)», si legge nel libro La grande abbuffata. Se a questa cifra si aggiungono le centinaia di miliardi di benefici generati dai soldi spesi per gli investimenti del Pnrr, si raggiunge un valore poco credibile, secondo Perotti e Boeri.

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