Non è vero che il PD vuole raddoppiare i senatori a vita

Lo ripetono Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni, parlando di uno dei tanti emendamenti presentati in Senato per fare ostruzionismo
ANSA
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In questi giorni vari esponenti di Fratelli d’Italia, tra cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, stanno accusando il Partito Democratico di voler raddoppiare il numero dei senatori a vita. «Il PD propone di raddoppiare i senatori a vita: non so se vogliamo tornare direttamente al Senato regio con i senatori nominati in base al censo, ma non è il mio modello», ha dichiarato per esempio Meloni il 30 maggio, ospite a Dritto e Rovescio su Rete 4. La leader di Fratelli d’Italia ha ripetuto la stessa accusa in altre occasioni, per esempio il 1° giugno da un evento elettorale in Piazza del Popolo a Roma e il 4 giugno ospite ad Agorà su Rai 3

Ma è davvero così? Il Partito Democratico vuole che il numero dei senatori a vita venga raddoppiato? In breve la risposta è no.

La riforma del premierato

Al momento la proposta di riforma costituzionale presentata dal governo Meloni per introdurre l’elezione diretta del presidente del Consiglio (il cosiddetto “premierato”) è all’esame dell’aula del Senato. Il testo è stato presentato in Parlamento lo scorso novembre e, dopo cinque mesi di lavori, alla fine di aprile la Commissione Affari costituzionali ha finito l’esame del disegno di legge, che in alcune parti è stato modificato.

Tra le altre cose, la riforma costituzionale propone di eliminare il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione, quello che dà il potere al presidente della Repubblica di nominare i senatori a vita. «Il presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque», recita l’articolo 59 della Costituzione.

I senatori a vita attualmente in carica sono cinque: Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia e Liliana Segre.

L’emendamento del PD

Il termine per presentare nell’aula del Senato gli emendamenti alla riforma è stato fissato nella mattina dell’8 maggio. Entro quella data, i partiti hanno potuto depositare le loro proposte per modificare ancora il disegno di legge della riforma con i voti dei senatori in aula. Tra gli emendamenti, ce n’è uno firmato da oltre 30 senatori del PD in cui si chiede di modificare l’articolo 59 della Costituzione in questo modo: «Il presidente della Repubblica può nominare senatori a vita fino a dieci cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario». Secondo Fratelli d’Italia, questa sarebbe la prova che il PD vuole raddoppiare il numero dei senatori a vita, da cinque a dieci. 

In realtà se si scorrono gli emendamenti firmati da senatori del PD, se ne trovano altri in cui i parlamentari chiedono di modificare l’articolo 59 della Costituzione e di fissare a nove, otto, sette e sei il numero dei senatori a vita. Un altro emendamento di senatori del PD chiede di lasciare a cinque il numero dei senatori a vita, altri ancora di ridurlo a quattro, tre e addirittura due. Emendamenti simili sono stati presentati da esponenti di altri schieramenti, come il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra.

L’ostruzionismo parlamentare

In generale, come già successo in Commissione Affari costituzionali, i partiti hanno presentato migliaia di emendamenti per modificare la proposta di riforma costituzionale: alcuni contengono proposte che trovano davvero l’appoggio dei partiti che li hanno depositati, ma la stragrande maggioranza degli emendamenti è stata presentata solo per rallentare i lavori parlamentari, con una pratica nota con il nome di “ostruzionismo”. «L’emendamento sui dieci senatori a vita era ovviamente un emendamento ostruzionistico: faceva parte di un pacchetto di cento proposte di modifica volte a bloccare o rallentare il percorso del testo», ha spiegato a Pagella Politica il senatore del PD Andrea Giorgis, tra i firmatari degli emendamenti del partito di Elly Schlein. 

L’ostruzionismo ha un obiettivo semplice ed è stato adottato in passato da tutti i partiti, da destra a sinistra: visto che gli emendamenti vanno esaminati uno per uno, i partiti che vogliono ostacolare l’approvazione di un testo ne presentano a centinaia, molto simili tra loro, rallentando così l’esame parlamentare. Come detto, non tutti gli emendamenti sono presentati a scopo ostruzionistico. Per esempio, tra i vari emendamenti alla riforma del “premierato”, lo stesso PD ha presentato la proposta di introdurre in Costituzione la cosiddetta “sfiducia costruttiva”, in base alla quale il Parlamento può sfiduciare un governo in carica solo se può concedere la fiducia a un altro governo.
Per aggirare l’ostruzionismo, i partiti che hanno la maggioranza in Parlamento e sostengono il governo possono ricorrere a vari strumenti, tra cui il cosiddetto “canguro”. In concreto, con il “canguro” si raggruppano gli emendamenti che hanno parti in comune, così da votarli un’unica volta. Il 22 maggio il presidente del Senato Ignazio La Russa ha annunciato all’aula che la maggioranza avrebbe fatto ricorso a «questo benedetto “canguro”», velocizzando così l’esame della riforma.

Lo scorso 28 maggio in aula sono stati esaminati e votati i vari emendamenti all’articolo della riforma costituzionale che chiede di eliminare i senatori a vita, e alla fine l’articolo è stato approvato senza modifiche. Ma il percorso della riforma è ancora lungo: il testo deve finire di essere approvato dall’aula del Senato, poi passerà all’esame della Camera. A distanza di tre mesi da ognuna delle due approvazioni, il testo dovrà di nuovo essere approvato con lo stesso contenuto sia dal Senato sia dalla Camera. Se nella seconda votazione entrambe le camere approvano il testo a maggioranza dei due terzi dei componenti, la proposta di riforma si considera definitivamente approvata, altrimenti può essere sottoposta a referendum popolare per confermarla.

In ogni caso, se la riforma sarà approvata definitivamente, gli attuali senatori a vita rimarranno comunque in carica e il presidente della Repubblica non potrà più eleggerne di nuovi.

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