Quello che Meloni non dice sulla libertà educativa e sul ruolo dei genitori

La presidente del Consiglio ha criticato la gestione del caso della “famiglia nel bosco” e chi vuole l’educazione sessuale a scuola, semplificando troppo il quadro giuridico
ANSA/LUCA ZENNARO
ANSA/LUCA ZENNARO
Il 14 dicembre, nel suo discorso conclusivo alla manifestazione di Atreju a Roma, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha parlato, tra le altre cose, della libertà educativa dei genitori, un tema tornato al centro del dibattito pubblico dopo la vicenda della cosiddetta “famiglia del bosco” in Abruzzo.

«Sono orgogliosa che il nostro governo stia difendendo la libertà educativa e il ruolo dei genitori nell’educazione dei figli», ha detto Meloni, aggiungendo: «Educare i figli è compito dei genitori, lo Stato non può sostituirsi alla famiglia, può accompagnarla, ma non di più, perché i figli non sono dello Stato, non sono di una ideologia. I figli sono delle mamme e dei papà, e uno Stato che vuole sostituirsi ha dimenticato i suoi limiti».

L’affermazione della presidente del Consiglio tiene insieme due piani distinti. Da un lato c’è la rivendicazione della proposta sul “consenso informato” – approvata dalla Camera – per alcune attività scolastiche in materia di educazione sessuale. Dall’altro c’è il riferimento alla vicenda della “famiglia nel bosco”. Il filo conduttore del discorso è l’idea di uno Stato che «supera i limiti» e che, in alcuni casi, «si sostituisce» ai genitori, comprimendo la loro libertà educativa.

Senza entrare nel merito delle opinioni politiche di Meloni, va detto che le affermazioni della presidente del Consiglio semplificano eccessivamente un quadro giuridico complesso. In più, risultano in parte in contrasto con le norme vigenti, che prevedono alcune ipotesi in cui lo Stato non solo può intervenire, ma ha il dovere di farlo, anche sostituendosi temporaneamente ai genitori, per tutelare i diritti dei minori.

Il consenso preventivo

Per quanto riguarda il consenso preventivo, la norma citata da Meloni ad Atreju – e rivendicata «con orgoglio» – riguarda la proposta di legge approvata alla Camera il 3 dicembre, che introduce l’obbligo di un consenso dei genitori per lo svolgimento di attività scolastiche su temi attinenti all’ambito sessuale. L’obiettivo dichiarato è rafforzare il ruolo delle famiglie nelle scelte educative che riguardano i propri figli.

Quello che la presidente del Consiglio non dice, però, è che già oggi l’ordinamento scolastico italiano prevede un coinvolgimento strutturato dei genitori nelle decisioni sull’offerta formativa. Il principale organo collegiale della scuola è il consiglio di istituto, che ha competenze sugli aspetti economici e organizzativi generali dell’istituzione scolastica.

Lo strumento attraverso cui queste decisioni vengono assunte è il “Piano triennale dell’offerta formativa”, definito dalla legge come «il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ». Il piano è predisposto dal collegio dei docenti «con la partecipazione di tutte le componenti» e adottato dal consiglio di istituto. In quest’ultimo siedono, accanto a docenti e studenti, anche rappresentanti eletti tra i genitori. 

Questo assetto implica che la definizione dell’offerta formativa, anche quando riguarda contenuti extracurricolari o progettuali come quelli su affettività e sessualità, avviene già in una sede istituzionale in cui i genitori partecipano alle decisioni di indirizzo e alla programmazione, pur senza un consenso individuale su ogni singola attività.

Esiste poi un ulteriore livello di coinvolgimento del consiglio di istituto nei casi in cui i percorsi formativi siano realizzati tramite esperti esterni o associazioni, come accade spesso per i progetti di educazione affettiva e sessuale. Il “Regolamento di contabilità delle istituzioni scolastiche” attribuisce infatti al consiglio di istituto la competenza sull’attività negoziale della scuola, includendo tra le altre cose i «contratti di prestazione d’opera con esperti per particolari attività ed insegnamenti». In concreto, anche per il profilo contabile, qualsiasi progetto su temi affettivi o sessuali svolto con soggetti esterni deve passare da una decisione del consiglio di istituto, e quindi da un coinvolgimento diretto dei genitori.

A questo si aggiunge il “Patto educativo di corresponsabilità”, previsto dallo Statuto delle studentesse e degli studenti per le scuole superiori, che formalizza l’interazione tra scuola e famiglia nella responsabilità educativa. 

La nuova norma sul consenso informato rende, quindi, anche individuale una decisione che è attualmente mediata dagli organi collegiali, permettendo a ogni famiglia di scegliere per il proprio figlio. Ma è importante ricordare che i genitori hanno già oggi voce in capitolo nelle determinazioni scolastiche, anche su temi sensibili come l’educazione sessuale.

Il caso della “famiglia nel bosco”

Il tema dello Stato che si sostituisce alla famiglia è stato ripreso da Meloni anche in riferimento all’allontanamento disposto dai giudici per i tre figli minori della “famiglia del bosco”, un caso di cui ci siamo occupati anche noi. In questo passaggio il discorso politico si intreccia direttamente con il quadro costituzionale e con le norme a tutela dei minori.

La Costituzione, all’articolo 30, riconosce ai genitori il dovere e il diritto di mantenere, istruire ed educare i figli, ma prevede esplicitamente l’intervento pubblico «nei casi di incapacità dei genitori». L’articolo 31, inoltre, impone allo Stato di proteggere «infanzia e gioventù». In altre parole, la “sostituzione” dello Stato alla famiglia non è una forzatura arbitraria, ma una possibilità prevista dall’ordinamento costituzionale quando emergono condizioni di inidoneità tali da rendere necessaria una tutela esterna.

Ne deriva che la responsabilità genitoriale è centrale, ma non assoluta. Il fine ultimo dell’ordinamento resta la protezione del minore, in coerenza con la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1989, che individua nel superiore interesse del minore il criterio guida di ogni decisione. In questo quadro lo Stato può, a seconda dei casi e con specifiche garanzie, integrare, sostenere o limitare il ruolo dei genitori.

Questi principi trovano attuazione nel codice civile, che prevede la decadenza dalla responsabilità genitoriale «quando il genitore vìola o trascura i doveri a essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio». Accanto alla decadenza, l’ordinamento contempla anche altri provvedimenti limitativi, applicabili quando la condotta del genitore risulta comunque dannosa per il figlio, pur senza arrivare alle ipotesi più gravi.

La libertà educativa della famiglia, inoltre, non equivale alla libertà di sottrarsi agli standard minimi di tutela in materia di salute e istruzione. Un esempio è l’istruzione parentale, consentita dalla legge ma sottoposta a un regime di garanzia: il minore deve sostenere ogni anno un esame di idoneità come candidato esterno per il passaggio alla classe successiva. È il modo con cui l’ordinamento cerca di bilanciare l’autonomia familiare con il diritto del minore all’istruzione, evitando che l’una annulli l’altro.

In questo senso, una soglia minima di tutela in ambito sanitario e educativo non è considerata negoziabile. Secondo alcune ricostruzioni della stampa, nel caso dei “bambini nel bosco” sarebbero emerse criticità sia sul piano sanitario, come la non completezza del ciclo vaccinale, sia su quello dell’istruzione e dello sviluppo. La coppia avrebbe infatti dichiarato la disponibilità a collaborare su scuola e vaccini nel tentativo di riottenere i figli. In particolare, alcune cronache riportano che i bambini non saprebbero né leggere né scrivere, non si esprimerebbero adeguatamente in italiano e non conoscerebbero l’alfabeto.

Alla luce di questi elementi, nel caso della “famiglia nel bosco” lo Stato non si è sostituito alla famiglia per imporre un’ideologia alternativa o per competere con l’educazione familiare, ma perché, almeno secondo la valutazione del Tribunale per i minorenni dell’Aquila, si profilava un rischio per diritti fondamentali dei bambini. Va ricordato poi che il procedimento di verifica del rispetto di tali diritti prende di norma avvio da una segnalazione dei servizi sociali all’autorità giudiziaria e prosegue attraverso una collaborazione tra il Tribunale per i minorenni, i servizi sociali e la famiglia coinvolta.

In conclusione, l’espressione «i figli non sono dello Stato», utilizzata da Meloni, è efficace sul piano retorico, ma ambigua dal punto di vista giuridico. I figli non sono “proprietà” né dello Stato né dei genitori. Sono persone titolari di diritti propri. La responsabilità genitoriale si esercita entro il perimetro di tutela di questi diritti, e lo Stato è chiamato a intervenire per garantirli quando l’ambiente familiare non è in grado di farlo.

A Natale tutti più buoni. Il resto dell’anno? Meglio più informati.

Regala un anno della nostra membership. Chi lo riceverà avrà accesso a:

• le guide sui temi del momento;
• la newsletter quotidiana con le notizie più importanti sulla politica;
• gli articoli esclusivi e all’archivio;
• un canale diretto di comunicazione con la redazione.
REGALA UN ABBONAMENTO
In questo articolo
Newsletter

Politica di un certo genere

Ogni martedì
In questa newsletter proviamo a capire perché le questioni di genere sono anche una questione politica. Qui un esempio.

Ultimi articoli