Meloni fa confusione sui centri per i rimpatri e non solo

La presidente del Consiglio ha annunciato nuove misure contro l’immigrazione irregolare, ma alcune cose non tornano nelle sue dichiarazioni
ANSA/CIRO FUSCO
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Il 18 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato alcune modifiche al cosiddetto “decreto Sud”, deliberato lo scorso 7 settembre, per potenziare il contrasto all’immigrazione irregolare. Come spiega un comunicato stampa, il governo Meloni ha deciso di estendere fino a 18 mesi il limite massimo di permanenza degli «stranieri non richiedenti asilo» nei centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). In queste strutture, come suggerisce il nome, sono trattenuti gli stranieri in attesa di essere espulsi dal Paese. Il governo vuole poi costruire nuovi Cpr «da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili».

Nella serata prima del Consiglio dei ministri la presidente Giorgia Meloni è stata ospite della trasmissione Dritto e Rovescio su Rete 4, dove ha annunciato (min. 16:21) i nuovi provvedimenti del governo. «Ho mandato un messaggio molto chiaro a tutta l’Africa: “Se tu ti affidi ai trafficanti per violare le leggi italiane, quando arrivi in Italia devi sapere che verrai trattenuto e poi rimpatriato”», ha detto la presidente del Consiglio, che ha ribadito il concetto: «Sappiate che quando arrivate in Italia, venite trattenuti in questi centri, processata la richiesta a tempi record, e se non siete rifugiati dovete essere rimpatriati nel vostro Paese».

Il 15 settembre la stessa Meloni ha rilanciato in un video la proposta del cosiddetto “blocco navale” (difesa in questi giorni da vari esponenti di Fratelli d’Italia), «una missione europea, anche navale se necessario, in accordo con le autorità del Nord Africa, per fermare la partenza dei barconi». «Se entrate illegalmente in Italia, sarete trattenuti e rimpatriati», ha detto la presidente del Consiglio rivolgendosi ai migranti. 

Vediamo, punto per punto, che cosa non torna in queste dichiarazioni fatte da Meloni.

La confusione sui centri per i rimpatri

Partiamo dalla questione più recente, quella sui centri di permanenza per i rimpatri. Dalle parole di Meloni sembra che il piano del governo sia quello di trattenere in questi centri i migranti sbarcati in Italia, rimpatriando chi non è un rifugiato. 

Innanzitutto va chiarito che lo status di rifugiato non è l’unica forma di protezione che può essere concessa a un richiedente asilo. Questo status, insieme alla protezione sussidiaria, è una delle due forme di protezione internazionale che l’Italia può concedere a un richiedente asilo. Per avere un ordine di grandezza, nel 2022 il nostro Paese ha concesso lo status di rifugiato in oltre il 14 per cento delle richieste d’asilo presentate per la prima volta. In un altro 14 per cento dei casi è stata concessa la protezione sussidiaria, mentre in oltre il 20 per cento la cosiddetta “protezione speciale”, che il governo Meloni ha di fatto eliminato con il decreto “Cutro”, approvato a marzo e convertito in legge dal Parlamento due mesi dopo. Il 52 per cento delle richieste d’asilo è stato respinto, percentuale che scende al 28 per cento circa nell’esame degli appelli. Quindi non è corretto dire che se non si riceve lo status di rifugiato, si può essere rimpatriati.

Al di là di questo, un migrante che entra in Italia per presentare una domanda d’asilo può essere privato della libertà e trattenuto nei Cpr? «Qui siamo di fronte a quella che potremmo considerare una zona d’ombra. In base all’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), infatti, nessuna persona può essere privata della sua libertà. Esistono però delle eccezioni: una persona può essere trattenuta se considerata pericolosa o per impedirne l’ingresso illegale nel territorio di uno Stato», ha spiegato a Pagella Politica Irini Papanicolopulu, professoressa di Diritto internazionale presso la SOAS University of London

Il comunicato stampa con cui il governo ha presentato le nuove misure per l’immigrazione parla di estensione dei tempi di permanenza nei Cpr degli «stranieri non richiedenti asilo», ossia di quelli che hanno già fatto domanda e hanno già ricevuto risposta negativa, o che non l’hanno fatta. Dunque parla a una categoria specifica di migranti, e non a tutti i nuovi arrivati, come invece lasciato intendere da Meloni. 

In ogni caso la legge italiana prevede che un richiedente asilo non possa «essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda». Questo principio deriva da una direttiva europea, in base alla quale «gli Stati membri non trattengono una persona per il solo motivo che si tratta di un richiedente» asilo. Esistono comunque alcune possibilità, ampliate dal decreto “Cutro”, che permettono di trattenere nei Cpr un richiedente asilo, in attesa della risposta alla sua domanda d’asilo. Per esempio questo può avvenire «nei limiti dei posti disponibili»: secondo i dati più aggiornati, a ottobre 2022 risultavano esserci in Italia dieci Cpr, con circa 1.400 posti. Finora, nel solo mese di settembre, sono sbarcati sulle coste italiane oltre 15 mila migranti. Al momento non è chiaro né quanti nuovi posti intende creare il governo nei Cpr né con quali tempistiche. Già il decreto “Cutro” aveva previsto la possibilità di costruire nuovi centri, derogando fino al 2025 alle disposizioni di legge, a eccezione di quelle penali, antimafia e dell’Unione europea. 

Un richiedente asilo può essere trattenuto se, oltre a essere ritenuto pericoloso, si pensi possa scappare ed è sprovvisto del passaporto o di un documento simile valido, o se ha mentito sulle proprie generalità. Un migrante può inoltre essere trattenuto solo per «accertare il diritto a entrare» in Italia se proviene da un Paese considerato “sicuro”. A oggi questi Paesi sono 16: ci sono per esempio l’Albania, la Costa d’Avorio, la Tunisia, la Nigeria e il Marocco, ma non Paesi come la Guinea, l’Egitto, il Bangladesh, il Burkina Faso, la Siria, da dove finora è arrivata la maggior parte dei migranti sbarcati nel 2023. 

Varie inchieste giornalistiche hanno mostrato le gravi condizioni in cui si sono trovati a vivere i migranti trattenuti nei Cpr. Questo atteggiamento da parte dello Stato verso i nuovi richiedenti asilo rischia di violare accordi internazionali ratificati dall’Italia. «L’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) stabilisce che “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”», ha sottolineato Papanicolopulu.

Come abbiamo spiegato in passato, la necessità di rimpatriare più immigrati irregolari nei loro Paesi d’origine torna ciclicamente nel dibattito politico italiano. Ma i rimpatri sono procedure parecchio articolate da eseguire e costose, e, fatta eccezione per gli anni della pandemia, i numeri sono più o meno rimasti gli stessi nel tempo, nonostante le promesse dei governi. Uno dei problemi principali riguarda i mancati accordi (o la mancata attuazione degli accordi) con i Paesi di origine dei migranti.

Secondo i dati più aggiornati raccolti dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, nel 2022 sono transitati nei Cpr circa 6.400 migranti. Le persone effettivamente rimpatriate sono state la metà (il 49,4 per cento): il 71 per cento di questi rimpatriati è stato rimandato in Tunisia.
Grafico 1. Motivi di uscita dai Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), anno 2022 – Fonte: Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale
Grafico 1. Motivi di uscita dai Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), anno 2022 – Fonte: Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale

La confusione sul blocco navale

Veniamo adesso alla proposta del blocco navale. Come abbiamo spiegato in passato, è scorretto usare questa espressione e durante la campagna elettorale prima delle elezioni del 25 settembre 2022 l’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Giovanbattista Fazzolari ha ammesso che si tratta di una «scorciatoia semantica». «Parlare di “blocco navale” è improprio: questo provvedimento è previsto dal diritto di guerra e per sua natura non può essere consensuale tra i Paesi coinvolti, in questo caso l’Italia con la Libia o la Tunisia», ha spiegato Papanicolopulu. «Per definizione un blocco navale impedirebbe sia l’ingresso sia l’uscita di tutte le imbarcazioni». 

La proposta di Fratelli d’Italia, sintetizzata da Meloni nel video, sarebbe invece selettiva: riguarderebbe solo i barconi con i migranti a bordo e solo quelli in partenza dal Nord Africa. Nei fatti sarebbe un’interdizione alle partenze fatta in collaborazione con le autorità dei Paesi nordafricani e con l’Unione europea. Al di là della difficile realizzazione di un progetto di questo tipo, il problema principale riguarda il rischio di violare vari accordi internazionali sottoscritti dall’Italia, attraverso i cosiddetti “respingimenti”. 

«Esistono due divieti di respingimento: da un lato c’è quello previsto dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, dall’altro quello che deriva dalla Convenzione sullo statuto dei rifugiati», ha sottolineato Papanicolopulu. L’articolo 7 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, firmato nel 1966, stabilisce infatti che «nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti». In base all’articolo 33 della Convenzione sullo statuto dei rifugiati, siglata nel 1951, «nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche», a meno che un rifugiato non sia considerato un pericolo per la sicurezza del Paese. 

Queste disposizioni sono previste anche da altri trattati internazionali, per esempio dal già citato articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). L’articolo 4 del protocollo n. 4 addizionale alla Cedu specifica inoltre che «le espulsioni collettive di stranieri sono vietate». «Nessuno Stato parte espelle, respinge né estrada una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischia di essere sottoposta a tortura»‚ si legge invece all’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.

Dunque, se l’Italia dovesse respingere, per esempio verso la Libia, i barconi con i migranti che cercano di arrivare nel nostro Paese per chiedere asilo, molto probabilmente violerebbe uno o più di questi articoli. Negli scorsi anni alcune sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno stabilito queste violazioni per fatti commessi durante altri governi.  

Anche la legge italiana contiene disposizioni simili. Il Testo unico sull’immigrazione stabilisce che la polizia di frontiera può respingere «gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti  richiesti», ma questa disposizione non si applica «nei casi previsti dalle  disposizioni vigenti che disciplinano l’asilo politico, il riconoscimento  dello status di rifugiato» oppure «l’adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari».

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