I fatti dietro la promessa: il blocco navale di Fratelli d’Italia

In che cosa consiste la proposta del partito di Giorgia Meloni per fermare gli sbarchi e perché ha diversi limiti
ANSA/Medici Senza Frontiere (MSF)
ANSA/Medici Senza Frontiere (MSF)
In vista delle elezioni del prossimo 25 settembre, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha rilanciato una proposta che da tempo il suo partito difende per gestire l’immigrazione: l’attivazione di un «blocco navale» lungo le coste del Nord Africa per impedire gli sbarchi di immigrati sulle coste italiane.

Questa proposta è criticata da diversi esponenti del centrosinistra, perché considerata incompatibile con il diritto internazionale e di impossibile realizzazione.

Ma che cosa intende davvero con «blocco navale» Fratelli d’Italia? Quanto è realizzabile questa promessa elettorale? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza.

Che cos’è un blocco navale

Il Glossario del diritto del mare, scritto da Fabio Caffio, ufficiale della marina militare in congedo, definisce il «blocco navale» come «una classica misura contemplata dal diritto bellico marittimo, volta a impedire l’entrata o l’uscita di qualsiasi nave dai porti di un belligerante». Il blocco deve essere «formalmente dichiarato e notificato» ai Paesi coinvolti e una volta attivato questo permette di catturare le navi che non rispettano la misura, e di attaccarle nel caso in cui resistano alla cattura. Il Glossario specifica anche che generalmente vengono esclusi dal blocco i «traffici relativi ai beni di prima necessità, come viveri, medicinali e altri aiuti umanitari». In sostanza, quindi, il blocco navale è un atto ostile con cui uno Stato aggredito (in questo caso, l’Italia) impedisce l’entrata e l’uscita delle navi dai porti di un altro Paese (in questo caso la Libia). 

«Non esiste un blocco navale in tempo di pace, perché questo presuppone uno stato di guerra tra due Paesi», ha spiegato a Pagella Politica Irini Papanicolopulu, docente di Diritto internazionale presso l’Università Bicocca di Milano.

La misura pensata da Fratelli d’Italia è però più articolata di un blocco navale inteso in questo senso.

La proposta di Fratelli d’Italia

In un documento pubblicato lo scorso anno, Fratelli d’Italia ha chiarito che il partito non adotta una definizione di “blocco navale” legata a scopi bellici, ma si riferisce più semplicemente a una «interdizione alle partenze fatta in accordo e collaborazione con i libici». Secondo il partito di Meloni, in questo caso il «blocco navale» consisterebbe in «una missione militare europea, realizzata in accordo con le autorità libiche, per impedire ai barconi di immigrati di partire in direzione dell’Italia». 

Questa versione è stata riproposta da Meloni anche nelle ultime settimane, sui social e in alcune interviste. «La nostra proposta di blocco navale è un’iniziativa europea in accordo con le autorità libiche», ha detto (min. 4:40) l’8 agosto Meloni, ospite alla radio Rtl 102.5. «Non è un atto di guerra, ma un’iniziativa coordinata per fermare le partenze».

In sostanza, come spiegato nel documento del 2021, Fratelli d’Italia vorrebbe che l’Ue avviasse delle negoziazioni con i governi libici per «convincerli» a collaborare e attivare un «blocco navale concordato», che impedirebbe ai migranti di partire e quindi di arrivare in Italia.

Un’idea non nuova

Da anni Meloni e Fratelli d’Italia sostengono la necessità di introdurre un blocco navale. Nel 2018, per esempio, durante una discussione alla Camera, Meloni aveva dettagliato la proposta, affermando: «Quello che noi chiediamo è una missione europea per dialogare con i governi libici e concordare un blocco navale al largo delle coste della Libia, l’apertura in territorio libico degli hotspot, la valutazione in territorio africano di chi abbia diritto a essere rifugiato e, poi, la distribuzione equa, nei 27 Paesi dell’Unione europea, dei rifugiati, che è l’unica cosa seria che si può fare per terminare questa emergenza migratoria». 

Negli anni successivi Meloni ha riproposto più volte la necessità per l’Ue di mettere in pratica la misura: nel 2019, commentando la vicenda della nave Sea Watch, nel 2020 e nel 2021, quando da Bruxelles la leader di Fdi aveva definito il blocco navale come «l’unica proposta sensata» per risolvere i problemi dei flussi migratori. 

Di recente, durante la campagna elettorale per le elezioni del prossimo 25 settembre, Meloni ha ribadito che la proposta sostenuta da Fdi ricalca quanto già discusso dall’Unione europea nel 2017: abbiamo verificato, e la questione è più sfumata di come è stata presentata. 

In ogni caso, l’idea di «blocco navale» sostenuta da Fratelli d’Italia sembra avere diversi limiti.

Il problema dell’instabilità in Libia

In primo luogo, stringere accordi tra le istituzioni europee e le autorità libiche sarebbe oggi molto complesso. Da anni la Libia si trova in una situazione di instabilità causata da un conflitto interno, dall’assenza di istituzioni forti e dall’ascesa di forze ispirate dallo Stato islamico. 

«Il primo ostacolo all’attuazione di qualsiasi accordo sta nell’avere un’autorità libica in grado di sottoscrivere e rendere effettivi i patti», ha detto a Pagella Politica Luca Masera, docente di Diritto penale all’Università di Brescia e membro del Consiglio direttivo dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi). Inoltre, gli accordi devono ovviamente essere conformi al diritto internazionale, un elemento non scontato: «Oggi le istituzioni internazionali considerano la situazione in Libia come gravissima e un accordo del genere potrebbe essere in contrasto» con diverse norme, ha spiegato Masera.

Nel suo documento sul tema, Fratelli d’Italia propone una soluzione a questa critica: per dialogare con le autorità libiche, l’Ue dovrebbe puntare sulla propria forza economica e diplomatica, per garantire sostegno a chi decide di collaborare e «ostilità diplomatica e militare» per chi invece non intende farlo. «Difficile credere che davanti a questa alternativa una delle fazioni in campo decida di porsi in contrasto con l’Italia, l’Unione Europea e la Nato», conclude il documento di Fratelli d’Italia. 

In ogni caso, secondo Papanicolopulu, l’Italia (o l’Ue) non potrebbe comunque bloccare totalmente le partenze dai porti nordafricani, anche se ci fosse un accordo con le forze libiche. «Se l’Italia stringesse un accordo con la Libia per bloccare le partenze, compirebbe un atto di complicità in un illecito internazionale», ha detto l’esperta, perché secondo alcuni trattati internazionali – come la Dichiarazione universale dei diritti umani – tutti devono avere il diritto di lasciare un Paese, compreso il proprio. «Impedire a una persona di uscire da un Paese viola trattati vincolanti», ha concluso Papanicolopulu. 

Gli hotspot in Africa e il diritto d’asilo

Ospite a Rtl 102.5, Meloni ha inoltre spiegato che la proposta di blocco navale sostenuta da Fdi prevede tra le altre cose di «aprire gli hotspot in Africa», in modo da valutare direttamente sul posto «chi ha diritto a essere rifugiato». Anche questa possibilità, già presentata da Meloni nel 2018, rischia di essere di difficile attuazione.

«La Costituzione italiana prevede che tutti coloro che non hanno accesso alle libertà democratiche possano richiedere asilo in Italia», ha spiegato Masera a Pagella Politica. «L’idea di trasferire queste pratiche al di fuori dei nostri confini significa far venir meno il diritto d’asilo, come riconosciuto nella nostra tradizione costituzionale». Secondo Masera, non si tratta solo di una questione formale: «Trasferendo la valutazione delle pratiche al di fuori del Paese, vengono meno tutte le garanzie» legate al diritto d’asilo, come la possibilità di fare ricorso. «In questo modo, il diritto diventa una concessione», ha aggiunto Masera.

Inoltre, Papanicolopulu ha ricordato che, in generale, gli hotspot in Libia «non si possono fare perché nel Paese manca il rispetto basilare per i diritti umani», e quindi lasciare consapevolmente i richiedenti asilo in Libia rappresenterebbe una violazione dei loro diritti. «Sarebbe un caso di complicità» con i maltrattamenti, ha detto l’esperta.

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