Non c’è più traccia della legge per controllare l’attività dei lobbisti

Secondo le intenzioni della maggioranza, il testo per regolare l’attività dei rappresentanti di interessi doveva essere presentato entro la fine del 2024, ma è stato rinviato a data da destinarsi 
ANSA/ GIUSEPPE LAMI
ANSA/ GIUSEPPE LAMI
Doveva essere presentato entro la fine del 2024. E invece è stato tutto rimandato, senza una data precisa. Troppo affollato il calendario dei lavori della Commissione Affari costituzionali della Camera, secondo la maggioranza di centrodestra. Per le opposizioni, invece, manca la volontà politica del governo. E così della questione se ne riparlerà più avanti, com’è avvenuto d’altronde in questi anni. Stiamo parlando del testo della proposta di legge per regolare l’attività dei cosiddetti “rappresentanti di interessi”, meglio noti come “lobbisti”. Questo nome deriva da lobby, che in inglese vuol dire “loggia”, ed è usato per indicare chi, pur non avendo incarichi politici, influenza le decisioni politiche promuovendo dentro e fuori le sedi istituzionali gli interessi dei soggetti per cui lavorano. 

La rappresentanza di interessi, è bene ricordarlo, è un’attività lecita e fa parte delle dinamiche democratiche. I lobbisti sono i portatori degli interessi di aziende e realtà di tutti i settori economici nelle sedi istituzionali, per favorire l’approvazione di provvedimenti a favore di un determinato settore. Il problema è che in Italia non esiste una normativa che regoli e controlli questo tipo di attività: tutto dipende dalle singole istituzioni e in generale la trasparenza è scarsa. Per esempio, alla Camera esiste dal 2016 un registro pubblico a cui devono iscriversi tutti i soggetti che svolgono l’attività di rappresentanza di interessi sebbene, come abbiamo spiegato in un altro approfondimento, possa essere aggirato abbastanza facilmente. Al Senato c’è ancora meno trasparenza, dato che non esiste nessun registro pubblico dei lobbisti. I ministeri vanno invece in ordine sparso. In base alle verifiche di Pagella Politica, tra i 15 “ministeri con portafoglio”, ossia che hanno autonomia di spesa, quelli con un registro per la trasparenza sull’attività dei rappresentanti di interessi sono cinque: il Ministero dell’Agricoltura, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministero della Cultura e il Ministero dell’Università e della Ricerca.

Insomma, in Italia non esistono regole chiare per controllare l’attività dei lobbisti, nonostante da anni il Parlamento discuta su come farlo. A marzo del 2023 sembrava arrivata la volta buona per raggiungere questo obiettivo. All’epoca, infatti, il presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera Nazario Pagano (Forza Italia), d’accordo con tutti i gruppi parlamentari, aveva avviato un’indagine conoscitiva per approfondire il tema della rappresentanza di interessi. Le indagini conoscitive sono procedure che permettono alle commissioni di acquisire notizie, informazioni e documentazioni su materie di loro competenza. In concreto, queste indagini consistono di solito in un ciclo di audizioni che può durare molti mesi, al termine del quale viene approvato un documento conclusivo.

All’inizio l’obiettivo di Pagano era di concludere l’indagine sui rappresentanti di interessi in pochi mesi, entro il 30 giugno, per poi presentare il testo della proposta di legge condivisa frutto delle varie audizioni. In realtà le cose sono andate diversamente, dato che le audizioni sono proseguite fino a dicembre del 2023. A marzo 2024 lo stesso Pagano aveva spiegato a Pagella Politica che il documento conclusivo sarebbe stato presentato di lì a breve, ma in realtà è stato discusso e approvato dalla Commissione Affari Costituzionali solo cinque mesi più tardi, tra agosto e settembre.

L’indagine conoscitiva ha coinvolto diversi professori universitari in ambito giuridico e diversi soggetti che svolgono l’attività di lobbying. Nel documento conclusivo approvato il 19 settembre 2024 sono state delineate le linee guida per la scrittura della proposta di legge. Nello specifico il documento conclusivo ha confermato la necessità di istituire un registro nazionale unico dei rappresentanti di interessi che, secondo la maggioranza degli esperti auditi, dovrà essere vigilato dal Consiglio nazionale del lavoro (CNEL). Il CNEL è un organo previsto dalla Costituzione, che svolge un ruolo di consulenza nei confronti del Parlamento e del governo su questioni economiche e di lavoro. Da aprile 2023 il presidente del CNEL è Renato Brunetta, storico esponente di Forza Italia, in passato ministro di vari governi Berlusconi e ministro della Pubblica amministrazione del governo Draghi.

La commissione ingolfata?

A distanza di quasi cinque mesi dall’approvazione del documento conclusivo, però, non c’è traccia della proposta di legge per regolare l’attività dei lobbisti. 

L’intenzione espressa da Pagano a settembre era di fare «una breve consultazione informale di tutti i gruppi» per poi arrivare a presentare un testo condiviso da cui iniziare la discussione in Parlamento «entro la fine dell’anno», cioè del 2024. Questo però non si è avverato e il testo non è ancora stato presentato. Fonti del centrodestra hanno fatto sapere a Pagella Politica che questo ritardo è dovuto a uno slittamento dei tempi causato dalla mole di lavoro in cui è stata impegnata in questi mesi la stessa commissione. Effettivamente, la Commissione Affari costituzionali della Camera, così come quella del Senato, è di solito una delle commissioni con il maggior carico di lavoro. Oltre ad esaminare i progetti di legge di sua competenza la Commissione Affari costituzionali ha infatti una serie di compiti aggiuntivi: tra le altre cose, deve esprimere pareri di legittimità costituzionale sui provvedimenti di altre commissioni, fornire pareri sugli emendamenti di altri progetti di legge e valutare come applicare le sentenze della Corte Costituzionale.

Questi compiti comportano inevitabilmente un rallentamento nell’esame dei vari provvedimenti, che sono comunque tanti. Ad oggi, secondo le verifiche di Pagella Politica, alla Commissione Affari Costituzionali della Camera è stato assegnato l’esame di 330 proposte di legge sulle 2.251 finora presentate in questo ramo del Parlamento. Si tratta della commissione della Camera con il numero più alto di proposte assegnate, dietro alla Commissione Giustizia (319) e la Commissione Affari sociali (281). Più nel dettaglio, negli ultimi mesi la Commissione Affari costituzionali è stata impegnata principalmente di tre provvedimenti voluti dal governo Meloni: il disegno di legge di riforma costituzionale per la separazione delle carriere dei magistrati, il cui esame è iniziato a luglio del 2024 e si è concluso a dicembre; in precedenza, tra febbraio e aprile ha esaminato il disegno di legge sulla riforma dell’autonomia differenziata, mentre tra febbraio e agosto ha esaminato il disegno di legge sulla sicurezza. Con tutta probabilità quest’ultimo disegno di legge tornerà presto alla Camera, e dovrà passare di nuovo per la Commissione Affari costituzionali allungando i tempi per gli altri provvedimenti. Al momento il testo è all’esame del Senato e, come hanno confermato fonti di Forza Italia, sarà quasi sicuramente modificato. Per questo, in seguito dovrà tornare alla Camera per ultimo via libera. 

Secondo alcuni esponenti delle opposizioni, l’ingolfamento dei lavori della commissione è una scusa, dato che la maggioranza che sostiene il governo Meloni non avrebbe davvero interesse a risolvere la questione dei lobbisti e approvare una legge che regolamenti una volta per tutte la questione. «Come Movimento 5 Stelle abbiamo presentato tempo fa una proposta di legge per regolare l’attività dei lobbisti, ma finora è stato tutto un po’ insabbiato anche attraverso questa indagine conoscitiva, che ha inevitabilmente dilatato i tempi. Ma non mi stupisco del tutto, dato che non vedo grande interesse per la questione da parte del governo», ha detto per esempio a Pagella Politica la deputata del Movimento 5 Stelle Carmela Auriemma, firmataria insieme al presidente del partito Giuseppe Conte e ad altri colleghi di una proposta di legge sul tema dei rappresentanti di interesse. In questa legislatura, oltre alla proposta del Movimento 5 Stelle, sono state presentate alla Camera altre quattro proposte per regolare l’attività dei lobbisti: una di Italia Viva, una di Azione, una di Alleanza Verdi-Sinistra e una da parte della deputata Isabella De Monte, eletta con Azione passata a Forza Italia (dopo aver presentato la proposta). Al Senato, la situazione è simile. Qui sono stati presentati altri quattro disegni di legge sul tema: due del PD, uno di Italia Viva e uno del Movimento 5 Stelle. Nessuna proposta è stata avanzata invece dai partiti di centrodestra che sostengono il governo Meloni.

Una questione aperta 

Al di là della questione della volontà politica, va detto che ci sono dei dettagli da chiarire rispetto a una proposta di legge sull’attività dei lobbisti. Come si legge nella stessa indagine conoscitiva,  uno dei punti più discussi durante le audizioni è stato se prevedere o meno l’obbligatorietà di iscrizione al nuovo registro nazionale dei rappresentanti di interesse. 

La maggior parte dei soggetti che si occupano di lobbying ha espresso la necessità di rendere obbligatoria l’iscrizione al registro, prevedendo controlli e sanzioni per chi non si iscrive ed esercita comunque l’attività di rappresentante di interessi nelle sedi istituzionali. «Per noi è fondamentale l’iscrizione al registro e controlli stringenti. La presenza di un registro a cui ci si debba per forza iscrivere è una garanzia in più di affidabilità per noi stessi: è come una sorta di biglietto da visita che certifica che facciamo il nostro lavoro in modo trasparente e corretto», ha spiegato a Pagella Politica Pietro Vivone, segretario nazionale del Sindacato Rappresentanti Interessi Parlamentari (SIRIP). Il tema dei controlli su chi svolge l’attività di rappresentanza di interessi è in discussione da tempo. Come avevamo spiegato in un altro approfondimento, alla Camera pur essendo attivo un registro dei rappresentanti di interesse mancano spesso i controlli e non è escluso che i lobbisti possano entrare con altri tipi di accrediti, come per esempio quello da collaboratore parlamentare. 

Per alcuni professori universitari, invece, sarebbe meglio adottare un sistema “premiale” per l’iscrizione al registro, e non imporne l’iscrizione in via obbligatoria. Questo sistema è stato sostenuto nel corso dell’indagine conoscitiva alla Camera da Silvia Sassi, professoressa di diritto comparato all’Università di Firenze. «Insisterei per un sistema premiale simile a quello previsto dall’Unione europea. Cioè una legislazione che subordina determinate attività di rappresentanza di interessi alla registrazione; in questo modo si incentiverebbe e si renderebbe più trasparente questa attività. Queste misure potrebbero essere eguali o differire da organo a organo in ragione delle specificità del processo di elaborazione della norma o della politica da assumere», ha detto Sassi nella sua audizione. Nello specifico, il Parlamento europeo ha un registro dei rappresentanti di interesse, che se registrati possono godere di determinati privilegi, quali per esempio la possibilità stessa di accedere al Parlamento europeo. In questi anni, il sistema adottato dall’Ue è stato messo in discussione dopo il cosiddetto “Qatargate”, un’inchiesta in cui sono stati coinvolti alcuni parlamentari europei accusati di aver ricevuto denaro e regali in cambio della difesa degli interessi del Qatar.

Una storia di rinvii

Il dibattito sulla regolazione dell’attività dei rappresentanti di interesse è in corso da anni, senza successo. 

Nel 2013 il governo Letta aveva iniziato l’esame preliminare di un disegno di legge per regolare il settore. L’esame preliminare è la fase in cui il governo esamina per la prima volta un provvedimento, riservandosi poi di approvarlo in una fase successiva, ossia l’esame definitivo. A luglio 2013 il disegno di legge sui lobbisti non superò l’esame preliminare del governo, complice una serie di dubbi sulla legge. 

Negli ultimi anni sono state presentate varie proposte di legge in Parlamento, in particolare dai partiti di centrosinistra e dal Movimento 5 Stelle. Nella scorsa legislatura la Camera era riuscita ad approvare una proposta frutto dell’unione di tre testi: uno a prima firma di Marianna Madia (Partito Democratico), uno di Francesco Silvestri (Movimento 5 Stelle) e uno di Silvia Fregolent (Italia Viva). Tra le altre cose, il testo della proposta approvata prevedeva la creazione di un unico registro nazionale dei rappresentanti di interessi, con all’interno l’agenda dettagliata degli incontri intrattenuti con i politici. Il compito di sorvegliare il registro sarebbe stato affidato all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), un organismo indipendente che vigila sul rispetto delle regole di mercato in Italia. Dopo essere stata approvata alla Camera, la proposta è passata al Senato, ma non è stata approvata in via definitiva, complice la fine anticipata della legislatura.

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