La Lega usa una stima poco attendibile per sminuire l’evasione fiscale

L’ex sottosegretario Siri dice che il fenomeno illegale vale solo 15 miliardi di euro, ma su questo numero ci sono parecchi dubbi
ANSA/MOURAD BALTI TOUATI
ANSA/MOURAD BALTI TOUATI
Il 31 gennaio l’ex sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri (Lega) ha criticato su X le dichiarazioni del viceministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo (Fratelli d’Italia), che in un’audizione parlamentare ha dichiarato che «l’evasione fiscale è come un macigno, tipo il terrorismo». Secondo Siri, questo è solo uno «slogan», che «scalda i cuori ideologici di chi ha sempre scambiato la giusta lotta all’evasione con un’indiscriminata caccia alle streghe». Il direttore della Scuola politica della Lega ha invitato il viceministro Leo a leggere «l’approfondito studio del professor Pietro Boria, docente di Diritto tributario all’Università La Sapienza di Roma», secondo cui «i dati sull’evasione fiscale sciorinati fino a oggi sono totalmente privi di fondamento». «La dimensione dell’evasione fiscale in Italia non supera i 15 miliardi all’anno», ha aggiunto Siri. Questo numero è molto più basso dei oltre 80 miliardi di euro di evasione fiscale e contributiva stimata di recente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

L’esponente della Lega ha ripetuto che l’evasione fiscale in Italia vale 15 miliardi in un’intervista pubblicata il 1° febbraio dal Corriere della Sera e condivisa dalla Lega sulle sue pagine social. Da dove arriva la cifra citata da Siri? È davvero più attendibile delle stime fatte dal ministero? In breve la risposta a quest’ultima domanda è no.

La fonte di Siri

Partiamo dalla fonte citata da Siri. Lo «studio» di cui parla l’ex sottosegretario alle Infrastrutture non è stato pubblicato su una rivista scientifica e non è stato sottoposto alla cosiddetta peer review, la pratica con cui gli studi dei ricercatori sono controllati da altri ricercatori esperti nello stesso settore. Con tutta probabilità lo studio di cui parla Siri è in realtà un libro, curato da Boria e pubblicato nel 2022 da Sapienza Università Editrice, la casa editrice dell’università in cui insegna il professore di Diritto tributario. I dati usati per l’analisi contenuta nel libro non sono pubblicamente disponibili e quindi non si possono replicare i risultati, come invece avverrebbe con un articolo sottoposto a peer review. 

Si possono però fare alcune considerazioni partendo dalle dichiarazioni fatte negli scorsi mesi dallo stesso Boria, che in passato ha partecipato (min. 15:26) a eventi della Lega difendendo l’introduzione di misure come la flat tax e la “pace fiscale”, promosse dal partito di Matteo Salvini.

In un’intervista pubblicata a luglio 2023 da La Verità, e ricondivisa dalla Lega sulle sue pagine social, Boria ha criticato la metodologia con cui l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) stima ogni anno il valore dell’evasione fiscale in Italia. L’Upb è un organismo indipendente che vigila sui conti pubblici italiani, ma a differenza di quanto dichiarato da Boria non realizza le stime sull’evasione fiscale. Il rapporto annuale sull’evasione fiscale (il cui titolo completo è  “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”) è realizzato ogni anno da una commissione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, composta da 15 esperti in varie materie, dal fisco alla statistica. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ricordiamo, è guidato dal ministro Giancarlo Giorgetti, storico esponente della Lega.

Come si stima l’evasione fiscale

Al di là di questa imprecisione, addentriamoci nella tesi di Boria. Secondo il professore della Sapienza, la metodologia top down usata dal Ministero dell’Economia (non dall’Upb) per stimare l’evasione fiscale è imprecisa e quindi sovrastima di parecchio la portata di questo fenomeno illegale. Applicando una metodologia bottom up, sostiene Boria, si otterrebbe una stima dell’evasione fiscale più attendibile e più bassa. Ma qual è la differenza tra le due metodologie citate?

Come dice il nome, il metodo top down (in italiano “dall’alto verso il basso”) parte dagli aggregati economici nazionali, come il Prodotto interno lordo (Pil), e stima il cosiddetto tax gap, ossia la differenza tra le tasse che lo Stato dovrebbe in teoria incassare e quelle che incassa effettivamente. Semplificando, con il metodo top down si stima quale dovrebbe essere il gettito fiscale di un Paese, dati i suoi risultati economici, e si confronta questa stima con il gettito effettivo. Uno dei vantaggi principali di questo metodo è che è più semplice di altri metodi usati per stimare fenomeni come l’evasione fiscale. Tra le altre cose, il metodo top down è particolarmente efficace per indagare la tassazione normale, mentre ha alcuni limiti nello studio di regimi speciali di tassazione, come il regime forfettario per le partite Iva.

Il metodo bottom up (in italiano “dal basso verso l’alto”) ha un approccio opposto al metodo top down: parte dai dati particolari per arrivare a una stima del valore generale dell’evasione. Nello specifico, si prende un campione di soggetti (siano essi individui o imprese) e, partendo dalla propensione all’evasione del gruppo selezionato, si stima la propensione a evadere le tasse di tutti i contribuenti. Per certi versi questo metodo è simile a quello usato nei sondaggi: si prende un campione rappresentativo della popolazione e, in base alle risposte date da quel gruppo, si stima quali sono le tendenze di un intero territorio.

«Il metodo top down è il più utilizzato nella stima del tax gap. Si usa per esempio nelle grandi istituzioni come il Fondo monetario internazionale o la Commissione europea. Se le stime per l’Italia sono sbagliate, dunque, significa che lo sono anche quelle fatte per la maggior parte dei Paesi del mondo», ha spiegato a Pagella Politica l’economista Alessandro Santoro, presidente della commissione del Ministero dell’Economia che scrive la relazione sull’evasione fiscale. «La metodologia bottom up è sicuramente utilizzabile, ma richiede la possibilità di accedere ai dati degli accertamenti utilizzando sofisticate tecniche di analisi statistico-econometrica. Per esempio nella nostra relazione questa tecnica è utilizzata per stimare l’evasione dell’Irpef delle partite Iva in regime forfettario, e per confermare le stime top down sull’evasione dell’Iva».

Il consenso scientifico internazionale sul metodo top down rafforza la validità dei dati presentati ogni anno nella relazione del Ministero dell’Economia. Lo conferma anche il fatto che le stime sull’evasione di alcune imposte fatte da altri soggetti, come quelle sull’Iva di Eurostat, sono simili a quelle contenute nella relazione, soprattutto per quanto riguarda le tendenze nel tempo.

I problemi del metodo bottom up

A sostegno della sua tesi, nell’intervista con La Verità Boria ha detto che nel Regno Unito, «Paese con dati molto simili a noi quanto a popolazione e Pil», il governo stima un’evasione fiscale di «circa 30 miliardi» usando proprio il metodo bottom up. Secondo Boria, questo dato è più vicino ai 15 miliardi di euro di evasione in Italia, stimata da lui, piuttosto che ai «100 miliardi» stimati dal Ministero dell’Economia. Questo dimostrerebbe che la sua stima è più attendibile. Vediamo che cosa non torna in questa dichiarazione.

Secondo il governo britannico, nel Regno Unito l’evasione fiscale ha un valore pari a circa 36 miliardi di sterline, ossia circa 42 miliardi di euro (e non 30 miliardi di euro). Il Ministero dell’Economia italiano stima invece che il tax gap in Italia valga poco più di 73 miliardi di euro, che salgono a circa 84 miliardi considerando anche l’evasione dei contributi. 

È vero che per arrivare alla stima di 36 miliardi nel Regno Unito è stato usato il metodo bottom up, ma il governo britannico, come spiega il suo sito ufficiale, usa anche il metodo top down. «Nel Regno Unito l’analisi bottom up applica tecniche econometriche ai dati individuali relativi agli accertamenti, i cui esiti vengono proiettati applicando metodi statistici per renderli rappresentativi dell’intera popolazione e, quindi, ottenendo risultati piuttosto accurati nella stima dell’evasione. A oggi non risulta possibile per un ricercatore esterno applicare questo metodo ai dati italiani», ha sottolineato Santoro.

Boria ha spiegato di aver usato i dati degli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate e di averli elaborati con il metodo bottom up. Ma questi dati sono disponibili solo a livello aggregato, ossia considerano i risultati medi basati sul totale del campione, non le informazioni relative a ciascun soggetto che ne fa parte. In più c’è un altro problema: questi dati non sono rappresentativi della totalità dei contribuenti. Gli accertamenti fiscali infatti non sono svolti pensando alla rappresentatività, per esempio effettuando una certa percentuale di controlli sulle piccole imprese perché la loro quota sul totale è pari a quella percentuale. Vengono seguite altre logiche. Il rischio è di commettere il cosiddetto selection bias, l’errore che deriva dal fatto che i dati del campione raccolto non sempre sono selezionati in modo da essere rappresentativi. Prendendo di nuovo come paragone i sondaggi politici, è come se i sondaggisti facessero le loro stime intervistando solo gli studenti universitari, che sono una categoria non rappresentativa dell’intera popolazione italiana. Si può provare a risolvere questo problema con alcuni metodi statistici, anche se con più difficoltà rispetto a quando si hanno a disposizione microdati. 

Ricapitolando: la credibilità della fonte citata da Siri non è paragonabile alle stime sull’evasione realizzate dal Ministero dell’Economia, che si basano su metodi condivisi dalla comunità scientifica internazionale e che sono utilizzati in tutto il mondo. Per quanto, trattandosi di stime, ci sia sempre un margine di errore, sarebbe sbagliato pensare che il dato di Boria sia tanto affidabile quanto quello del Ministero dell’Economia, la cui metodologia, come ampiamente visto, è nettamente più solida e affidabile

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