La flat tax delle partite Iva ha ridotto l’evasione?

Secondo la nuova relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la misura sembra aver avuto un effetto positivo, ma anche uno negativo
Ansa
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Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato la nuova “Relazione sull’economia sommersa e sull’evasione fiscale e contributiva”, un documento che riporta, tra le altre cose, il gettito fiscale perso a causa dell’evasione. I dati più aggiornati arrivano fino al 2020 e riportano una riduzione dell’evasione, che in quell’anno si è attestata intorno agli 87 miliardi di euro, contro i 99 miliardi di euro nel 2019. Le imposte non versate al fisco sono in calo ogni anno almeno dal 2017, ma la riduzione così marcata nel 2020 è probabilmente dovuta anche allo stop per lunghi periodi dell’attività economica a causa della pandemia di Covid-19.

Nella parte finale della relazione sono riportati gli studi di valutazione di alcune politiche fiscali introdotte negli ultimi anni. Una di queste analisi si occupa del regime forfettario, la cosiddetta “flat tax” per le partite Iva, che è stato ampliato e semplificato soprattutto a partire dal 2019, quando il primo governo Conte lo ha reso disponibile a tutti i titolari di partita Iva con ricavi fino a 65 mila euro (il governo Meloni ha poi alzato questa soglia a 85 mila euro). 

Lo studio prova a capire quali sono stati gli effetti dell’introduzione di questo regime sulla propensione dei lavoratori autonomi a evadere. In breve l’analisi mostra che sembra esserci stato un effetto positivo, ma anche uno negativo.

Come funziona il regime forfettario

Il regime forfettario è un metodo di tassazione agevolato che si applica ad alcuni lavoratori autonomi. È stato introdotto nel 2015 e per accedervi era necessario non aver superato una certa soglia di ricavi nell’anno precedente l’adesione al regime, oltre che rispettare una soglia massima di ricavi annui e una serie di altri adempimenti. Oggi l’accesso a questo regime è stato semplificato: la principale barriera per rientrarvi, infatti, è la soglia dei ricavi, fissata a 85 mila euro.

Il regime forfettario prevede un’imposta sostitutiva dell’Irpef (la principale imposta sul reddito di autonomi e piccole imprese), con aliquota agevolata al 15 per cento (pari al 5 per cento per i primi cinque anni in alcuni casi), che si applica non al totale dei ricavi, ma solo al reddito. Per una normale partita Iva, il reddito si determina sottraendo ai ricavi (ossia al totale del denaro incassato) i costi detraibili, ossia tutte le spese che si sono sostenute per la propria attività (per esempio l’utilizzo di mezzi di trasporto, l’acquisto di prodotti e di materie prime). Nel regime forfettario tutti questi costi non sono detraibili dai ricavi, ma esiste una sola detrazione “a forfait”, che stima la parte di ricavi dedicata alle spese. Per esempio per un professionista con un coefficiente di redditività al 67 per cento si assumono costi pari al 33 per cento dei ricavi, per cui l’imposta si applicherà solo al 67 per cento dei ricavi.

Questo regime è molto conveniente, soprattutto per chi guadagna di più. Secondo un’analisi de lavoce.info, imposte e contributi hanno un peso più o meno simile tra dipendenti e forfettari con entrate per 20 mila euro, mentre un autonomo in regime forfettario con ricavi per 60 mila euro risparmia circa 12 mila euro l’anno rispetto a un dipendente nelle stesse condizioni.

Gli effetti dell’estensione del regime forfettario

La decisione di imporre un regime agevolato dovrebbe avere due effetti. Il primo è quello di aumentare il numero di contribuenti e la quantità di ricavi che dichiarano, dato che la tassazione agevolata ridurrebbe il “vantaggio” di evadere (insomma, perché rischiare quando le tasse da pagare sono relativamente poche?). Il secondo effetto, invece, è negativo: gli autonomi che hanno un fatturato di poco superiore alla soglia potrebbero scegliere di non dichiarare una parte dei ricavi per poter rientrare nel regime fiscale agevolato.

L’analisi del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha confermato l’esistenza di questi due effetti. Lo studio si concentra sui dati fino al 2021, per cui soprattutto sull’innalzamento della soglia per il regime forfettario a chi incassa ricavi fino a 65 mila euro. Chi stava al di sotto della soglia precedente all’estensione introdotta dal primo governo Conte, che per la maggior parte delle partite Iva era fissata a 30 mila euro, ha iniziato a dichiarare ricavi più alti, mentre è calato il numero di partite Iva che dichiaravano poco più di 65 mila euro. 

La Figura 1 mostra proprio questa variazione: ciascuna colonna nei due grafici mostra il numero di contribuenti che dichiarano una certa quantità di ricavi. Con l’ampliamento del regime forfettario l’altezza delle colonne con ricavi più bassi (più verso sinistra) si riduce, mentre cresce quella di tutte le colonne fino a 65 mila euro, dove si concentra una quantità anomala di contribuenti. Secondo lo studio del ministero, il numero di contribuenti che dichiara poco meno di 65 mila euro era superiore di una cifra compresa tra il 52 e il 69 per cento rispetto a un ipotetico scenario in cui non ci fosse stata tassazione agevolata. Questo dato cresce nel tempo: i contribuenti “in eccesso” erano l’85 per cento nel 2020 e il 102 per cento nel 2021.
Figura 1 – Distribuzione dei contribuenti per ricavi (le linee verticali indicano le soglie di 30 e 65 mila euro per il regime forfettario) – Fonte: Mef
Figura 1 – Distribuzione dei contribuenti per ricavi (le linee verticali indicano le soglie di 30 e 65 mila euro per il regime forfettario) – Fonte: Mef
Ma quale dei due effetti prevale? L’aumento dei piccoli contribuenti che sono incentivati a far crescere il proprio fatturato (e a dichiarare una parte dell’evasione) o la riduzione dei ricavi dichiarati da chi incassa di più? Secondo lo studio, sono più i contribuenti che “crescono” rispetto a quelli che “nascondono” i ricavi per rientrare nel forfettario. Non ci sono però informazioni precise sul gettito: i guadagni dall’aumento dei ricavi dei “piccoli” sono abbastanza per compensare l’evasione dei “grandi”? Ci sono almeno due elementi per dire che non è così.

Il primo è il costo dell’introduzione del forfettario: per l’aumento della soglia di ricavi da 65 a 85 mila euro a partire dal 2023, il governo ha previsto una perdita di gettito superiore al miliardo di euro. Sembra quindi il governo stesso ad ammettere che la misura porti a un maggiore costo per le casse pubbliche rispetto ai benefici.

Un secondo elemento è dato dalla relazione sull’evasione: non sono disponibili dati sulla variazione di gettito a partire dal 2019, ma ci sono alcuni dati sulla propensione all’evasione di chi aveva avuto accesso illecitamente al regime forfettario tra il 2012 (quando era in vigore il regime dei minimi, simile al forfettario) e il 2016 (secondo anno di introduzione del forfettario). Secondo i dati della relazione, nel 2016 i contribuenti che rientravano illecitamente nel regime dei minimi o nel forfettario erano circa 260 mila su 701 mila, il 37 per cento del totale, per una perdita di gettito potenziale di 792 milioni di euro, quasi due terzi dell’imposta che si sarebbe ipoteticamente incassata in assenza di evasione fiscale.

Tiriamo le somme

Ricapitolando, il regime forfettario ha avuto effetti positivi: ha fatto aumentare il numero di contribuenti che dichiarano di più partendo da una soglia bassa, sia rendendo meno conveniente evadere, sia incentivando la crescita delle imprese. Anche se non si evade, si potrebbe decidere di stare sotto la soglia per rimanere in tassazione agevolata, mantenendo piccola la dimensione aziendale. 

C’è però un effetto negativo rilevante: i contribuenti più “grandi” sono incentivati a nascondere parte dei ricavi per rientrare al di sotto della soglia di agevolazione, aumentando l’evasione fiscale. In termini di numero di contribuenti, sembra prevalere l’effetto negativo delle piccole realtà rispetto a quello negativo delle grandi, ma la maggiore tassazione ipotetica per le partite Iva più grandi che si perde con questa evasione sembra avere un peso maggiore rispetto al gettito che arriva da quelle più piccole, portando a un costo ulteriore sulle casse pubbliche.

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