Sul nuovo condono la Lega non è stata proprio di parola

Salvini aveva annunciato una misura per 16 milioni di contribuenti, ma la nuova rottamazione riguarda meno persone e costa più di quanto incassa 
Pagella Politica
Per giorni, vari esponenti della Lega – tra cui il suo leader Matteo Salvini – hanno presentato la nuova rottamazione delle cartelle come un aiuto non agli evasori, ma a 16 milioni di cittadini strozzati dai debiti con il fisco. 

In realtà, se il testo del disegno di legge di Bilancio per il 2026 non verrà modificato in Parlamento, la misura riguarderà un numero molto più ristretto di contribuenti e, contrariamente agli annunci, costerà allo Stato più di quanto farà incassare. Per capire perché, bisogna partire dalla natura stessa del provvedimento.

Perché è un condono

Innanzitutto va chiarito che la nuova “pace fiscale” – come la definisce la Lega – è a tutti gli effetti un condono. 

Secondo le definizioni internazionali, un condono è una misura temporanea che consente ai contribuenti di estinguere debiti fiscali pregressi pagando solo una parte delle somme dovute – spesso senza sanzioni o interessi – in cambio della rinuncia a ulteriori accertamenti o procedimenti.

Il nuovo disegno di legge di Bilancio prevede che chi ha debiti maturati tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2023 (non tutti, come si vedrà) possa saldarli in un’unica soluzione entro luglio 2026 o in 54 rate bimestrali (cioè in nove anni), versando l’imposta e un tasso di interesse, ma senza le sanzioni. Restano invece dovute le spese di notifica e di procedura, che non rientrano nella cancellazione.

In questo senso, la misura rientra pienamente nella definizione di condono, perché permette di chiudere debiti già accertati a condizioni più favorevoli rispetto alla legge ordinaria. È comunque meno generosa di altri condoni del passato, visto che non prevede il pagamento parziale dell’imposta.

Questa rottamazione quinquies – come viene chiamata dai giornali perché è la quinta del suo genere – segue altre misure simili varate anche da governi precedenti, come quelli guidati da Matteo Renzi e Mario Draghi.

Chi dichiara non evade?

La Lega ha descritto la misura come un sostegno ai contribuenti onesti in difficoltà per cause indipendenti dalla propria volontà. 

Il 17 ottobre, nella conferenza stampa di presentazione della manovra, Salvini aveva affermato che avrebbe riguardato «tutte le cartelle esattoriali dell’Agenzia delle Entrate fino a tutto il 2023». «È una platea di 16 milioni di italiani, escludendo ovviamente coloro che non hanno mai fatto la dichiarazione dei redditi e includendo tutti coloro che per il COVID, per le guerre, per il caro energia, per un divorzio e un litigio finito male, per un infortunio, per un problema di salute o per un mancato pagamento di un cliente o dello Stato, anche non sono riusciti, pur dichiarando a versare tutto il dovuto», aveva aggiunto il leader della Lega. 

Il numero dei 16 milioni corrisponde più o meno al numero di comuni cittadini che, secondo i dati più aggiornati dell’Agenzia delle Entrate, hanno un debito pendente con il fisco.

Questo racconto lascia intendere che la misura aiuti solo chi è finito nei guai senza colpa, ma la realtà è più complessa. Una parte consistente dell’evasione, infatti, non avviene tramite chi non dichiara nulla, bensì tramite chi dichiara meno del dovuto: la cosiddetta “sottodichiarazione”. In questo modo il contribuente paga meno tasse pur restando formalmente “in regola”. Dichiarare zero redditi, invece, sarebbe più rischioso e facilmente individuabile dal fisco.

Non a caso, nella relazione annuale sull’economia sommersa del Ministero dell’Economia e delle Finanze non si parla del numero di evasori in senso stretto, ma di propensione all’evasione. La maggior parte di chi evade, infatti, lo fa in parte: secondo i dati più recenti, nel 2021 autonomi e piccole imprese hanno evaso il 66,8 per cento dell’IRPEF e il 13,6 per cento dell’IVA dovute. Più della metà degli oltre 170 miliardi di euro dell’economia sommersa – cioè l’insieme delle attività economiche che producono reddito ma sfuggono in tutto o in parte al fisco e ai contributi previdenziali – deriva dalla sottodichiarazione, il 40 per cento dal lavoro irregolare e solo l’8 per cento da altre cause.

Chi resta dentro e chi resta fuori

Nella nuova pace fiscale, il governo ha escluso espressamente i debiti «richiesti a seguito di accertamento», cioè quelli emersi dopo controlli che hanno scoperto redditi nascosti o imposte non dichiarate. In teoria, quindi, la misura non si applica agli evasori già scoperti. Ma resta accessibile a chi ha dichiarato meno del dovuto senza essere stato individuato: una categoria formalmente “onesta”, che però continua a evadere una parte delle tasse e potrà comunque beneficiare degli sconti della rottamazione.

Questo aspetto è significativo anche da un punto di vista politico. Nelle proposte di legge presentate nei mesi scorsi dalla Lega in Senato e alla Camera, l’esclusione dei debiti da accertamento non era prevista: segno che, in origine, il partito intendeva includere anche chi era già stato accusato di evadere. Solo nella versione approvata dal governo la misura è stata ristretta.

Chiarito chi può accedere alla sanatoria, resta da valutare quanto costerà e quali effetti produrrà sui conti pubblici.

L’impatto sui conti

La Ragioneria generale dello Stato – l’organo del Ministero dell’Economia che valuta gli effetti finanziari delle norme – ha stimato nella relazione tecnica quanto potrà entrare nelle casse pubbliche. Il calcolo si basa sui debiti fiscali e contributivi accumulati tra il 2000 e il 2023 e sui tassi di adesione osservati nell’ultima rottamazione (la quater), più alti per i debiti recenti e più bassi per quelli più vecchi.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, lo Stato vanta crediti che si possono recuperare per circa 568 miliardi di euro, ma l’esclusione dei debiti derivanti da accertamenti riduce la platea potenziale della nuova sanatoria a circa 393 miliardi. Su questa somma, però, solo una piccola parte sarà effettivamente recuperata: la Ragioneria stima adesioni per poco più del 3 per cento, pari a circa 13 miliardi di euro. Lo sconto su sanzioni e interessi ridurrà il gettito netto a 9 miliardi tra il 2026 e il 2035, meno dei quasi 10 miliardi che lo Stato avrebbe incassato con la riscossione ordinaria.

Il risultato finale è una perdita per le finanze pubbliche di circa 800 milioni di euro, con un effetto negativo concentrato nei primi anni e un saldo che, pur migliorando nel tempo, non riesce a recuperare le perdite iniziali. Anche questi numeri smentiscono le dichiarazioni di vari esponenti della Lega, che nelle scorse settimane avevano assicurato che lo Stato avrebbe guadagnato dalla rottamazione.

Nelle prossime settimane il testo del disegno di legge di Bilancio per il 2026 sarà esaminato dalla Commissione Bilancio del Senato, dove potrà essere modificato. Poi dovrà ricevere il via libera dell’aula ed entro la fine dell’anno alla Camera.

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