La Russa sbaglia: per l’autonomia differenziata non serve un referendum costituzionale

Il presidente del Senato confonde il disegno di legge presentato dal governo con le riforme che modificano la Costituzione: le due cose sono diverse
ANSA/GIUSEPPE LAMI
ANSA/GIUSEPPE LAMI
Il 18 maggio, in un’intervista con il Corriere della Sera, il presidente del Senato Ignazio La Russa ha commentato la pubblicazione, avvenuta due giorni prima, di un dossier del Servizio del bilancio del Senato sul disegno di legge sull’autonomia differenziata, ora all’esame del Parlamento. Tra le altre cose, nel testo – ancora disponibile con la dicitura «bozza provvisoria non verificata» – si legge che la riforma del governo per dare maggiori poteri ad alcune regioni potrebbe mettere in difficoltà le «regioni più povere». La Russa ha dichiarato che il testo, realizzato da un ufficio del Senato che analizza i testi presentati in Parlamento, è stato pubblicato per «puro errore»

Nell’intervista al Corriere della Sera il presidente del Senato ha smentito che «ci siano contrasti interni al governo sulle riforme», tra cui quella sull’autonomia differenziata. E su quest’ultima La Russa ha anche sottolineato che «scatterebbe» un referendum se «la riforma, pur essendo stata approvata nella seconda votazione a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, non avesse ottenuto il voto favorevole di almeno i due terzi». «Sono certo che tutti auspicano una maggioranza amplissima che eviterebbe ogni possibilità referendaria», ha aggiunto il presidente del Senato, che però ha fatto confusione sulla questione. La procedura indicata da La Russa, infatti, non vale per la legge che introdurrebbe l’autonomia differenziata.

Il testo all’esame del Senato

Al momento nella Commissione Affari costituzionali del Senato è all’esame il disegno di legge, presentato a marzo dal governo, con le «disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario». L’obiettivo del governo è quello di concedere maggiori poteri alle regioni su determinate competenze, attuando quanto previsto dall’articolo 116 della Costituzione. Le regioni che ne fanno richiesta possono ricevere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», ma per ottenerle devono raggiungere un’intesa con lo Stato,  approvata con il voto della maggioranza assoluta dei suoi membri (ossia la metà più uno).

Il disegno di legge ora all’esame del Senato (poi il testo dovrà passare alla Camera) traccia il percorso da seguire per attuare l’autonomia differenziata. Ma a differenza di quanto sostiene La Russa, questo disegno di legge non modifica la Costituzione. Il presidente del Senato ha dichiarato che se il testo non sarà approvato con il voto di almeno due terzi dell’aula, scatterà la possibilità di organizzare un referendum. Le cose però non stanno così.

Le regole dei referendum costituzionali

In base all’articolo 138 della Costituzione, le proposte di legge che modificano la Costituzione devono essere approvate due volte da entrambe le camere, nello stesso testo, con due votazioni a distanza di almeno tre mesi. Nella seconda votazione le proposte di riforma costituzionale devono essere approvate a maggioranza assoluta, ossia con il voto favorevole della metà più uno dei membri dell’aula. Se nella seconda votazione una riforma costituzionale non è approvata con il voto favorevole dei due terzi dei membri dell’aula, può essere indetto un referendum su richiesta di almeno 500 mila elettori o cinque consigli regionali. Per il referendum costituzionale, detto anche “confermativo”, non è richiesta la partecipazione di un numero minimo di elettori (il cosiddetto “quorum”) e la riforma sarebbe approvata se ottenesse il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti al voto.

Come anticipato, però, il disegno di legge per l’autonomia differenziata non modifica la Costituzione: dunque la procedura indicata da La Russa non vale per questo testo. Dopo che la legge sull’autonomia differenziata sarà eventualmente approvata, inizierà un lungo percorso in cui, tra le altre cose, lo Stato e le singole regioni dovranno trovare un’intesa sulle competenze su cui concedere più poteri. Nel frattempo una cabina di regia, insediatasi ad aprile, dovrà definire i cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni” (Lep), ossia quei servizi e prestazioni che lo Stato deve fornire su tutto il territorio nazionale, indipendentemente dal maggiore o minore grado di autonomia di ciascuna regione.

Il possibile referendum abrogativo

Chiarito che il disegno di legge sull’autonomia differenziata non è una riforma costituzionale, ciò non esclude che in futuro non si possa tentare di organizzare un referendum sul testo. In base all’articolo 75 della Costituzione, se almeno 500 mila elettori o cinque consigli regionali ne fanno richiesta, può essere chiesto un referendum abrogativo, che serve per cancellare una legge o una parte di essa. A fine marzo il sindaco di Pesaro e presidente delle Autonomie locali italiane Matteo Ricci (Partito democratico) ha annunciato: «Costituiremo comitati per opporci al cammino di questo disegno di legge e se sarà approvato trasformeremo questi comitati in un comitato referendario per abrogarla».

In base a una legge del 1970, una volta comunicato il quesito referendario alla Corte di Cassazione, i promotori di un eventuale referendum contro l’autonomia differenziata avranno tre mesi di tempo per raccogliere le firme. Una volta raggiunta la soglia delle 500 mila firme, quest’ultime andranno consegnate alla Corte di Cassazione in un periodo compreso tra il 1° gennaio e il 30 settembre. Entro il 10 febbraio successivo arriverà poi il giudizio della Corte costituzionale sull’ammissibilità o meno del quesito. In caso di risposta positiva il referendum sarà organizzato tra il 15 aprile e il 15 giugno. In questo caso, affinché il voto sia valido, dovrà essere raggiunto il quorum, ossia la partecipazione al referendum di almeno la metà degli aventi diritto al voto. 

Tutto dipenderà quindi da quando sarà approvato il disegno di legge in Parlamento. Il ministro per gli Affari regionali e le autonomie locali Roberto Calderoli (Lega) ha più volte detto che il suo obiettivo è far approvare l’autonomia differenziata in Parlamento entro la fine del 2023. Se questa scadenza fosse rispettata e se nel 2024 fosse organizzata una raccolta firme per il referendum abrogativo, in ogni caso caso quest’ultimo non potrebbe essere organizzato prima del 2025.

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