Le posizioni dei partiti sull’autonomia differenziata

Il governo ha tenuto un incontro per superare le divisioni tra i partiti, che ci sono anche nell’opposizione
ANSA
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Nella serata di mercoledì 18 gennaio si è tenuta a Palazzo Chigi una riunione tra i principali esponenti del governo per parlare di riforme istituzionali. Al vertice hanno partecipato, tra gli altri, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i due vicepresidenti Antonio Tajani e Matteo Salvini, che come spiega una nota del governo hanno «definito il percorso tecnico e politico per arrivare, in una delle prossime sedute del Consiglio dei ministri, all’approvazione preliminare del disegno di legge sull’autonomia differenziata».

L’obiettivo del governo è quello di concedere maggiori poteri alle regioni su determinate competenze, attuando quanto previsto dall’articolo 116 della Costituzione. Le regioni che ne fanno richiesta possono ricevere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», ma per ottenerle devono raggiungere un’intesa con lo Stato, i cui dettagli devono essere contenuti in una legge che deve essere approvata a maggioranza assoluta dai membri della Camera e del Senato.

Verso la fine del 2017 le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna si sono mosse ufficialmente per attivare la procedura per chiedere maggiore autonomia allo Stato. Successivamente, dopo alcuni accordi preliminari siglati durante il governo Gentiloni, le trattative si sono di fatto arenate, ma ora il governo di centrodestra ha promesso nel suo programma di riattivare il percorso dell’autonomia differenziata. Sul tema le posizioni dei partiti al governo e quelle dei partiti all’opposizione, però, non coincidono.

Le posizioni al governo

Il partito più favorevole alla concessione di più autonomia alle regioni è la Lega di Matteo Salvini. Il partito esprime anche il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, che nelle scorse settimane ha presentato una bozza del disegno di legge per dare più poteri alle regioni, molto criticata da esponenti dell’opposizione e non solo. Fanno parte della Lega anche i due presidenti delle regioni Lombardia e Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia, due forti sostenitori dell’autonomia regionale.

Più cauti sono gli altri due partiti della maggioranza di governo. La concessione di più autonomia alle regioni è presente nel programma elettorale di Forza Italia, il cui vicepresidente Tajani, intervistato il 19 gennaio ad Agorà su Rai 3, ha detto (min. 9:30) che all’inizio aveva «qualche riserva, non sul principio, ma su alcune formulazioni» della proposta di Calderoli, superate poi con l’incontro a Palazzo Chigi. Lo stesso giorno, in un’intervista con Il Fatto Quotidiano, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia) ha criticato l’atteggiamento tenuto finora da Calderoli, ribadendo quanto già detto nelle scorse settimane da alcuni suoi colleghi di partito: che il processo dell’autonomia differenziata debba andare in parallelo con il percorso di riforma per introdurre il presidenzialismo in Italia.

Le posizioni all’opposizione

I partiti che sono all’opposizione del governo Meloni non hanno una posizione unitaria per quanto riguarda l’autonomia differenziata. 

Lo schieramento più contrario è l’Alleanza Verdi-Sinistra, formata da Europa verde e Sinistra italiana. Nel loro programma elettorale, in vista delle elezioni del 25 settembre, i due partiti hanno scritto che per un’«Italia giusta» servono «due parole magiche: legalità e progressività, ma anche no all’autonomia differenziata». 

Nella mattina di giovedì 19 gennaio, dopo aver incontrato la ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati, il leader della coalizione tra Azione e Italia viva Carlo Calenda ha criticato il governo, dicendo che si sta muovendo in «modo confuso». «Riteniamo che non debbano esserci fughe in avanti sull’autonomia senza discutere anche del federalismo. Il problema non è il Sud ma il caos amministrativo se competenze come politica commerciale, rapporti con l’Ue, reti elettriche e del gas, istruzione passassero alle regioni», ha scritto Calenda su Facebook. «Siamo favorevoli a delegare alcune competenze ma è anche necessario ricentralizzarne altre. Penso per esempio al caos generato dalle diverse normative ambientali».

Nel suo programma elettorale il Partito democratico si è detto favorevole a «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni» solo se prima saranno definiti i cosiddetti “Livelli essenziali di prestazioni” «concernenti i diritti civili e sociali» e il potenziamento dei fondi per colmare eventuali differenze tra le regioni con più e meno autonomia. «Sono comunque esclusi dalla differenziazione delle competenze regionali i grandi pilastri della cittadinanza, a partire dall’istruzione», si legge nel programma. Questa posizione è difesa in queste settimane dal candidato alla segreteria Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, una delle regioni che ha avviato il percorso per ottenere più autonomia. 

Per quanto riguarda il Movimento 5 stelle, in passato il suo presidente Giuseppe Conte, quando era a capo del governo con la Lega, si era detto favorevole all’autonomia, dichiarando a luglio 2019 in una lettera alle regioni Lombardia e Veneto: «Per me l’autonomia non è una bandiera regionale da sventolare, ma una riforma che farà bene a voi e all’Italia intera». Nelle ultime settimane però vari esponenti del Movimento 5 stelle hanno criticato l’accordo proposto da Calderoli.

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