Il 14 marzo Enrico Letta è stato eletto nuovo segretario del Partito democratico dall’Assemblea nazionale.
Prima del voto dei delegati – qui abbiamo spiegato come si elegge il segretario nel Pd – Letta ha tenuto un discorso di più di un’ora su quella che sarà la sua linea alla guida del Pd, elencando una serie di obiettivi per il partito e per il Paese.
Vediamo insieme quali sono stati i passaggi più significativi del suo discorso (di cui abbiamo anche fatto un fact-checking).
Ripensare il Partito democratico
«So che non vi serve un nuovo segretario, l’ennesimo, vi serve un nuovo Pd».
Enrico Letta è tornato a Roma da Parigi dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti, che aveva lasciato il ruolo dicendo di «vergognarsi» di un partito che parla solo di «poltrone e primarie». Il momento ha fotografato l’immagine di un Pd diviso dalle correnti e senza una direzione da percorrere.
Di conseguenza, una parte significativa del discorso di Letta da segretario in pectore è stato dedicato a come ripensare il partito: «So che non vi serve un nuovo segretario, l’ennesimo, vi serve un nuovo Pd», sono state le parole dell’ex premier. «Dobbiamo essere progressisti nei valori, – ha aggiunto– riformisti nel metodo e radicali nei nostri comportamenti».
Il neosegretario ha avanzato alcune proposte organizzative per i prossimi mesi: nei circoli si discuteranno i punti programmatici da lui definiti in questo primo discorso e, quando la pandemia lo permetterà, saranno avviate le «agorà», una serie di incontri nelle piazze con «interni ed esterni» al partito.
Letta chiede al Pd di diventare un partito «capace di stare all’opposizione», superando la vocazione “governista” a tutti i costi, quella stessa vocazione che ha portato i democratici a ritrovarsi negli esecutivi sempre in risposta a un’emergenza, anche senza vincere le elezioni: «Non siamo la protezione civile della politica, rischiamo di diventare il partito del potere».
L’ex premier ha criticato apertamente la degenerazione delle correnti all’interno del Pd: «Sono stato uomo di corrente per tutta la vita – sono state le sue parole – ma così non funziona. Sto per diventare segretario di questo partito, ho cercato di capire la geografia interna delle nostre correnti, e forse non l’ho ancora capita: se non l’ho capita io, fidatevi che c’è un problema».
Il nuovo Pd di Letta punta soprattutto ai giovani: «Dobbiamo essere il partito che fa parlare i giovani e non che parla dei giovani. Solo se coinvolgeremo i giovani potremo dire di aver vinto. Se non ce la farò avrò perso la mia sfida qui».
Per fare questo, Letta vuole lanciare «un’università democratica», una riedizione aggiornata (e online) delle scuole di partito. Ma soprattutto, ha rivolto due proposte specifiche al Paese e non solo al partito.
Il voto ai sedicenni e lo ius soli
«Voglio fare una battaglia sul voto ai 16enni, anche se è una battaglia divisiva, complicata, ma dobbiamo allargare il peso dei giovani nella società».
Sono i due punti più discussi dell’intervento del neosegretario in queste ore: lo ius soli e il diritto di voto ai sedicenni.
Lo ius soli in senso stretto è il metodo di acquisizione della cittadinanza in base al quale chiunque nasca sul territorio di un determinato Stato diviene cittadino di quello Stato.
Il tentativo di introdurre una riforma della cittadinanza in Italia più recente ha attraversato tre governi di centrosinistra dal 2013 al 2018, proprio a partire dal governo Letta, poi Renzi e Gentiloni.
La legge avrebbe introdotto due nuovi percorsi per l’acquisizione della cittadinanza: un cosiddetto “ius soli temperato”, che avrebbe permesso a un bambino nato in Italia di ricevere la cittadinanza nel caso in cui almeno uno dei genitori fosse legalmente nel paese da almeno 5 anni. Gli stranieri non provenienti dall’Unione europea, in più, avrebbero dovuto superare un test di conoscenza della lingua italiana e dimostrare di avere un alloggio e un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale. La seconda strada era quella del cosiddetto ius culturae: i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni avrebbero potuto chiedere la cittadinanza dopo il completamento di almeno un ciclo scolastico (elementari o medie).
Dopo l’approvazione alla Camera nel 2015, durante il governo di Matteo Renzi, il progetto di legge è sparito per due anni, per poi naufragare definitivamente il 23 dicembre 2017, alla fine del governo Gentiloni e della legislatura, in un’aula semivuota del Senato i cui non si raggiunse nemmeno il numero legale necessario a rendere valida la seduta.
L’estensione del diritto di voto ai sedicenni è una riforma costituzionale che Enrico Letta promuove da anni. In un’intervista a Repubblica, a settembre 2019, la spiegava così. «È un modo per dire a quei giovani che abbiamo fotografato nelle piazze, lodando i loro slogan e il loro entusiasmo: vi prendiamo sul serio e riconosciamo che esiste un problema di sottorappresentazione delle vostre idee e dei vostri interessi».
Intanto, è ancora arenata alla Camera la riforma costituzionale che porterebbe da 25 a 18 anni l’età richiesta per eleggere i senatori. Non se ne parla più da ottobre, quando l’iter si è bloccato con l’emergere dei contrasti all’interno della maggioranza che avrebbero infine portato – a gennaio – alla caduta del secondo governo Conte e alla nascita del nuovo governo Draghi.
Le donne nel Pd
«Sulla rappresentanza delle donne abbiamo un problema. Lo stesso fatto che sia qui io e non una segretaria donna dimostra che esiste un problema. Sarà al centro della mia azione».
Il Partito democratico è stato l’unico fra i grandi partiti a non esprimere una ministra all’interno del governo Draghi,accendendo l’indignazione delle donne del partito. Anche dopo le dimissioni di Zingaretti, tuttavia, il partito non è stato in grado di esprimere una leadership femminile. Letta ha affrontato la questione e ha ammesso di esserne parte: «Lo stesso fatto che sia qui io e non una segretaria donna dimostra che esiste un problema».
Il primo banco di prova sul tema sarà l’elezione di una nuova segreteria. Nonostante la parità di genere negli organi di rappresentanza sia imposta dallo Statuto del Pd, la segreteria di Zingaretti non aveva rispettato rigorosamente questa indicazione.
Le alleanze: il modello Prodi
«Dobbiamo costruire un nuovo centrosinistra, su iniziativa e leadership del Pd».
La leadership di Zingaretti è stata fortemente contestata per la linea scelta nei confronti dell’alleanza con il Movimento 5 stelle, valutata dai critici come una perdita di identità e di autonomia da parte del Pd. Il tema era dunque fra i passaggi più attesi nel discorso di Letta.
Letta ha confermato la prospettiva di costruire un campo ampio, di centrosinistra: «Dobbiamo pensare che abbiamo vinto e governato quando abbiamo fatto coalizione. Nel 1996 e nel 2006, eravamo guidati da Prodi». Per questo motivo, il neosegretario ha annunciato che incontrerà tutti i leader, da Giuseppe Conte nella veste di nuova guida al Movimento 5 stelle a Matteo Renzi, che da segretario Pd lo defenestrò da Palazzo Chigi e ora è a capo di Italia viva.
L’ambizione del Pd, però, secondo Letta, dev’essere quella di «guidare» questa coalizione, non farsi guidare (accusa avanzata da alcuni alla linea Bettini-Zingaretti).
Il rapporto con il governo Draghi
«Noi siamo il motore del governo Draghi»
In queste settimane, il Partito democratico, pur considerato il più “compatibile” con la linea politica proposta dal governo guidato da Mario Draghi, è sembrato a tratti riluttante nei confronti del nuovo esecutivo, in cui spesso è suonata più forte la voce del centrodestra della Lega e di Forza Italia.
Letta ha sottolineato un’inversione di tendenza («Noi siamo il motore del governo Draghi») e ha sfidato il partito di Matteo Salvini: «È il nostro governo, è la Lega a dover spiegare perché l’appoggia».
L’anima e il cacciavite
«Dobbiamo mettere insieme l’anima e il cacciavite».
Il nuovo segretario del Pd Enrico Letta ha voluto sintetizzare con un’immagine il suo manifesto per il partito: l’anima e il cacciavite. Dunque da una parte i valori ideali, dall’altra parte il senso di concretezza – trovare l’incastro giusto – per poterli realizzare.
Letta ha associato la frase a due personalità citate più volte nel suo discorso. Da un parte Jacques Delors, politico ed economista francese, ex presidente della Commissione europea e punto di riferimento dell’europeismo. Dall’altra Romano Prodi, padre nobile del Partito democratico (e da questo tradito, al pari di Letta), ma soprattutto promotore di un centrosinistra inteso come alleanza larga e inclusiva.
Economia
Il fact-checking di Giorgia Meloni ad Atreju