L’appuntamento decisivo per il futuro prossimo del Pd sarà l’Assemblea nazionale convocata per il 14 marzo. Più la data si avvicina, più intensamente si susseguono le voci di un possibile ritorno in scena dell’ex presidente del Consiglio Enrico Letta come guida della segreteria dem.
Per capire cosa accadrà nei prossimi giorni, bisogna rispondere ad alcune domande: come vengono scelti i segretari del Pd? Perché alcuni passano dalle primarie e altri no?
Il Partito democratico ha una complessa macchina di democrazia interna. Prima di arrivare all’elezione del segretario, è necessario conoscerne gli organi principali.
Un partito strutturato come una democrazia parlamentare
L’organizzazione interna del Partito democratico riflette un po’ l’assetto istituzionale di una repubblica parlamentare. Vediamo quali sono gli organi del partito:
– Assemblea nazionale. È il “parlamentino” del Pd. Non tanto piccolo, a dire il vero. Ne fanno parte: 600 rappresentanti eletti, con liste collegate direttamente alle candidature, quando si sceglie un segretario nazionale alle primarie; tutti i segretari e gli ex segretari nazionali e locali, gli ex presidenti del Consiglio iscritti al Pd, la portavoce della Conferenza nazionale delle donne, i coordinatori Pd delle ripartizioni estero, il segretario dei Giovani Democratici; cento tra deputati, senatori ed europarlamentari; i sindaci delle città metropolitane, dei comuni capoluoghi di provincia e di regione e i presidenti di regione iscritti e in carica. Il numero totale insomma è variabile.
Caratteristica più importante dell’Assemblea nazionale: può sfiduciare il segretario con un voto a maggioranza assoluta e ricopre un ruolo fondamentale in caso di dimissioni, come vedremo fra poco. Ha un presidente, che è anche il presidente del partito. Oggi la presidente è Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto.
– Direzione nazionale. In un certo senso, è un altro “parlamentino”, ma in versione ristretta. Ha 124 membri eletti fra i componenti dell’Assemblea nazionale, rappresentanti locali ed esteri. È l’organo con il quale il partito conferma le proprie scelte politiche: la Direzione si riunisce, chi ne fa parte può iscriversi a parlare e alla fine ci sono le conclusioni del segretario e il voto su eventuali mozioni (anche solo per approvare o rifiutare l’intervento e dunque la linea proposta dal segretario). Un esempio concreto e recente: quando il Pd ha dovuto decidere se entrare a far parte del governo Draghi, la decisione è stata formalmente approvata dalla Direzione.
– La segreteria. È come se fosse il “governo” del partito o, in altri termini, “il consiglio dei ministri”: «è l’organo collegiale che collabora con il segretario ed ha funzioni esecutive» (art. 10 dello Statuto Pd). Ognuno dei componenti ha un ambito di competenza specifico.
– Il segretario. È l’equivalente del “capo del governo”: rappresenta il partito, «ne esprime la leadership elettorale ed istituzionale, l’indirizzo politico sulla base» del “programma” con cui si è fatto eleggere segretario. Secondo lo Statuto (art. 5), il segretario del Pd è anche automaticamente il candidato premier (in caso di elezioni politiche o formazione di un nuovo governo), a meno che non sia lui o lei a proporre un altro nome alla Direzione nazionale.
Il mandato dell’Assemblea nazionale e del segretario dura quattro anni (art.8 dello Statuto). Ma nella storia del Partito democratico non è mai accaduto che un segretario arrivasse alla scadenza naturale. Tutti gli uomini che hanno guidato il Pd (perché sempre di uomini si è trattato) hanno lasciato con le dimissioni anticipate. Così come è appena successo con Nicola Zingaretti. In questi casi, le strade percorribili sono essenzialmente due.
Che cosa succede dopo le dimissioni di un segretario
Visto che è sempre stato questo il caso, partiamo dalle dimissioni del segretario. E vediamo quindi cosa accadrà il 14 marzo quando si riunirà l’Assemblea nazionale.
Le possibilità in campo sono due (Schema 1):
1. Subito l’elezione di nuovo segretario: Dopo le dimissioni del segretario, l’Assemblea nazionale può eleggere un nuovo segretario per il resto del mandato (in questo caso fino al 2023), se emerge una candidatura votata dalla maggioranza assoluta dei componenti.
È quello che potrebbe accadere domenica 14 marzo con Enrico Letta (se l’ex premier accettasse davvero di essere candidato). Le candidature devono essere supportate da un certo numero di iscritti e di componenti dell’Assemblea uscente.
2. Verso il congresso e le primarie: Nel caso in cui invece non ci siano candidature o queste non raggiungano la quota di voti prevista, si va allo scioglimento dell’Assemblea e si apre la fase congressuale per l’elezione di una nuova Assemblea e di un nuovo segretario.
Ecco, che cos’è il congresso? A scapito del nome singolare, il congresso non è un evento unico, concentrato magari in una giornata, bensì un percorso a tappe. Molto articolato.
Un’altra nota di chiarimento: il congresso, nello Statuto del Partito democratico fino al 2019 esisteva solo in relazione alla scelta di un nuovo segretario. Dal 2019, invece, è stata introdotta la possibile di un congresso straordinario, il congresso «per tesi»: in questo caso si tratterebbe di una conferenza programmatica in cui il Partito discute e mette ai voti la linea politica per i mesi a venire, senza ridefinire la leadership. Anche in questi giorni si parla di tenere un “congresso tematico” (sarebbe parte dell’accordo tra Zingaretti e Letta perché quest’ultimo accetti il passaggio di testimone). Finora, infatti, un congresso «per tesi» non si è mai tenuto, sarebbe un inedito.
Spesso, va detto, quando un esponente del Pd «chiede il congresso» sta anche implicitamente mettendo in discussione la figura del segretario in carica.
Vediamo come si sviluppa il congresso per rinnovare l’Assemblea ed eleggere un nuovo segretario.
Schema 1: Che cosa succede quando un segretario Pd si dimette
Le fasi del congresso: dai circoli alle primarie
Ogni congresso ha un proprio regolamento (qui quello del 2019) e un’apposita commissione congressuale per la gestione operativa di tutti i passaggi, entrambi votati dall’Assemblea uscente. Secondo lo Statuto, il congresso prevede sempre e comunque due fasi (Schema 1):
Prima fase: È dedicata ai temi. Vengono presentati documenti programmatici che devono essere supportati da un numero minimo di componenti dell’Assemblea nazionale o della Direzione e, con loro, da un numero minimo di iscritti. Gli iscritti sono tutti coloro che hanno la tessera del partito e sono chiamati, successivamente, a votare questi documenti nei circoli. Alla fine di questa fase, l’Assemblea nazionale (semplifichiamo molto) assume i testi più votati come base del confronto per la seconda fase.
Seconda fase: È la fase dedicata al voto, a sua volta diviso in più passaggi. Innanzitutto si raccolgono le candidature. Per essere valide devono essere sottoscritte da: almeno il 20 per cento dei componenti dell’Assemblea nazionale uscente o da un numero di iscritti compreso tra 4.000 e 5.000 di almeno dodici regioni diverse e con minimo 100 firme per regione.
Le candidature vengono prima votate dagli iscritti (quindi, ricordiamolo, i tesserati) nei circoli. I due candidati più votati vanno alle primarie, aperte non più ai soli iscritti ma a tutti gli «elettori», secondo la definizione dello Statuto dem (che non coincide con chi ha diritto di voto alle elezioni politiche in Italia): cittadine e cittadini italiani, cittadini Ue residenti in Italia, extracomunitari con permesso di soggiorno, iscritti e non iscritti al Partito Democratico (art.4). Viene eletto segretario chi ha ottenuto la maggioranza dei voti.
A ogni candidatura è annessa una lista di nomi per l’Assemblea nazionale e i seggi vengono distribuiti proporzionalmente alle percentuali ottenute dai candidati segretari. E in realtà, dal punto di vista formale, la proclamazione del segretario avviene in base al numero di seggi – e quindi di “delegati” – ottenuti all’interno dell’Assemblea nazionale.
Prima della modifica dello Statuto a novembre 2019, i candidati ammessi alle primarie erano tre.
La complessa macchina della democrazia interna del Pd non è certo agile. Tuttavia mette in luce un aspetto (che avrete sentito spesso nel dibattito giornalistico e politico): il Pd è un partito “scalabile” o, detto in altri termini, con una leadership “contendibile”. È dunque questa una delle ragioni per cui fra i dem le correnti sono così importanti: organizzarsi in gruppi serve a spingere il partito in una direzione politica anziché un’altra, verso l’uno o l’altro leader.