Enrico Letta ha sciolto la riserva con un video su Twitter e ha accettato di candidarsi al ruolo di segretario del Pd: «Lunedì scorso non avrei mai immaginato di essere qui – sono state le sue parole – per candidarmi alla guida di quel partito che ho contribuito a fondare e che oggi vive una crisi profonda. Lo faccio per amore della politica e passione per i valori democratici».
La candidatura di Letta è stata sollecitata in questi giorni da alcuni fra i maggiorenti del partito: il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni, il ministro della Cultura Dario Franceschini e lo stesso segretario uscente Nicola Zingaretti.
Letta dovrebbe essere ufficialmente eletto domenica dall’Assemblea nazionale del Pd – abbiamo spiegato qui qual è la procedura – e ci si aspetta che sia più che altro un passaggio formale: sul suo nome c’è il via libera di tutte le correnti del Pd.
Inizialmente, Letta si era tirato fuori dai giochi: «Con sorpresa ho letto il mio nome sui giornali come possibile nuovo segretario del Pd –scriveva il 7 marzo su Twitter – Quel che penso è che l’Assemblea tutta debba chiedere a Nicola Zingaretti di riprendere la leadership». Posizione a cui aggiungeva una motivazione personale, non irrilevante: «Peraltro io faccio un’altra vita e un altro mestiere».
Fino a questo momento, infatti, Enrico Letta ha presieduto la prestigiosa Scuola di Affari Internazionali dell’università Science Po a Parigi, dove è arrivato come professore nel 2014, dopo la fine della sua esperienza come presidente del Consiglio in Italia – e per effetto della “sfiducia” del suo stesso partito (lo vedremo a breve).
Ma chi è Enrico Letta e che tipo di ruolo avuto nella storia del Partito democratico? Vediamo i dettagli.
Dal Partito popolare al Pd: biografia (politica) di Enrico Letta
Pisano, 54 anni, Enrico Letta rivendica un «percorso umano e formativo all’insegna dell’Europa», già dalle scuole dell’obbligo a Strasburgo. Si è successivamente laureato a Pisa, dove ha anche conseguito un dottorato in Diritto delle comunità europee alla Scuola Superiore Sant’Anna.
A 25 anni era già presidente dei Giovani del Partito Popolare europeo, erede della tradizione democristiana. E infatti, politicamente, Enrico Letta è stato molto legato a Beniamino Andreatta, uno degli esponenti principali della sinistra Dc. Ad Andreatta – del quale è stato discepolo prediletto quand’era ricercatore all’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione – Letta ha intitolato anche la Scuola di politiche fondata nel 2015.
Nel 1995, ha seguito Romano Prodi nell’Ulivo, quando, sotto la guida di Rocco Buttiglione, il Partito popolare italiano si è spaccato e un’altra parte ha abbracciato l’alleanza con Silvio Berlusconi. Nel 2006, con Prodi a Palazzo Chigi, Letta è stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Ha una parentela illustre – e un po’ ingombrante – nella politica italiana. Lo zio è Gianni Letta, consigliere fidato di Silvio Berlusconi, pontiere per antonomasia in ogni stagione. Zio e nipote hanno militato su fronti opposti, ma con un tratto comune, secondo le cronache politiche: un certo gusto per la sobrietà e una buona predisposizione al dialogo che sarebbero valse al più giovane, Enrico, un governo di larghe intese.
Dopo aver fatto parte della Margherita, è stato fra i fondatori del Partito democratico, candidandosi alle primarie poi vinte da Walter Veltroni il 14 ottobre 2007. Per il Pd Letta è stato vicesegretario – proprio nell’era Veltroni – europarlamentare e deputato. Ma soprattutto, presidente del Consiglio. Una storia finita male.
L’esperienza amara alla presidenza del Consiglio
Alle elezioni politiche del 24 febbraio 2013, il Partito democratico guadagnò una «non vittoria», espressione celebre di Pier Luigi Bersani, allora segretario dem e candidato del centrosinistra.
Infatti, la sua coalizione ottenne nella tornata elettorale un vantaggio minimo, nell’ordine dello zero virgola: circa il 29,6 per cento dei voti, contro il quasi 29,2 per cento del centrodestra e il 25,6 del Movimento 5 stelle.
Davanti alla situazione di stallo, Pier Luigi Bersani tentò, senza successo, di formare un governo anche con il Movimento 5 stelle, da cui ricevette un deciso “no” in streaming, dicendo addio anche alle possibilità di riuscire a formare un esecutivo sotto la sua guida.
Poco dopo il presidente della Repubblica Napolitano conferì a Enrico Letta l’incarico di formare un esecutivo di larghe intese, di cui facevano parte il Partito democratico, il Popolo delle libertà, l’Unione di centro e Scelta civica.
Il governo di Letta giurò al Quirinale il 23 aprile 2013, sotto il cattivo auspicio di una sparatoria che avvenne contemporaneamente nelle vicinanze di Palazzo Chigi.
Durò meno di un anno la presidenza di Letta, ovvero fino a quando Matteo Renzi, appena diventato segretario Pd, ne sancì bruscamente la fine.
Il 17 gennaio 2014, ospite da Daria Bignardi alle Invasioni barbariche, in risposta al sospetto che volesse scalzare Letta alla presidenza del Consiglio, Renzi lanciò l’hashtag #enricostaisereno («Nessuno ti vuol fregare il posto»).
Un mese dopo, il 13 gennaio 2014, la Direzione nazionale del Pd “sfiduciò” il proprio presidente del Consiglio, decretando «la necessità e l’urgenza di aprire una fase nuova, con un nuovo esecutivo». Il giorno dopo Enrico Letta si dimise. Il 17 febbraio, Renzi ricevette dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il mandato per la formazione di un nuovo governo.
La cacciata di Letta non fu opera solo dell’ex sindaco di Firenze, che anzi trovò largo supporto nel partito. Fra gli altri, spinse per il cambiamento anche Roberto Speranza, allora capogruppo Pd, oggi ministro della Salute e coordinatore nazionale di un altro partito, Articolo 1.
Il 22 febbraio, il passaggio di consegne fra Letta e Renzi – la famosa cerimonia della campanella – fu gelido. Una stretta di mano veloce, il premier uscente – defenestrato dal suo partito – non guardò mai in faccia il segretario del Pd che si apprestava a prendere il suo posto a Palazzo Chigi.
Da quel momento, l’allontanamento della politica italiana, ma mai dalla politica. Letta – abbiamo visto – dal 2014 è stato prima professore e poi rettore a Science Po a Parigi, ha fondato in Italia una scuola politica per i ragazzi. Ha fatto della formazione dei giovani il suo primo argomento politico e nel 2019 ha anche scritto un libro sul tema, «Ho imparato».
Conclusa la stagione renziana, a marzo 2019 ha ripreso la tessera del Pd e ha votato Nicola Zingaretti come guida della segreteria dem.
Oggi si prepara a prenderne il testimone, chiamato a “salvare” quello stesso partito che nel 2014 lo tradì, cacciandolo da Palazzo Chigi.
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