Non è vero che l’Italia ha gli stipendi più bassi d’Europa

Lo si sente ripetere spesso, ma i numeri dicono altro. Il problema principale è che crescono poco 
ANSA
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Una delle affermazioni scorrette più ripetute dai politici all’opposizione è che «l’Italia ha gli stipendi più bassi d’Europa». Lo ha detto di recente il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, durante la manifestazione contro il riarmo organizzata a Roma il 5 aprile. Nei mesi scorsi ha fatto la stessa dichiarazione anche la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein. 

È vero che da anni l’Italia ha un problema di bassa crescita dei salari, ma è scorretto sostenere che i lavoratori italiani guadagnino meno di tutti in Europa.

La classifica dei salari lordi

Per capire in che posizione si trova l’Italia, bisogna prima chiarire di che tipo di salario si parla. Ci riferiamo ai salari nominali o a quelli reali, corretti per l’inflazione? Guardiamo ai valori mensili, orari o annuali? E teniamo conto del costo della vita?

Partiamo dai salari lordi nominali, cioè quelli che indicano quanto guadagna effettivamente un lavoratore, senza considerare l’inflazione e le tasse. Secondo i dati Eurostat più aggiornati, relativi al 2022, la retribuzione oraria mediana in Italia è di 13,05 euro lordi. Mediana significa che metà dei lavoratori guadagna meno di questa cifra, l’altra metà di più. Questo dato include il costo totale del lavoro per l’impresa, quindi anche i contributi previdenziali.

Come mostra il grafico, l’Italia si colloca appena sotto la media dell’Unione europea e della zona euro. Tra i grandi Paesi Ue, supera solo la Spagna e fa peggio di Francia e Germania. In cima alla classifica c’è la Svizzera, in fondo l’Albania.

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La classifica dei salari netti

La classifica dei salari lordi, però, non dice tutto: in Italia la tassazione sul lavoro è tra le più alte d’Europa. Come cambia la situazione se si considerano gli stipendi netti, cioè quelli effettivamente incassati dai lavoratori? Qui le comparazioni diventano più complesse, perché la tassazione varia in base a numerosi fattori: il livello di reddito, la composizione del nucleo familiare, la presenza di figli, e così via.

Prendiamo i dati Eurostat più aggiornati, relativi al 2023 e a un lavoratore single, senza figli, che percepisce il salario medio nazionale. In questo scenario, il salario netto annuo in Italia è di circa 24.200 euro. Anche qui l’Italia si colloca sotto la media europea, ma sopra la Spagna e altri Paesi con economie minori. Rimane però ben distante da Francia e Germania, e ancora di più dai Paesi del Nord Europa o dalla Svizzera.
Insomma, anche considerando il netto, l’Italia non è fanalino di coda in Europa, come invece lasciano intendere Conte e Schlein.

La classifica sul costo della vita

Un altro fattore da considerare è il costo della vita. Per esempio, in Bulgaria lo stipendio netto annuo è pari a poco più di un terzo di quello italiano. Ma questo significa davvero che i lavoratori bulgari vivono con un terzo del benessere degli italiani? Ovviamente no: in Bulgaria il costo della vita è più basso, e questo migliora il potere d’acquisto dei salari locali.

Per tenere conto di queste differenze, Eurostat usa un indicatore chiamato “standard di potere d’acquisto”, abbreviato in PPS, dall’inglese purchasing power standard, che permette di fare confronti più realistici tra i Paesi. I PPS sono un’unità di misura artificiale, creata per confrontare il potere d’acquisto di vari Paesi. Senza entrare troppo nei dettagli, in teoria con un PPS si compra la stessa quantità di beni e servizi in ogni Paese. 

Se si analizzano i salari, sia lordi orari sia netti annuali, convertiti in PPS, l’Italia non risulta in fondo alla classifica. In generale, gli stipendi italiani si collocano nella fascia medio-alta tra i Paesi dell’Europa meridionale e orientale, ma sono tra i più bassi rispetto ai Paesi più avanzati dell’Europa Nord-occidentale.
Insomma, da qualunque dimensione li osserviamo, gli stipendi italiani restano i migliori tra i Paesi che si trovano nella parte meridionale e orientale del continente, mentre sono i peggiori tra quelli dei Paesi più avanzati, come la Francia, la Germania e i Paesi del Nord Europa. Dunque, dire che l’Italia ha gli «stipendi più bassi d’Europa» è scorretto, a meno di voler restringere la definizione di “Europa” solo a Paesi come Germania, Francia, Paesi Bassi o Danimarca.
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La bassa crescita

Il fatto che l’Italia non sia il Paese con gli stipendi più bassi del continente non significa che tutto va bene. Il problema principale, infatti, è la scarsa crescita dei salari negli ultimi decenni. Dal 2000 al 2023, i salari netti annui dei lavoratori single in Italia sono aumentati molto meno rispetto a quelli dei tre principali Paesi Ue (Germania, Francia e Spagna). Dopo la pandemia di COVID-19, questo divario si è ulteriormente ampliato.

Il dato diventa ancora più grave se si guarda ai salari reali: in questo caso, usiamo i dati dell’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), che permettono di fare un confronto più approfondito nel tempo (per la diversa metodologia di calcolo, le cifre possono non corrispondere con quelle di Eurostat, ma quello che conta è la tendenza nel tempo). Tra il 1990 e il 2023, in Italia le retribuzioni lorde medie annue, espresse in valori reali e a parità di potere d’acquisto, sono di fatto rimaste ferme, mentre sono cresciute negli altri grandi Paesi Ue.

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