I pro e i contro dell’esclusione dei titoli di Stato dall’ISEE

La nuova misura entra in vigore quest’anno e vuole incentivare gli investimenti sul debito nazionale, ma suscita vari dubbi 
ANSA/ETTORE FERRARI
ANSA/ETTORE FERRARI
Il 14 gennaio il governo ha annunciato la firma del decreto del presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) che esclude dal calcolo dell’ISEE i titoli di Stato fino a 50 mila euro. Per diventare ufficialmente operativo, il decreto dovrà essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale, dopo che era stato previsto oltre un anno fa, dalla legge di Bilancio per il 2024.

La nuova misura è stata voluta dai partiti che sostengono il governo Meloni per incentivare l’acquisto di debito pubblico nazionale da parte dei cittadini, ma è stata criticata da alcuni parlamentari all’opposizione. «Perché chi ha investito 50 mila euro in titoli di Stato deve avere un ISEE più basso (e quindi accedere più facilmente a sconti su rette scolastiche, tasse universitarie, servizi a domanda individuale, ecc.) di una famiglia che ha liberamente scelto di investire lo stesso ammontare sul mercato dei capitali privati (azioni, obbligazioni, strumenti assicurativi, ecc.)?», ha scritto per esempio su X il deputato Luigi Marattin, ex Italia Viva, attualmente nel gruppo Misto. 

Per mettere un po’ di ordine nel dibattito degli ultimi giorni, abbiamo raccolto i pro e i contro della novità che diventerà presto operativa.

A che cosa serve l’ISEE

L’ISEE (una sigla che sta per “indicatore della situazione economica equivalente”) è uno strumento che cerca di fornire nel modo più completo un quadro della condizione economica di una famiglia, sulla base dei suoi redditi e dei suoi patrimoni. Questo indicatore è poi usato per determinare l’accesso a prestazioni sociali agevolate, come il bonus per gli asili nido o l’assegno unico universale. 

Il calcolo dell’ISEE di una famiglia si basa su tre elementi principali: il totale dei redditi dichiarati dai componenti della famiglia, aggiornato all’anno precedente; il valore dei beni mobili (per esempio i conti corrente) e dei beni immobili (per esempio le abitazioni) posseduti dai componenti della famiglia, al netto di alcune franchigie; e la scala di equivalenza, un coefficiente che adegua il calcolo dell’ISEE al numero dei componenti della famiglia e a specifiche condizioni (per esempio la presenza di figli minori, con disabilità o non autosufficienti).

L’ISEE viene determinato tramite la dichiarazione sostitutiva unica (DSU), un documento che combina informazioni autodichiarate dal cittadino con dati forniti dall’Agenzia delle Entrate e dall’INPS. Questa dichiarazione vale un anno e serve per accedere a una serie di servizi e agevolazioni, indipendentemente dall’ente erogatore, senza necessità di ulteriori calcoli. 

In concreto, l’ISEE ha l’obiettivo di distribuire in modo mirato le risorse pubbliche, assicurando che i benefici raggiungano le famiglie con maggiori necessità.

Che cosa cambia con la nuova norma

Con la legge di Bilancio per il 2024, il governo Meloni ha stabilito che dal calcolo dell’ISEE siano esclusi i titoli di Stato, ossia – semplificando un po’ – i prestiti che lo Stato chiede ai cittadini, versando in cambio un interesse. Dal calcolo sono esclusi anche altri strumenti finanziari garantiti dello Stato, tra cui: i Buoni ordinari del tesoro (BOT), i Certificati del tesoro zero-coupon (CTZ), i Buoni del tesoro poliennali (BTP) con cedola fissa o indicizzata, e i Certificati di credito del tesoro (CCT) a cedola variabile. Oltre ai titoli di Stato, l’esenzione si applica anche ad altri prodotti finanziari di risparmio garantiti, come i buoni postali fruttiferi e i libretti di risparmio postale, la cui gestione è affidata alla Cassa depositi e prestiti e beneficia della garanzia statale. 

I titoli esclusi dall’ISEE devono avere un valore massimo complessivo di 50 mila euro. Al momento non è chiaro se tra i titoli esclusi rientrano anche quelli di altri Paesi: le note pubblicate finora dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’INPS non chiariscono questo punto. Se fossero esclusi solo i titoli di Stato italiani, c’è il rischio che la norma discrimini gli altri cittadini europei che risiedono nel nostro Paese.

I pro

Prima della novità introdotta dal governo, i titoli di Stato erano considerati tra i beni mobili di una famiglia e contribuivano ad aumentare il valore dell’ISEE. Ma a differenza dei soldi liquidi su un conto corrente, i titoli di Stato sono un investimento che non può essere usato immediatamente, perché il loro valore dipende dal mercato e dai tempi di scadenza.

Dunque, la conseguenza principale dell’esclusione dei titoli di Stato dall’ISEE è quella di ridurre l’indicatore delle famiglie che hanno fatto investimenti di questo tipo, consentendo ad alcune di queste di accedere ad agevolazioni da cui prima erano escluse. Secondo le stime contenute nella relazione tecnica del disegno di legge di Bilancio per il 2024, la nuova misura avrà un costo contenuto sulle casse dello Stato, pari a 44 milioni di euro l’anno. 

La novità voluta dal governo ha l’obiettivo di incentivare l’acquisto di titoli di Stato e degli strumenti di risparmio garantiti a livello nazionale: lo scopo, più volte dichiarato da esponenti della maggioranza, è aumentare la domanda interna di titoli pubblici italiani, diminuendo la dipendenza dai mercati esteri.

Negli ultimi anni la gestione della finanza pubblica italiana ha beneficiato di significativi flussi di finanziamento europeo. Tra marzo 2020 e luglio 2022 la Banca centrale europea (BCE) ha supportato il debito pubblico con consistenti acquisti di titoli di Stato. A questo si sono aggiunti i finanziamenti del programma SURE dell’Unione Europea e le risorse stanziate attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Dalla metà del 2023, con l’avvio del programma Quantitative Tightening, la BCE ha avviato una progressiva riduzione della propria esposizione ai titoli di Stato italiani.

In questo scenario, un maggiore coinvolgimento delle famiglie italiane nell’acquisto di titoli di Stato italiani e di altri strumenti del debito pubblico potrebbe contribuire a stabilizzare il mercato interno, ridurre le oscillazioni dello spread e rafforzare la sostenibilità del debito nazionale.

I contro

Le controindicazioni maggiori dell’esclusione dei titoli di Stato dall’ISEE riguardano soprattutto l’equità fiscale: la novità introdotta dal governo Meloni crea infatti due disparità.

La prima: viene introdotta una disparità di trattamento tra le famiglie che hanno lo stesso reddito e patrimonio complessivo, ma hanno fatto scelte di investimento differenti. Le famiglie che possiedono titoli di Stato risultano avvantaggiate rispetto a quelle che investono in obbligazioni private o azioni, pur avendo condizioni economiche simili. La seconda disparità: grazie all’esclusione dei titoli di Stato dall’ISEE, famiglie più abbienti che hanno fatto investimenti in titoli pubblici potrebbero accedere con più facilità a prestazioni sociali da cui erano escluse, sottraendo risorse a chi è più in difficoltà. Dato che le risorse pubbliche sono limitate, una simile redistribuzione distorta rischia di compromettere l’efficacia del sistema di welfare, penalizzando le famiglie più vulnerabili.

In termini di incentivi al risparmio, poi, la nuova norma incoraggia le famiglie a concentrare i propri investimenti sui titoli di Stato, poiché non vengono considerati nel calcolo dell’ISEE. Questa scelta, però, contrasta con il principio della diversificazione finanziaria, cruciale per ridurre i rischi. Un’eccessiva esposizione ai titoli pubblici aumenta la vulnerabilità delle famiglie a eventuali perdite, come quelle derivanti da un aumento dello spread o da un calo del valore dei titoli di Stato.

In un’audizione in Parlamento, l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) ha sottolineato che l’esclusione dei titoli di Stato dall’ISEE «potrebbe marginalmente ridurre le entrate extratributarie dei comuni connesse con l’erogazione dei servizi e delle prestazioni degli enti locali e delle regioni». Tra queste entrate, il cui calcolo può essere influenzato dall’ISEE, rientrano per esempio la TARI (la tassa sui rifiuti) e le tasse regionali per il diritto allo studio. Con un indicatore ISEE ribassato, queste entrate potrebbero diminuire, seppur in maniera marginale, obbligando gli enti territoriali a coprire le spese, inclusi i rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici, con risorse proprie già limitate.

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