Tutti i guai della ministra Santanchè in cinque punti

Dall’inchiesta di Report al discorso in Senato, dalle indagini della procura alle multe non pagate: abbiamo fatto il punto sul caso che sta mettendo in difficoltà un esponente del governo Meloni
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Mercoledì 5 luglio la ministra del Turismo Daniela Santanchè ha fatto un intervento in Senato per chiarire la sua posizione sulle presunte irregolarità commesse da alcune società a lei collegate durante la pandemia di Covid-19. La richiesta di dare spiegazioni era stata avanzata nelle scorse settimane dai partiti di opposizione, che ora – fatta eccezione di Italia Viva – chiedono le dimissioni della ministra.

Come siamo arrivati fino a questo punto? Di che cosa è accusata Santanchè e come si è difesa in aula? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Che cosa dice l’inchiesta di Report

Il dibattito sul caso della ministra del Turismo è iniziato il 19 giugno, quando la trasmissione di Rai 3 Report ha mandato in onda un’inchiesta dal titolo Open to fallimento. Il nome riprende quello della campagna “Open to meraviglia” per promuovere le bellezze dell’Italia, lanciata alcuni mesi fa dal Ministero del Turismo.

L’inchiesta, svolta dal giornalista Giorgio Mottola, ha riguardato l’attività imprenditoriale di Santanchè, raccogliendo le testimonianze di diversi dipendenti delle aziende Ki Group S.p.a e Visibilia concessionaria S.r.l, di cui la ministra è stata azionista fino a prima di assumere l’incarico nel governo Meloni. Ki Group è attiva nel settore dell’alimentare biologico, mentre Visibilia concessionaria S.r.l è una concessionaria di pubblicità e fa parte insieme ad altre tre società (Visibilia editore holding, Visibilia digital e Visibilia S.r.l) del gruppo guidato dalla casa editrice Visibilia editore.  

Secondo l’inchiesta di Report, tra il 2018 e il 2019 Ki Group S.p.a avrebbe accumulato debiti per 8 milioni di euro, mandando in crisi alcune aziende fornitrici che avevano crediti nei suoi confronti. Per far fronte ai debiti e alle difficoltà di bilancio della società è stata dunque creata una nuova azienda dal nome simile, Ki Group S.r.l., che avrebbe acquistato i rami in attivo di Ki Group S.p.a., lasciando quelli in perdita a quest’ultima. Come testimoniato a Report dai dipendenti di Ki Group S.r.l., nei vari passaggi tra una società e l’altra ci sono stati licenziamenti e sarebbero state commesse irregolarità nei confronti dei dipendenti, tra cui il mancato pagamento del trattamento di fine rapporto (Tfr). Questo è stato ribadito da alcuni ex dipendenti di Ki Group in una conferenza stampa al Senato organizzata il 5 luglio dal Movimento 5 Stelle. 

Il discorso per Visibilia concessionaria S.r.l è simile. Secondo Report quest’ultima avrebbe incassato svariati milioni di euro di inserzioni pubblicitarie per conto di Visibilia editore, che pubblica i mensili Visto e Novella 2000. Visibilia concessionaria S.r.l non avrebbe però mai dato alla casa editrice le somme che le spettavano, accumulando nei confronti di questa un debito di oltre 2 milioni di euro e costringendo le due riviste a licenziare vari giornalisti e dipendenti. Anche in questo caso, i vertici di Visibilia avrebbero commesso alcune irregolarità nei confronti dei propri dipendenti, come la mancata comunicazione di averli messi in cassa integrazione. A novembre 2022, nove mesi fa, la procura di Milano ha avanzato una richiesta di fallimento per le quattro società Visibilia nell’ambito di un’indagine per bancarotta fraudolenta e false comunicazioni sociali. L’inchiesta di Report si intreccia quindi con l’indagine svolta dalla procura milanese, anche se i due filoni sono distinti.

La difesa di Santanchè in Senato

Nel suo discorso al Senato Santanchè ha definito la discussione sulle presunte irregolarità commesse dalle società a lei collegate «una campagna di vero e proprio odio nei miei confronti». Per quanto riguarda il caso di Ki Group, Santanchè ha detto che «era perfettamente noto» che gli stipendi e il Tfr ancora da corrispondere ai dipendenti «erano inerenti al personale fuoriuscito dall’azienda nel corso dell’anno 2023, quando io già da tempo non avevo alcun ruolo». Questo non corrisponde però a quanto raccontato durante la conferenza stampa organizzata dal Movimento 5 Stelle da Monica Lasagna, ex dipendente della società. Lasagna ha infatti raccontato di aver lavorato per Ki Group S.r.l «per 30 anni», di aver lasciato la società «a settembre 2022» – dunque un anno prima di quanto affermato da Santanchè –  e di non aver mai ricevuto il Tfr che le spettava. Durante l’informativa al Senato, la ministra ha anche minimizzato il suo ruolo amministrativo in Ki Group, sostenendo di non aver mai superato «il 5 per cento» della proprietà. Al di là delle quote societarie, la stessa Lasagna ha raccontato però che la ministra era comunque molto attiva nella gestione dell’azienda, tanto che «buona parte delle cose che io svolgevo erano su sue indicazioni e sue direttive». 

Per quanto riguarda Visibilia, Santanchè ha detto di aver messo a disposizione il suo «patrimonio» per il risanamento delle quattro società del gruppo. Con tutta probabilità la ministra ha fatto riferimento a una villa di sua proprietà nel centro di Milano, del valore stimato di 6 milioni di euro, che ha messo in pegno come garanzia dei debiti delle società. Il risanamento e il rilancio vero e proprio del gruppo sarà però compito del nuovo consiglio di amministrazione che gestisce Visibilia, nominato ad aprile di quest’anno.

Santanchè sapeva o no di essere indagata?

All’inizio del suo intervento in Senato Santanchè ha commentato un articolo pubblicato il 5 luglio da Domani, secondo cui «la ministra del Turismo è indagata da tempo nell’inchiesta per bancarotta condotta dalla procura di Milano sulle società della galassia Visibilia». La notizia era già stata data lo scorso 2 novembre 2022 da alcuni quotidiani, secondo cui Santanchè era indagata, fatto smentito all’epoca dalla ministra.

Mercoledì in aula Santanchè ha citato esplicitamente Domani, dicendo: «Affermo, innanzitutto, sul mio onore, che non sono stata raggiunta da alcun avviso di garanzia e che, anzi, per scrupolo, ho chiesto ai miei avvocati di verificare che non ci fossero dubbi in proposito. E così mi è stato confermato». «Ho anche estratto il certificato dei carichi pendenti, in cui risulta che non ci sono annotazioni per qualsivoglia procedimento nei miei confronti», ha aggiunto Santanchè, mostrando ai senatori presenti in aula il certificato.
Immagine 1. La ministra del Turismo Santanchè mostra in aula il suo certificato dei carichi pendenti – Fonte: Senato Tv
Immagine 1. La ministra del Turismo Santanchè mostra in aula il suo certificato dei carichi pendenti – Fonte: Senato Tv
In serata la ministra del Turismo ha poi pubblicato una nota, in cui ha detto di aver appreso di «essere iscritta nel registro degli indagati, sebbene ciò non risultasse dal certificato a suo tempo estratto nel mese di dicembre 2022».

Quindi in aula Santanchè ha detto la verità oppure no? Innanzitutto è necessario fare un po’ di chiarezza sui termini. L’avviso di garanzia, o meglio l’“informazione di garanzia”, è l’atto con cui una procura comunica a una persona di essere sotto indagine. Il certificato dei carichi pendenti «consente la conoscenza dei procedimenti penali in corso a carico di un determinato soggetto», spiega il Ministero della Giustizia. Il certificato può essere richiesto alla procura tra gli altri da chi pensa di essere indagato o dai suoi avvocati. Nel registro degli indagati, o meglio “registro delle notizie di reato”, sono invece iscritte dal pubblico ministero le notizie di possibili reati, nella fase che dà avvio alle indagini. 

L’avviso di garanzia non viene sempre mandato a un indagato. L’articolo 369 del codice di procedura penale stabilisce infatti che la procura invia un avviso di garanzia «solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere». Tra questi atti ci sono, per esempio, gli interrogatori, le perquisizioni e il prelievo di campioni biologici. Quindi è possibile che effettivamente Santanchè non abbia ricevuto la notizia di essere indagata.

Discorso analogo vale per gli avvocati della ministra. In base all’articolo 335, comma 3-bis del codice di procedura penale, il pubblico ministero può decidere di rendere segreta per al massimo tre mesi l’iscrizione di un indagato nel registro degli indagati, «se sussistono specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine».

Come abbiamo visto, nella nota pubblicata nella serata di mercoledì Santanchè ha detto che i suoi avvocati avevano estratto il suo certificato dei carichi pendenti a dicembre 2022. Secondo la Repubblica e il Corriere della Sera, i pubblici ministeri avevano optato per la possibilità di rendere segreta l’iscrizione al registro degli indagati. Questo spiegherebbe il perché a dicembre non figuravano indagini a suo carico. Se la richiesta fosse stata effettuata da febbraio, con tutta probabilità i suoi avvocati avrebbero appreso delle indagini. Santanchè quindi sbaglia quando in Senato dice che Domani ha avuto una notizia che «nessuno potrebbe lecitamente avere».

Secondo il Corriere della Sera, comunque, «anche se Santanchè non lo ammetterà mai», a novembre scorso e «poi a lungo nello svolgersi delle udienze fallimentari», gli avvocati della ministra «avevano avuto con la procura interlocuzioni esplicite nelle quali era un dato pacifico che Santanchè fosse indagata sia per falso in bilancio sia per concorso in bancarotta».

La questione delle multe non pagate

Il 3 luglio Il Fatto Quotidiano ha scritto che tra febbraio 2015 e giugno 2019 Santanchè «ha collezionato ben 462 accertamenti, molti subito archiviati grazie allo status di parlamentare, ma anche 43 multe per divieto di sosta che invece non ha proprio pagato». Le multe sono state fatte a Milano – dove Santanchè vive – a carico di un auto Maserati, affittata in leasing da Visibilia.

In aula Santanchè ha dichiarato che le multe, «riferite erroneamente a me per sosta vietata o circolazione in zone a traffico limitato», sono «in realtà di competenza dell’arma dei carabinieri». La ministra ha detto di aver dato in «comodato gratuito» la sua auto per «non gravare sulle auto di scorta di proprietà statale». «Anche qua, niente di che: un mio gesto che è stato invertito come se avessi compiuto invece un atto di arroganza, o peggio. È incredibile. Voglio dirlo chiaro: io non ho nessuna multa da pagare, non ci sono multe che devo pagare», ha aggiunto Santanchè. Non è chiaro però perché i carabinieri non hanno comunicato la targa dell’auto alle autorità ed evitare quindi di ricevere le sanzioni durante il loro servizio.

La mozione di sfiducia

Dopo il discorso tenuto da Santanchè in Senato, il Movimento 5 Stelle ha presentato una mozione di sfiducia nei confronti della ministra Santanchè. Tra i partiti di opposizione la segretaria Elly Schlein ha già annunciato il voto favorevole del Partito Democratico verso la mozione di sfiducia, richiesta nei giorni scorsi anche dall’Alleanza Verdi-Sinistra, di cui fanno parte Europa Verde e Sinistra italiana. 

Il gruppo parlamentare composto da Azione e Italia Viva è invece diviso. Il leader di Azione Carlo Calenda ha dichiarato che Santanchè è innocente «fino a eventuale sentenza passata in giudicato», ma «dovrebbe seriamente valutare di fare un passo indietro» viste le risposte considerate insufficienti date in Senato. Calenda ha comunque definito una «cretinata da un punto di vista politico» la mozione di sfiducia contro Santanchè perché compatterebbe i partiti della maggioranza. Italia Viva è invece contraria alle dimissioni. «Ogni valutazione sul prosieguo della sua esperienza ministeriale è nelle sue mani e nelle mani del presidente del Consiglio, che si assume la responsabilità politica», ha dichiarato il senatore di Italia Viva Enrico Borghi dopo l’intervento in aula di Santanchè. Il segretario di Più Europa Riccardo Magi ha scritto su Twitter: «Può anche non dimettersi la ministra Santanchè, ma il giudizio politico su di lei è definitivo e impietoso».

Ricordiamo che la mozione di sfiducia è l’atto con cui i parlamentari chiedono al governo, a un ministro o a un sottosegretario di dimettersi. Se la maggioranza assoluta dell’aula (il 50 per cento più uno dei suoi membri) esprime voto favorevole, la mozione è approvata e il suo destinatario deve dimettersi, come confermato anche da una sentenza della Corte costituzionale del 1996.

Dal momento che i ministri di un governo sono espressione della maggioranza parlamentare, è molto difficile che il Parlamento voti a favore della sfiducia. In altre parole una parte della maggioranza dovrebbe votare a favore della mozione di sfiducia insieme ai partiti dell’opposizione. Dal 2001 a oggi si sono dimessi 32 ministri, nessuno come conseguenza di un voto su una mozione di sfiducia.

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