Più impunità ai servizi segreti? Che cosa cambia con il decreto “Sicurezza”

Il governo vuole ampliare le eccezioni penali per gli agenti dell’intelligence – non fino al punto denunciato da Laura Boldrini – rivendicando ragioni operative
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Mercoledì 4 giugno il Senato ha convertito definitivamente in legge il decreto “Sicurezza”, voluto dal governo per accelerare l’adozione di gran parte del disegno di legge “Sicurezza”, il cui percorso in Parlamento procedeva lentamente da diverso tempo. Il decreto introduce nuovi reati e inasprisce le pene per reati già esistenti.

Come il disegno di legge da cui ha preso il nome, anche il nuovo decreto “Sicurezza” è stato al centro di forti critiche da parte dei partiti di opposizione nelle ultime settimane. Tra gli articoli contestati c’è il numero 31, che secondo l’ex presidente della Camera Laura Boldrini «è di fatto la legalizzazione del terrorismo di Stato». 

Boldrini, che in questa legislatura è stata eletta deputata con il Partito Democratico, ha scritto su X: «Parliamo della possibilità che, con una firma della presidente del Consiglio, un agente dei servizi segreti può creare e dirigere organizzazioni terroristiche con finalità sia di terrorismo internazionale che di eversione dell’ordine democratico e può fabbricare e detenere materiale esplodente». L’ex presidente della Camera ha aggiunto che «sono state proprio le famiglie delle vittime delle stragi a denunciare per prime queste norme di un provvedimento che rappresenta la più significativa svolta autoritaria del governo Meloni».

Leggi alla mano, quanto sono fondate queste accuse? È vero che un agente dei servizi segreti potrà creare un’organizzazione terroristica e fabbricare bombe? In breve: il decreto “Sicurezza” amplia effettivamente i poteri dei servizi segreti, ma non fino al punto indicato da Boldrini. Questo intervento, criticato da alcuni familiari delle vittime di terrorismo, è stato giustificato dal governo con esigenze operative nella lotta al terrorismo.

Il contenuto dell’articolo 31

L’articolo 31 del decreto “Sicurezza” contiene alcune «disposizioni per il potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza», cioè le attività svolte dai servizi d’informazione, più comunemente noti come “servizi segreti”. Da un lato, l’articolo rende permanenti alcune norme introdotte in via temporanea negli anni scorsi; dall’altro, introduce nuove disposizioni. Prima di analizzarne il contenuto, è utile fare un passo indietro e chiarire che cosa prevedono le norme su cui interviene l’articolo 31 del decreto “Sicurezza”.

La legge n. 124 del 2007 – nota come “legge sull’Intelligence” – stabilisce, all’articolo 17, il perimetro di liceità penale delle attività svolte dai dipendenti dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), impegnati nelle funzioni istituzionali di tutela della sicurezza dello Stato. In altre parole, definisce quali comportamenti, pur costituendo reato, non sono punibili se compiuti da questi soggetti nell’esercizio delle proprie funzioni. Alcune attività illecite, infatti, sono considerate legittime dalla legge se svolte per garantire il «supremo» e «preminente» interesse alla sicurezza dello Stato, come lo ha definito la Corte Costituzionale in una sentenza del 1977.

L’articolo 17 della legge sull’Intelligence prevede che siano scriminati, cioè non punibili e coperti da una speciale causa di giustificazione, gli agenti dei servizi d’informazione che pongano in essere «condotte previste dalla legge come reato, legittimamente autorizzate di volta in volta in quanto indispensabili alle finalità istituzionali». Sono operazioni «legittimamente autorizzate» quelle per cui il presidente del Consiglio dei ministri, oppure l’autorità delegata, abbia emesso un atto autorizzativo motivato, sulla base di una circostanziata richiesta del direttore del servizio di informazione interessato, tempestivamente trasmessa informandone il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS). Il DIS è l’organismo che coordina l’attività dell’AISE e dell’AISI, assicura il coordinamento della politica informativa del governo e funge da raccordo tra i servizi e la Presidenza del Consiglio dei ministri.

La legge sull’Intelligence specifica che non possono essere giustificati, e quindi vanno puniti, i reati «diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone». La legge stabilisce poi che non possono essere autorizzate, e dunque non rientrano nel gruppo dei reati scriminati, nemmeno le «condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato».

Prima del decreto “Sicurezza”, poteva essere autorizzata – e quindi considerata giustificata – la commissione da parte dei dipendenti dei servizi d’informazione dei reati di partecipazione a un’associazione con finalità di terrorismo (articolo 270-bis del codice penale) e di partecipazione ad associazioni di tipo mafioso anche straniere (articolo 416-bis). Ma erano scriminabili in via transitoria anche altri reati, in base a una norma contenuta nel decreto-legge n. 7 del 2015, ribattezzato decreto “Antiterrorismo”. Questo decreto era stato approvato durante il governo Renzi – quando Boldrini era presidente della Camera – dopo l’attentato a Parigi nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, in un periodo segnato dall’ascesa dello Stato islamico (ISIS) e dal timore di nuovi attacchi jihadisti in Europa. La norma transitoria è stata prorogata da vari governi, fino a giugno 2025.

L’articolo 8 del decreto “Antiterrorismo” rendeva non imputabile il personale dei servizi per una serie di reati, tra cui quelli legati alla partecipazione o al sostegno di associazioni sovversive o terroristiche, all’addestramento e al trasferimento per finalità di terrorismo, al finanziamento di attività terroristiche, all’istigazione o all’apologia di crimini contro lo Stato o contro l’umanità, e alla partecipazione a bande armate.

L’articolo 31 del decreto “Sicurezza” inserisce l’elenco dei reati scriminati dal decreto “Antiterrorismo” nel citato articolo 17 della legge sull’Intelligence, raccogliendo così in un unico testo tutte le eccezioni penali previste per gli agenti dei servizi durante le operazioni autorizzate.

In più, alla lista dei reati scriminati, l’articolo 31 ne aggiunge altri tra quelli con finalità di terrorismo: la direzione e l’organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico (articolo 270-bis del codice penale); la detenzione di materiale con finalità di terrorismo (art. 270-quinquies.3); la fabbricazione, l’acquisto o la detenzione di materie esplodenti, e la distribuzione e pubblicizzazione di istruzioni sulla preparazione o sull’uso delle materie esplodenti  (art. 435). Dunque è scorretto dire che, grazie al decreto “Sicurezza”, un agente dei servizi potrà «creare e dirigere organizzazioni terroristiche», come sostiene Boldrini. È scriminata la direzione di organizzazioni di questo tipo, non la loro creazione. 

Infine, con l’articolo 31 del decreto “Sicurezza”, tutte le scriminanti previste in passato solo in via transitoria – cioè valide solo per periodi limitati e rinnovate di volta in volta – vengono stabilite in modo definitivo all’interno della legge sull’Intelligence. Questo significa che i reati indicati, se compiuti da agenti dei servizi nell’ambito di operazioni autorizzate, saranno sempre considerati non punibili, senza bisogno di proroghe o rinnovi annuali.

Le ragioni del governo

L’estensione della scriminante anche a chi dirige o organizza associazioni con finalità di terrorismo – e non solo a chi vi partecipa – si può spiegare con una ragione operativa. Alcune informazioni cruciali, come i piani per azioni violente o i dettagli su risorse e logistica, possono essere ottenute solo da chi occupa ruoli di comando all’interno dell’organizzazione terroristica. Per questo, il successo di un’operazione di infiltrazione da parte dei servizi segreti dipende spesso dalla possibilità, per le loro fonti o agenti, di salire ai vertici dell’organizzazione, organizzandola o dirigendola. Bloccare la raccolta di informazioni proprio nel momento in cui si potrebbe accedere a dati più importanti – grazie all’ascesa interna dell’infiltrato – rischierebbe di far fallire l’intera operazione di intelligence.

Per quanto riguarda i reati scriminati che riguardano gli esplosivi, la logica sembra essere quella di permettere agli agenti dei servizi di acquisire la piena fiducia dei soggetti monitorati, simulando un coinvolgimento attivo e credibile nelle attività dell’organizzazione, senza il quale l’infiltrazione risulterebbe inefficace o impossibile. In più, la ragione della non punibilità sembra essere la necessità di consentire ai servizi d’informazione di infiltrarsi in canali telematici criptati e a accesso limitato, per monitorare come le organizzazioni terroristiche si procurano munizioni. Questi canali, infatti, sono spesso usati per diffondere materiale didattico, propaganda, guide operative, tecniche di sabotaggio e conoscenze tecnologiche, tra cui la fabbricazione di esplosivi fai-da-te e l’uso di materiali facilmente reperibili sul mercato e con applicazioni duali, cioè utilizzabili sia per scopi civili leciti sia per fini militari o terroristici.

Dunque, il governo ha ritenuto che, per infiltrare e poi smantellare un’associazione terroristica, non sia sufficiente la semplice partecipazione, ma possa essere determinante anche assumere un ruolo di organizzazione o direzione all’interno del gruppo. Inoltre, la scriminante relativa alla detenzione di materiale con finalità di terrorismo e alla fabbricazione o detenzione di esplosivi potrebbe servire a monitorare meglio il flusso di informazioni su questi temi.

Nonostante la lista dei reati scriminati, l’attività dei servizi d’informazione è sottoposta a limiti precisi dalla legge sull’Intelligence: possono compiere atti che sarebbero penalmente rilevanti solo se questi rispettano criteri di indispensabilità, ragionevolezza e proporzionalità. Le condotte relative ai reati scriminati, infatti, possono essere commesse dagli agenti solo se: sono compiute «nell’esercizio o a causa di compiti istituzionali dei servizi d’informazione per la sicurezza»; sono «indispensabili e proporzionate al conseguimento degli obiettivi dell’operazione non altrimenti perseguibili»; derivano da «una obiettiva e compiuta comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti»; e sono «effettuate in modo tale da comportare il minor danno possibile per gli interessi lesi».

Le critiche

Nonostante ciò, l’ampliamento dei reati coperti dalla scriminante ha sollevato perplessità, non solo da parte della deputata Boldrini. 

Per esempio, alcuni studiosi hanno sollevato critiche riguardo la possibilità di scriminare il reato di direzione e organizzazione di associazioni terroristiche. Secondo questa posizione, c’è il rischio che la deroga alla punibilità venga usata in modo improprio, finendo per giustificare comportamenti che vanno oltre il semplice obiettivo dell’infiltrazione, aprendo la strada a operazioni poco trasparenti o persino a dinamiche contrarie agli interessi dello Stato. Questo perché tali condotte implicano, tra l’altro, l’assunzione di ruoli decisionali e operativi orientati alla pianificazione e realizzazione di azioni violente con finalità terroristiche o eversive.

Anche i familiari delle vittime di mafia e terrorismo hanno espresso forti critiche nei confronti dell’articolo 31 del decreto “Sicurezza”, parlando apertamente di «preoccupazione» e «indignazione». Il comunicato, pubblicato lo scorso gennaio, faceva riferimento al disegno di legge “Sicurezza”, poi confluito quasi interamente nel decreto “Sicurezza”. Dal decreto “Sicurezza” è stata tolta la misura che di fatto obbligava le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi di pubblica utilità, le università e gli enti di ricerca a collaborare con i servizi segreti e a stipulare convenzioni che imponevano loro di cedere informazioni e dati in deroga alle normative in materia di riservatezza.

Tiriamo le somme

Boldrini ha torto nel dire che il decreto consente ai servizi segreti di «creare» organizzazioni terroristiche: la norma parla solo di organizzazione e direzione, non di creazione. 

Ha però ragione nel segnalare che il decreto amplia i reati per cui gli agenti dei servizi possono agire senza essere puniti, includendo anche reati molto gravi come la direzione di gruppi terroristici e la fabbricazione di esplosivi, se autorizzati nell’ambito di operazioni di intelligence.
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