Che cos’è rimasto del ddl “Sicurezza”, diventato un decreto

La maggior parte dei nuovi reati è stata riproposta dal governo, mentre sono cambiate alcune delle misure più criticate
Ansa
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Il 4 aprile il governo Meloni ha approvato un nuovo decreto-legge che ripropone la maggior parte dei nuovi reati contenuti nel disegno di legge “Sicurezza”, il cui percorso in Parlamento è stato di fatto bloccato. Questo disegno di legge, annunciato dal governo a novembre 2023, è stato presentato all’inizio del 2024 alla Camera, che lo ha approvato lo scorso settembre. Nei mesi successivi l’esame del testo in Senato si è fatto sempre più complicato, a causa anche delle obiezioni sollevate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella su alcune misure del disegno di legge. 

Come ha ammesso il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il governo ha voluto trasformare il disegno di legge in un decreto-legge per dare «tempi certi» alla sua approvazione. Un decreto-legge, infatti, può essere approvato solo in casi di necessità e urgenza – un limite che da tempo i governi non rispettano più – ed entra in vigore appena viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, poi, il Parlamento deve convertirlo in legge. I disegni di legge presentati in Parlamento, invece, non hanno scadenze specifiche per essere approvati definitivamente, e per questo motivo danno più spazio di intervento alla Camera e al Senato, con il rischio che l’esame dei testi sia più lento. Sia i decreti-legge sia i disegni di legge approvati devono essere firmati dal presidente della Repubblica per entrare in vigore.

A oggi il testo del nuovo decreto-legge non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ma il suo contenuto è stato riassunto in un comunicato stampa dal governo, che ha diffuso uno schema del decreto e la sua sintesi, di cui Pagella Politica ha potuto prendere visione. 

Punto per punto, vediamo che cosa è rimasto del ddl “Sicurezza” nel nuovo decreto-legge, e a che cosa il governo ha deciso di rinunciare.

Il carcere per le donne incinte

Tra le misure modificate dal nuovo decreto-legge, ci sono quelle che riguardano il carcere per le donne incinte, la cosiddetta “cannabis light” e le SIM per i migranti.

In base al codice penale, l’esecuzione di una pena, come la detenzione in carcere, deve essere rimandata se riguarda una donna incinta o una donna madre di un bambino con meno di un anno di età. Il disegno di legge “Sicurezza” voleva eliminare questa obbligatorietà, rendendo il rinvio solo facoltativo. In più, chiedeva che il rinvio non fosse concesso se dalla madre derivasse «una situazione di pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti». 

Questa parte della misura è rimasta nel nuovo decreto-legge, che conserva la distinzione del trattamento penitenziario in base all’età del figlio della donna condannata. Le donne incinte, o madri di bambini con un’età inferiore a un anno, dovranno scontare la pena presso un Istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM). Per le madri di bambini con un’età tra gli uno e i tre anni la pena potrà essere eseguita, in alcuni casi, anche in carcere. 

La differenza tra il disegno di legge e il decreto-legge sta nell’esecuzione delle misure di custodia cautelare. Il decreto-legge, infatti, precisa che l’eventuale custodia cautelare per le donne indagate o imputate con figli al seguito sia eseguita obbligatoriamente in un ICAM, cosa non specificata nel disegno di legge. Inoltre, il decreto introduce una nuova relazione “sull’attuazione delle misure cautelari e delle pene nei confronti delle donne incinte e delle madri di prole di età inferiore a tre anni”, che entro il 31 ottobre di ogni anno il governo dovrà presentare in Parlamento.

Secondo i dati più aggiornati del Ministero della Giustizia, al 31 marzo 2025 negli istituti penitenziari italiani ci sono 15 detenute madri con 15 figli. 

Il divieto sulla cannabis light

Durante l’esame alla Camera, nel disegno di legge “Sicurezza” era stata introdotta una misura per impedire definitivamente il consumo ricreativo della cannabis light, quella con una bassa percentuale di tetraidrocannabinolo (THC), la principale sostanza psicoattiva contenuta nella pianta.

Il disegno di legge “Sicurezza” stabiliva che fossero «vietati l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa coltivata» nel rispetto della legge del 2016, quella che regola la coltivazione della canapa. Questo divieto riguardava le infiorescenze «anche in forma semilavorata, essiccata o triturata» e «i prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati». Questa norma era stata criticata da più parti e accusata di penalizzare la filiera agricola che coltiva la canapa. 

Il nuovo decreto-legge vuole bloccare la vendita delle infiorescenze, ossia la parte della pianta che può essere usata a scopo ricreativo. Ma a differenza del disegno di legge “Sicurezza”, il decreto consente la produzione agricola dei semi della pianta di canapa, mantenendo i divieti relativi alle infiorescenze.

Le SIM per i migranti

Una delle modifiche tra il disegno di legge e decreto-legge riguarda la vendita di SIM telefoniche ai migranti. Il disegno di legge “Sicurezza” obbligava i negozi che vendono le schede telefoniche SIM a chiedere una copia del permesso di soggiorno ai clienti di nazionalità non appartenente all’Unione europea. In questo modo, le persone migranti senza permesso di soggiorno non avrebbero potuto acquistare le SIM, una privazione che avrebbe impedito a queste persone, per esempio, di contattare le proprie famiglie. 

Il nuovo decreto ha ampliato «la tipologia di documenti che il titolare dell’esercizio o dell’attività può acquisire all’atto della vendita delle SIM». Ai cittadini non europei basterà mostrare uno qualsiasi tra «passaporto, documento di viaggio equipollente o documento di riconoscimento che siano in corso di validità» per ottenere la SIM.

Dal decreto “Sicurezza” è stata tolta un’altra misura contestata presente nel disegno di legge, che di fatto obbligava le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi di pubblica utilità, le università e gli enti di ricerca a collaborare con i servizi segreti e a stipulare convenzioni che gli imponevano di cedere informazioni e dati in deroga alle normative in materia di riservatezza.

Il terrorismo e le occupazioni abusive

Come detto, la maggior parte dei reati, nuovi o ampliati, prevista dal disegno di legge “Sicurezza” è stata spostata nel nuovo decreto-legge. 

La prima parte del decreto-legge, che contiene misure per il contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata, è rimasta sostanzialmente identica alla prima parte del disegno di legge. Viene introdotto un nuovo reato nel codice penale, che punisce con il carcere da due a sei anni chi si procura o detiene del materiale con le istruzioni per preparare o usare esplosivi, armi da fuoco o sostanze chimiche e batteriologiche con «finalità di terrorismo». Per chi diffonde o pubblicizza questo materiale con qualsiasi mezzo, anche telematico, è prevista la reclusione da sei mesi a quattro anni. 

Il nuovo decreto introduce nel codice penale l’articolo 634-bis, che punisce il reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”. È punito con il carcere da due a sette anni chi occupa una casa, con aggravanti se l’immobile è l’unica abitazione posseduta da chi ha denunciato l’occupazione o appartiene a soggetti vulnerabili. Il testo prevede un’accelerazione della procedura che permette di sgomberare gli immobili occupati. Ricordiamo che il codice penale punisce già comportamenti simili: da un lato, infatti, esiste il reato di “invasione di terreni o edifici” (art. 633), dall’altro lato c’è il reato di “turbativa violenta del possesso di cose immobili” (art. 634). 

Le manifestazioni e la tutela forze dell’ordine

Il decreto-legge rafforza la pena per il reato di danneggiamenti durante le manifestazioni e amplia il DASPO urbano, ossia il divieto di accedere a luoghi pubblici che può essere disposto dai sindaci o dalle autorità di pubblica sicurezza nei confronti di singoli cittadini. Durante le manifestazioni sarà poi più facile eseguire arresti in flagranza per chi compie lesioni gravi a pubblici ufficiali. Sempre nell’ambito della sicurezza urbana, il decreto prevede nuove aggravanti per i reati commessi nei pressi di stazioni ferroviarie e della metropolitana, mentre un’altra aggravante è stata introdotta per il reato di truffa se questa è rivolta agli anziani. Vengono poi aumentate le pene per chi induce i minori di 16 anni all’accattonaggio.

Sono state introdotte nuove pene e reati per chi protesta imbrattando con vernice gli edifici pubblici o chi compie azioni dimostrative come il blocco del traffico. La pena per imbrattamento di beni pubblici arriva fino a tre anni e 12 mila euro in caso di recidiva, mentre il blocco stradale passa da illecito amministrativo a reato, punito con la reclusione fino a un mese e la multa fino a 300 euro. In caso di fatto commesso da più persone, la reclusione va da sei mesi a due anni.

Il decreto “Sicurezza” inasprisce poi le pene per resistenza e violenza a pubblico ufficiale, con aggravanti se la vittima è un agente di polizia. Le forze dell’ordine potranno essere dotate di body cam e sistemi di videosorveglianza nei luoghi di custodia come i penitenziari. Viene inoltre aumentata fino a 10 mila euro il sostegno legale per i procedimenti giudiziari a carico di membri delle forze armate e dei vigili del fuoco. Il provvedimento introduce anche un nuovo reato contro chi organizza o partecipa a rivolte negli istituti penitenziari o nei centri per migranti.

L’introduzione di nuovi reati, così come l’aumento delle tutele per le forze dell’ordine e l’inasprimento delle pene per chi compie atti di protesta, in questi giorni hanno suscitato critiche. «Depositeremo immediatamente richiesta di referendum abrogativo e inizieremo la raccolta firme per abrogare il decreto “Sicurezza”», ha annunciato il segretario di Più Europa Riccardo Magi.

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