Questo grafico non dimostra l’inutilità del tetto al contante

Circola da alcune settimane e l’ha citato anche Giorgia Meloni per difendere l’aumento del limite a 5 mila euro. I dati sono però parziali e il messaggio è fuorviante
Pagella Politica
Il 4 dicembre, in un video pubblicato sui social, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha difeso (min. 10:04) la proposta del suo governo di alzare il limite all’uso del contante a 5 mila euro. Secondo Meloni, la tesi secondo cui il tetto al contante contrasta l’evasione fiscale sarebbe «tragicamente smentita dai numeri», come dimostrerebbe un grafico realizzato da Unimpresa, un’associazione di imprese italiane. «Unimpresa ha fatto uno studio e ci dice che, negli ultimi dieci anni, l’anno nel quale il tasso di evasione fiscale è stato il più basso è il 2010», ha dichiarato la presidente del Consiglio. «Qual era il tetto al contante nel 2010? 5 mila euro, cioè è falso che la possibilità di utilizzare moneta contante favorisca l’evasione fiscale». Secondo la presidente del Consiglio, «per paradosso, più è basso il tetto al contante e più si rischia evasione».

Se si analizza più nel dettaglio il grafico, però, si scoprono due cose. La prima è che il confronto tra i dati è impreciso e parziale, la seconda è che il messaggio veicolato dal grafico, così come l’argomentazione di Meloni, è fuorviante.
Grafico 1. Il grafico realizzato da Unimpresa e mostrato da Meloni sui social
Grafico 1. Il grafico realizzato da Unimpresa e mostrato da Meloni sui social

Il grafico di Unimpresa

Il grafico in questione è stato pubblicato il 28 ottobre sul sito di Unimpresa. All’epoca si parlava già della volontà del governo di alzare il tetto al contante con una norma nel decreto “Aiuti quater”, ma alla fine il provvedimento è stato inserito (art. 69) nel disegno di legge di Bilancio per il 2023, ora all’esame del Senato. A oggi, in Italia, il tetto all’uso del contante è fissato a 2 mila euro: dal 1° gennaio dovrebbe scendere a mille euro, ma la proposta del governo Meloni è di farlo salire a 5 mila euro, in linea con la media dei valori presenti negli altri Paesi europei. 

Nel grafico, Unimpresa ha confrontato il valore del limite all’uso del contante in vigore tra il 2010 e il 2019, alzato e abbassato negli anni da vari governi, con il valore dell’evasione fiscale stimato anno per anno in Italia. Nell’articolo che accompagna il grafico, Unimpresa non dice qual è la fonte dei dati sull’evasione fiscale, che con tutta probabilità provengono dalle “Relazioni sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”, pubblicate annualmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze dal 2016 in poi. Nel confronto tra i dati fatto da Unimpresa c’è però qualcosa che non torna.

Le stime sull’evasione fiscale e contributiva relative agli anni 2019, 2018, 2017, 2016, 2015 e 2014 sono contenute in una relazione pubblicata a dicembre 2021 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Quelle del 2013 e 2012 sono contenute in una relazione del 2016. Per gli anni 2011 e 2010 i dati indicati si fanno meno chiari. Per l’evasione del 2011 (stimata intorno ai 104,9 miliardi di euro), Unimpresa ha sommato le varie voci di evasione per alcune imposte contenute in una relazione del 2018. Per l’evasione del 2010 (stimata in circa 83 miliardi di euro), Unimpresa ha invece sommato le voci contenute in una relazione del 2017. Mischiando dati provenienti da relazioni diverse, Unimpresa è arrivata alla seguente conclusione: «La soglia più alta del “tetto al contante”, pari a 5 mila euro, fissata per il 2010, coincide con il livello più basso di evasione fiscale mai registrata nello scorso decennio, pari a 83 miliardi di euro».

Il problema è che, in quegli 83 miliardi di euro del 2010, non è considerata né l’evasione di alcune imposte, come quelle sul lavoro dipendente, e né l’evasione dei contributi previdenziali, inserite invece nelle stime degli altri anni. Dunque, la stima sull’evasione fiscale del 2010 è sottostimata e il confronto con gli altri anni è parziale.

Perché servono gli studi

Al di là dei numeri, c’è poi un altro problema nell’usare il grafico di Unimpresa per dire, come fa Meloni, che il tetto al contante non contrasta l’evasione fiscale e che, paradossalmente, la incentiverebbe. Nel suo articolo, Unimpresa scriveva che, in base ai dati, «non è possibile individuare alcuna correlazione diretta tra l’andamento dell’evasione fiscale e l’evoluzione del cosiddetto “tetto al contante”». «L’osservazione dei rispettivi andamenti negli ultimi 10 anni, infatti, non consente di indicare alcun nesso causale tra le modifiche alle norme relative all’utilizzo del denaro di carta per i pagamenti e la curva del gettito tributario sottratto all’amministrazione finanziaria annualmente», spiegava Unimpresa. 

Come abbiamo detto, il confronto è fatto tra dati non confrontabili tra loro. Ma al di là di questo, dire che non c’è un legame tra tetto al contante ed evasione confrontando semplicemente il valore dell’evasione con quello del tetto al contante in vigore in un determinato anno ha poco senso. Per esempio, è possibile ipotizzare che negli anni con un tetto al contante più basso magari l’evasione sarebbe stata ancora più alta senza quel tetto. In generale, l’evasione fiscale è un fenomeno determinato da molti fattori, economici e sociali, ed è per questo motivo che alcuni economisti hanno cercato di capire, in maniera scientificamente rigorosa, quale può essere il contributo di un tetto al contante nell’influenzare le scelte dei contribuenti, e di conseguenza il livello dell’economia sommersa e dell’evasione. 

A oggi, a livello internazionale non ci sono molti studi dedicati a questo tema, ma almeno due ricerche condotte proprio in Italia sono arrivate alla conclusione che un aumento del tetto al contante può contribuire a un aumento dell’evasione. Per esempio, un working paper pubblicato nel 2021 dalla Banca d’Italia, analizzando l’aumento del tetto al contante a 3 mila euro introdotto nel 2015 dal governo Renzi, ha calcolato che un aumento delle transazioni in contante fa crescere l’economia sommersa. Anche un working paper pubblicato nel 2020 è arrivato a conclusioni simili, sostenendo che la riduzione al tetto del contante introdotto nel 2011 dal governo Monti ha ridotto la circolazione delle banconote e aumentato le entrate per il fisco. Questi due studi non dicono però quale soglia al tetto sarebbe la più adatta per bilanciare i benefici della misura con i suoi costi, sociali e non solo.

Il 2 dicembre, in un’audizione di fronte alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, la Corte dei Conti ha commentato la proposta di alzare il tetto al contante a 5 mila euro, esprimendo i suoi dubbi. «Una riduzione dell’uso del denaro contante, il cui trasferimento per definizione non è tracciabile, potenzia l’azione di controllo e, ancora prima, rende le attività criminose più difficili da compiere», ha spiegato la Corte. Il 5 dicembre, in un’audizione alla Camera, anche la Banca d’Italia è intervenuta sul tema. «I limiti all’uso del contante, pur non fornendo un impedimento assoluto alla realizzazione di condotte illecite, rappresentano un ostacolo per diverse forme di criminalità ed evasione», spiega la banca centrale nel suo intervento. «In particolare, negli ultimi anni sono emersi studi – anche condotti nel nostro istituto su dati italiani – che suggeriscono che soglie più alte favoriscono l’economia sommersa; c’è inoltre evidenza che l’uso dei pagamenti elettronici, permettendo il tracciamento delle transazioni, ridurrebbe l’evasione fiscale».

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