Il governo sta affossando la nuova legge contro i conflitti di interessi

È bloccata in Senato da oltre un anno perché non è tra le priorità della maggioranza, nonostante le richieste di istituzioni ed esperti
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
Sembrava l’occasione giusta per riformare regole vecchie e da tempo criticate da istituzioni internazionali e autorità di controllo italiane. Invece, il disegno di legge delega per la riforma delle norme sui conflitti di interesse di chi ricopre incarichi di governo è fermo da oltre un anno in Parlamento, senza alcuna prospettiva di approvazione definitiva.

Un conflitto di interesse si verifica quando un politico o un funzionario pubblico, nel ricoprire un determinato ruolo istituzionale, può trarre un vantaggio personale dalle decisioni che prende, perché ha un interesse diretto in quell’ambito. Un esempio è quello di un ministro che mantenga incarichi dirigenziali in un’azienda privata o pubblica, una condizione vietata dalle norme oggi in vigore in Italia.

Come vedremo, proprio queste leggi sono state più volte contestate da istituzioni come il Consiglio d’Europa e l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), che hanno invitato Parlamento e governo a rafforzare una normativa giudicata troppo debole. Nonostante ciò, la politica ha fatto poco per intervenire.

Durante questa legislatura, a fine maggio 2024 la Camera ha approvato un disegno di legge delega al governo per riordinare e aggiornare la normativa sui conflitti di interessi. La proposta nasceva da un’iniziativa del Movimento 5 Stelle, che puntava a introdurre regole più stringenti, ma nel corso dell’esame parlamentare il centrodestra ha di fatto riscritto il testo, trasformandolo in una delega al governo. 

Come suggerisce il nome, una legge delega consente al Parlamento di trasferire al governo il potere legislativo su un tema specifico, entro limiti e tempi stabiliti. Il governo può così emanare decreti legislativi, da non confondere con i decreti-legge. Nella pratica, però, le leggi delega vengono spesso attuate con grande ritardo. E infatti quella sui conflitti di interesse è oggi ferma al Senato: fonti interne al governo hanno spiegato a Pagella Politica che non è tra le priorità da portare a termine.

Regole datate e carenti

La principale norma italiana sui conflitti di interessi è la legge “Frattini”, introdotta nel 2004 dal secondo governo Berlusconi e intitolata all’allora ministro degli Esteri Franco Frattini. 

Questa legge stabilisce i casi di incompatibilità per chi ricopre incarichi di governo: il presidente del Consiglio e i ministri, per esempio, non possono svolgere alcun lavoro per enti pubblici o privati e vengono collocati in aspettativa durante il mandato. Inoltre, chi assume una carica di governo deve dichiarare entro 30 giorni all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) eventuali incarichi incompatibili e fornire entro 90 giorni tutti i dati relativi al proprio patrimonio.

Nel tempo, però, la legge “Frattini” è stata criticata per le sue lacune. In un rapporto pubblicato nell’agosto 2024, il Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO), organo del Consiglio d’Europa, ha osservato che la legge non considera conflitto di interesse la semplice proprietà di un’azienda. «Ai titolari di cariche di governo viene impedito di avere ruoli dirigenziali o operativi in aziende private, ma non di possederle», si legge nel rapporto. In effetti, la normativa attuale non considera problematico il possesso di quote o azioni se non si ricopre un ruolo di gestione.

Un caso recente è quello di Marcello Gemmato, sottosegretario alla Salute del governo Meloni e deputato di Fratelli d’Italia, che aveva dichiarato di possedere il 10 per cento delle quote di Therapia Srl, un gruppo di cliniche private pugliesi. Gemmato si era difeso sostenendo di aver dichiarato regolarmente le quote e di non avere incarichi dirigenziali. La stessa AGCM, nella relazione annuale al Parlamento del 2023, aveva rilevato la sua posizione senza segnalare irregolarità, proprio in base alla legge “Frattini”. Ma secondo il GRECO, norme così permissive sulle partecipazioni societarie possono creare zone grigie e favorire situazioni poco trasparenti.

Il rapporto del GRECO ha inoltre evidenziato un’altra carenza: la mancanza di regole specifiche sui potenziali conflitti di interessi dei consulenti dei membri del governo. In Italia chi ha incarichi nella pubblica amministrazione deve ottenere un’autorizzazione per svolgere attività esterne, ma per il GRECO «questa norma non sembra applicabile a tutto il personale degli uffici senza ambiguità». Servirebbero quindi disposizioni più chiare per i collaboratori dei ministri.
Il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato – Fonte: ANSA
Il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato – Fonte: ANSA

La proposta del Movimento 5 Stelle

Anche l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) ha chiesto più volte di aggiornare la disciplina. A maggio 2023, in un’audizione alla Camera, il presidente dell’Autorità Giuseppe Busia aveva sottolineato che in Italia non è mai stata approvata «una disciplina organica applicabile alla totalità dei titolari di cariche di governo» in materia di conflitti di interessi. Finora – aveva spiegato – ci sono stati solo interventi parziali e frammentati, spesso limitati ad alcuni livelli di governo. Busia aveva poi richiamato un’altra debolezza della legge “Frattini”: l’assenza di norme sui conflitti di interesse per gli amministratori locali, come sindaci o presidenti di regione.

In quell’occasione, Busia aveva accolto positivamente la proposta di legge del Movimento 5 Stelle, a prima firma Giuseppe Conte, che mirava proprio a colmare queste lacune. Il testo estendeva la normativa a tutti gli amministratori locali e ai componenti delle autorità indipendenti di garanzia e vigilanza, come la stessa ANAC. In più, introduceva limiti più rigidi: vietava di assumere incarichi di governo a chi possedesse oltre il 2 per cento di aziende di interesse nazionale che ricevono concessioni pubbliche o di imprese editoriali e radiotelevisive. Chi si trovava in questa situazione avrebbe dovuto scegliere tra mantenere le proprie partecipazioni o assumere la carica di governo, affidando la gestione del patrimonio a una società fiduciaria indipendente.

Infine, la proposta introduceva un divieto di ricevere finanziamenti da governi esteri superiori a 5 mila euro all’anno per membri del governo, parlamentari, amministratori locali e componenti delle autorità di vigilanza. La stampa aveva ribattezzato questa disposizione “norma anti-Renzi”, riferendosi alle consulenze retribuite che l’ex presidente del Consiglio ha tenuto in Arabia Saudita.

L’affossamento 

Dopo un lungo ciclo di audizioni, a maggio 2024 la maggioranza di centrodestra in Commissione Affari costituzionali ha riscritto integralmente la proposta del Movimento 5 Stelle. Il relatore Paolo Emilio Russo (Forza Italia) ha presentato un emendamento che ha sostituito tutto il testo, trasformandolo in una delega al governo. La decisione ha suscitato le critiche del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico, che hanno accusato la maggioranza di voler affossare la riforma. La deputata pentastellata Carmela Auriemma ha parlato di «uno scippo ai danni dell’opposizione», sostenendo che il centrodestra si fosse appropriato della proposta.

Non era la prima volta che la maggioranza ricorreva a questa strategia: era già accaduto con le proposte sul salario minimo e sul voto ai cittadini fuorisede. In commissione, però, il deputato di Fratelli d’Italia Alessandro Urzì aveva rassicurato le opposizioni che le osservazioni degli esperti raccolte durante le audizioni sarebbero state considerate nella stesura dei futuri decreti legislativi.

Resta il fatto che, a oltre un anno dall’approvazione alla Camera, il testo è ancora bloccato al Senato e il governo non considera la sua approvazione una priorità, come hanno spiegato a Pagella Politica fonti interne all’esecutivo. Anche se il disegno di legge fosse approvato, il governo avrebbe fino a due anni di tempo per emanare i decreti legislativi. È quindi improbabile che una riforma dei conflitti di interesse veda la luce entro la fine della legislatura, prevista per ottobre 2027.

Nel frattempo, a dicembre 2024, il governo aveva fatto inserire un emendamento alla legge di Bilancio per il 2025 un emendamento che vieta ai membri del governo, ai presidenti di Regione e ai parlamentari – esclusi quelli eletti all’estero – di accettare compensi da soggetti con sede fuori dall’Unione europea durante il mandato. Anche in questo caso la norma è stata ribattezzata “emendamento anti-Renzi”. Ma il divieto non è assoluto: sono ammessi finanziamenti esteri inferiori a 100 mila euro annui, purché autorizzati dall’organo di appartenenza, un limite ben più permissivo rispetto ai 5 mila euro fissati nella proposta originaria del Movimento 5 Stelle.

INFORMATI AL MEGLIO, OGNI GIORNO

Con la membership di Pagella Politica ricevi:
• la nuova guida al decreto “Sicurezza”;
• la newsletter quotidiana con le notizie più importanti sulla politica;
• l’accesso agli articoli esclusivi e all’archivio;
• un canale diretto di comunicazione con la redazione.
PROVA GRATIS PER UN MESE
Newsletter

Conti in tasca

Ogni giovedì
Si dice che l’economia ormai sia diventata più importante della politica: in questa newsletter Massimo Taddei prova a vedere se è vero. Qui un esempio.

Ultimi articoli